25 marzo 2013

"I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana" venerdì 29 marzo alla Casa della Memoria


L'ANPI provinciale di Roma invita alla presentazione del libro:
"I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana"di Andrea Martocchia
Con il  contributo  di Susanna Angeleri, Gaetano Colantuono, Ivan Pavičevac (Odradek Edizioni)
Venerdì 29 marzo 2013 - ore 18:00 Casa della Memoria e della Storia via San Francesco di Sales , 5 - Roma (Trastevere)



Che ci facevano questi Jugoslavi in Italia tra il 1943 e il 1945? Da tale domanda, apparentemente ingenua e disarmante, prende le mosse la minuziosa ricostruzione di Andrea Martocchia delle attività militari accadute sull'Appennino e sul versante del basso-adriatico, grazie a testimonianze e documenti in larga parte inedite. Non erano certo invasori. Questi jugoslavi erano i prigionieri rinchiusi nei quasi duecento campi di detenzione fascisti in Italia (Renicci, Colfiorito, Corropoli) fino all’8 settembre del 1943 e che, una volta liberatisi, dettero un contributo efficace e decisivo alla Resistenza antifascista e antinazista italiana, irradiandosi dalla Toscana, all'Umbria, alle Marche, all'Abruzzo fino alla Puglia.
La ricerca individua il ruolo strategico della Puglia come “duplice retrovia” anche in relazione alle parallele vicende belliche nei Balcani; ruolo finora noto solo a pochi specialisti e in modo frammentario. Infatti, mentre in Puglia si costituivano brigate dell’EPLJ - Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia -, gli evasi jugoslavi dai lager della penisola animavano la lotta di Liberazione proprio nelle sue prime fasi lungo la dorsale appenninica, con episodi rilevanti, soprattutto in Umbria e nelle Marche, lasciando sul campo più di mille tra morti e dispersi.
Nella ricerca sono discusse anche le ragioni politico-storiografiche della rimozione di questa vicenda, così da fornire un importante contributo al dibattito metodologico sulla storia della Resistenza poiché si oltrepassa la chiave di lettura nazionale, solitamente schiacciata sul rapporto CLN-monarchia-Alleati.

Saluto del Presidente dell'ANPI provinciale di Roma
Vito Francesco Polcaro

Introduzione di
Davide Conti, storico

Interventi di
Ruggero Giacomini, storico
Andrea Martocchia, autore del libro
Gaetano Colantuono, coautore

Vogliamo giustizia e verità sulle stragi nazifasciste: firma la petizione Anpi

L’ANPI, ritenendo doveroso fare il punto della situazione sulla questione delle stragi nazifasciste, per le quali il nostro paese ha versato un tributo di sangue di circa 15.000 caduti, disseminando eccidi compiuti anche prima dell’otto settembre 1943, dalla Sicilia fino al nord Italia con l’esercito tedesco in rotta verso la Germania, ha deciso di assumere la questione delle stragi nazifasciste come una sua battaglia nazionale, rivendicando “verità e giustizia” per le vittime. FIRMA LA PETIZIONE ON LINE
Nel sito dell' ANPI nazionale si può:
- scaricare il documento sulle stragi nazifasciste
- scaricare il testo della petizione popolare
- comunicato stampa dell'incontro tra delegazione ANPI e il Presidente Napolitano
- un articolo sull"armadio della vergogna".


L’azione dell’associazione si è incardinata nella costituzione di una apposita commissione di lavoro, che ha teso l’azione verso tre indirizzi fondamentali: la costituzione come parte civile dell’Anpi in tutti i processi di strage, la raccolta di tutti i materiali giudiziari e parlamentari delle stragi che attualmente sono difficilmente reperibili e consultabili per motivi sia burocratici che politici e non ultimo come importanza censire attraverso la realizzazione di una mappa tutti le stragi avvenute, in quanto ad oggi non si ha questo importante strumento divulgativo e conoscitivo. Aggiungasi a tutto ciò l’avvio di una petizione nel Paese indirizzata al Presidente del Senato.
Cosa ancora più importante sarà per l’Anpi portare le istituzioni preposte, governo e parlamento, a discutere sulla conduzione politica di questi 70 anni che ha causato l’enorme ritardo con il quale si stanno svolgendo oggi i processi, limitando notevolmente la possibilità di far giustizia, procedimenti che sono elementi unici sia per sostenere la verità storiografica sia per dare sollievo a tutte le vittime. Tutti gli interventi dei vari specialisti hanno concordato su alcuni punti precisi comuni ai loro pensieri. Un enorme ritardo dell’inizio dei processi con altrettanto grandi responsabilità dei governi italiani che mai hanno preso posizione e coscienza di quello che ha portato a questo colpevole “dimenticanza” nel famoso e famigerato Armadio della Vergogna. Uno sminuire, attraverso una mirata strategia politica, le gravi responsabilità della repubblica sociale e dei fascisti repubblichini, che “volenterosamente” si sono adoperati ad essere accompagnatori quando non esecutori diretti di queste stragi. Una non considerazione della sofferenza dei superstiti e dei famigliari delle vittime, spesso lasciate sole a se stesse, senza risarcimenti né morali né economici. Così come abbiamo oggi un gap comunicativo di Memoria tra le generazioni, in quanto venendo meno il contributo del testimone per motivi anagrafici, con più difficoltà si riesce a portare a conoscenza questi fatti, che hanno la potenzialità di divenire strumenti di formazione di nuove coscienze civili. Un’altra considerazione importante su cui tutti hanno condiviso le proprie riflessioni, è quella che fin dal dopo guerra, sia da parte dei tedeschi sia anche in alcune memorie di sopravvissuti, si è voluta scaricare le colpe sui partigiani, mentre invece l’analisi del caso Toscana, dimostra come solo il 12% delle vittime sia stata causata da rappresaglia, e come comunque sempre ci si trovi di fronte a risposte sproporzionate, definibili oggi come crimini contro l’umanità e non azioni di guerra. Gli ordini erano di una guerra ai civili voluta dai massimi vertici militari germanici.

20 marzo 2013

Fosse Ardeatine: domenica 24 marzo la celebrazione del 69° anniversario


Domenica 24 marzo 2013 alle ore 9.00 avrà luogo la celebrazione del 69° Anniversario dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Sono invitate le Autorità ad intervenire alla commemorazione.
La cerimonia, com’è tradizione, prevede la deposizione da parte del Presidente della Repubblica di una corona di alloro, all’esterno del Sacrario, l’Appello dei Martiri e, a seguire le preghiere cattolica e ebraica.

16 marzo 2013

"Argentina-Italia: La memoria condivisa" - domenica 24 marzo ore 10,30



Domenica 24 marzo, ore 10,30 - Sala conferenze del Museo storico della Liberazione - Via Tasso 145


Nella Giornata Nazionale della Memoria per la Verità e la Giustizia in Argentina, data che ci porta a rievocare – nello stesso giorno della strage delle Fosse Ardeatine, punto massimo della repressione nazifascista a Roma -  l’inizio della tragica dittatura civico-militare argentina instauratasi il 24 marzo 1976,  l’Ambasciata Argentina desidera stringersi con l’A.N.P.I., con il Museo storico della Liberazione e con le altre associazioni antifasciste in un abbraccio della  memoria, perché la   memoria è l’unico strumento che abbiamo per non ripetere la storia.

Vogliamo condividere con l’A.N.P.I., con il Museo storico della Liberazione e con le altre associazioni antifasciste la necessità di difendere i valori profondi della democrazia, particolarmente perché riteniamo che - se non si è impegnati e operosi - la democrazia si può perdere non  in un solo giorno, ma si può perdere un po’ ogni giorno.

Per questo, dobbiamo essere vigili e non sottovalutare le manifestazioni anti-democratiche, l’intolleranza, la discriminazione e la mancanza di verità e di giustizia. La difesa e la promozione dei diritti umani - in questo senso - sono nella nostra epoca una delle frontiere più avanzate dell'antifascismo.
E per questo vogliamo dire insieme all’ANPI e alle altre associazioni antifasciste: La vostra storia e la nostra sotto il motto  “Argentina-Italia: La memoria condivisa”

Interventi:
Torcuato di Tella, Ambasciatore della Repubblica Argentina in Italia (saluto istituzionale)
Antonio Parisella, Presidente del Museo storico della Liberazione
Vito Francesco Polcaro, Presidente dell’ANPI Roma e Lazio
Carlos Cherniak, Ministro responsabile Diritti Umani dell’Ambasciata Argentina

Posti limitati, si prega di confermare la presenza entro sabato 23
Segreteria: info@museoliberazione.it. (per favore non telefonare)

13 marzo 2013

Il Cordoglio dell’ANPI Nazionale per la scomparsa di Teresa Mattei


 
Ci ha lasciato Teresa Mattei, partigiana combattente, Costituente, per anni componente della Presidenza onoraria dell’ANPI.

Un lutto gravissimo per tutti i sinceri democratici e antifascisti: Teresa è stata il simbolo di una lotta autentica e appassionata per l’uguaglianza nei diritti di tutti i cittadini, senza alcuna distinzione: proprio l’articolo 3 della Costituzione porta la sua firma.

Una vita di battaglie, la sua, a cominciare dall’esperienza partigiana – fu valorosa  combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù con la qualifica di Comandante di Compagnia – fino all’attività nell’Assemblea Costituente, di cui a 25 anni fu la più giovane componente, alle battaglie successive per i diritti delle donne, per non dimenticare il suo impegno nell’educazione dei minori: fu lei a fondare  la Lega per i diritti dei bambini alla comunicazione che promosse in tutto il mondo campagne per la pace e la non violenza, come anche la Cooperativa di Monte Olimpino, la cui attività era tesa a far realizzare - in piena autonomia -  ai bambini delle scuole elementari e degli istituti per handicappati, dei documentari e cortometraggi. Alcuni di questi furono ospitati nel 1969 dalla mostra del Cinema di Venezia.

Il cinema, una passione che l’ha accompagnata per anni. Ma la più grande fu forse quella per i giovani. La trasmissione della memoria alle nuove generazioni è stata un’altra “battaglia” che ha segnato buona parte della sua esistenza. Memoria attiva, che guarda al futuro. Ci piace oggi ricordare e riportare uno dei suoi ultimi messaggi - accorato, pieno di senso di responsabilità e tenacia morale seppure pronunciato con voce ormai flebile -  rivolto ai giovani dell’ARCI di Mesagne (Brindisi): “Siete la nostra speranza, il nostro futuro. Custodite gelosamente la Costituzione. Abbiamo bisogno di voi in modo incredibile. Cercate di fare voi quello che quello che noi non siamo riusciti a fare: un’Italia veramente fondata sulla giustizia e sulla libertà”.
Porteremo con noi - e non cesseremo mai neanche un giorno di trasmetterla alle ragazze e ai ragazzi - la forza di queste parole, la loro carica di futuro e di limpido e inossidabile amore per il Paese.

LA PRESIDENZA E SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

Roma, 13 marzo 2013

70° anniversario della Resistenza: intervento di Carlo Smuraglia, presidnete nazionale ANPI

Il coraggio di respingere l'indifferenza e di sfidare il futuro


"Respingere l’indifferenza, la rassegnazione, la “distrazione”, in nome di quei che giovani che a partire dal 1943 ebbero il coraggio di riprendere in mano il loro destino e il loro futuro", questo in estrema sintesi il significato dell'intervento del presidente nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia, pronunciato il 9 marzo, in occasione della manifestazione di apertura del 70° anniversario della Resistenza, a Torino, al Teatro Carignano, per ricordare gli scioperi del marzo 1943.

Si avvia qui, oggi, nella splendida cornice di un bellissimo e glorioso Teatro, gremito, un lavoro che ci impegnerà per i prossimi tre anni, per ricordare degnamente l’anniversario della Resistenza. Un avvio felice, bisogna dire, poiché oltre al ricordo ed alla rievocazione degli scioperi del marzo 1943, che saranno tenuti dal Sindaco di Torino, Fassino, da un illustre storico come il Prof. Della Valle e dal Presidente Nazionale dell’Anpi a nome di tutte le Associazioni partigiane, ci sarà anche un importante tavola rotonda con i tre Segretari Generali delle Confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, da cui dovrà nascere non solo un giudizio su quei fatti, ma anche un’attualizzazione.

E’ bene, infatti, che ci impegniamo tutti a fare in modo che le “celebrazioni” del 70° riescano ad evitare il connotato “liturgico” e di pura celebrazione. E’ doveroso, certamente, ricordare gli scioperi del ‘43, un atto di enorme coraggio e di grandissimo impegno politico; è doveroso anche ricordare le vittime, perché vi furono arrestati e deportati e non pochi persero la vita. Ma è altrettanto, e forse più, doveroso cogliere l’occasione per cercare di recare un contributo alla conoscenza ed alla valutazione dei fatti, da molti – ancora oggi – ignorati, per una riflessione sul loro significato e valore, anche alla luce del presente e del futuro.

E’ stata, dunque, una scelta positiva quella di abbandonare il carattere celebrativo che troppe volte ha contraddistinto le nostre manifestazioni sulla Resistenza, per cercare di comprendere appieno ciò che è avvenuto in Italia tra il ’43 e il ’45 e per cogliere il ruolo rappresentato dagli scioperi, nel contesto complessivo della Resistenza; nel quale essi si inseriscono a buon diritto, anche perché quelli del marzo 1943 furono solo l’avvio di un movimento, che continuò con gli scioperi dell’estate, dell’autunno, dell’inverno del ’43, per poi arrivare ai grandissimi scioperi della primavera 1944, in concomitanza con le iniziative della Guerra di Liberazione e in particolare della Resistenza armata.

La Resistenza, infatti, è stata una vicenda straordinaria, forse la più bella e significativa della storia d’Italia; una vicenda che colpisce anche per la sua complessità, perché la lotta armata si coniugò con la resistenza non armata, nelle sue mille forme e manifestazioni, perché – per la prima volta nella storia – si trovarono a reagire alla dittatura fascista e poi alla occupazione tedesca, persone di varie ideologie, di varie professioni e mestieri, uomini e donne uniti nella stessa ansia di libertà e di democrazia.

Anche se è ormai pacifico che gli scioperi, anche quelli del marzo 1943, furono contrassegnati da una forte carica politica, è altrettanto sicuro che essi furono effettuati da tanti lavoratori diversi per idee e per consapevolezza, ma concordi nel cercare non solo la protesta ma anche il riscatto. Così, in tutta la Resistenza, poterono operare insieme comunisti, socialisti, cattolici, liberali, perfino monarchici e molti anche semplicemente contrari al fascismo e ansiosi di libertà.

E’ in questo contesto che si inserisce l’esplosione del 5 marzo 1943 e dei giorni seguenti, che lasciò stupiti e impreparati molti cittadini e molti fascisti, questi ultimi – poi – pronti a reagire con la violenza del potere.
Ed è questa la ragione per cui sono contrario a ridurre la Resistenza ai venti mesi che vanno dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 ed a valorizzare soltanto gli aspetti della lotta armata.

La Resistenza fu un insieme di atti e di comportamenti, armati e non, diretti a contrastare la prepotenza fascista, a liberare il Paese dalla dittatura e dall’occupazione tedesca, a preparare un futuro di democrazia. Ed è in questo complessivo contesto che vanno considerati anche gli scioperi, come parte integrante di un movimento di liberazione estremamente complesso e ricco.
Di questo quadro, intendo sottolineare prima di ogni altra cosa un dato che è la costante di tutto ciò che è stata la Resistenza: il coraggio e la responsabilità delle scelte.

Per meglio capirlo, occorre partire dalla contestualizzazione degli scioperi del marzo 1943, che aprirono – appunto – una fase di lotta e di impegno civile che si concluse solo con l’insurrezione del 25 aprile.
Quando i lavoratori di Torino incrociarono le braccia, alle 10 del 5 marzo, da più di 20 anni erano spariti l’associazionismo, la solidarietà di classe, lo sciopero. Era dal 1926 e più ancora dal 1930, con l’avvento del nuovo codice penale, che lo sciopero era diventato un reato. E quale reato! Il codice penale lo puniva, soprattutto se collegato a finalità politiche, con pene severe, che – considerata anche l’aggravante dello stato di guerra e quella della finalità coercitiva dell’Autorità - prevedevano una sanzione fino a 2 anni di carcere per i partecipi e fino a 4 anni per i capi e promotori.

Ma il fatto, inconcepibile per il fascismo, era di per sé inseribile anche fra i reati contro la personalità dello Stato; e in questo caso si passava dall’associazionismo sovversivo, punito da 5 a 12 anni, al disfattismo politico o economico, punibile con pena non inferiore a 5 anni. La competenza non era più del Tribunale ordinario o della Corte di Assise, ma del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, (organismo più politico che giudiziario) o addirittura dei Tribunali Militari.

Ma c’è ancora di più: essere considerato sovversivo, allora, significava essere esposto a qualcosa di più immediato delle sanzioni penali: dopo l’arresto, l’invio ai campi di concentramento o di sterminio, dove il trattamento è a tutti noto.
Di fatto, chi entrò in sciopero, sapeva a quali conseguenze andava incontro; e non era un’ipotesi teorica, perché, in effetti, furono centinaia gli arrestati o deportati; e di essi, non pochi non fecero più ritorno.

Eppure, al suono delle sirene, a partire dal 5 marzo, decine di migliaia di lavoratori entrarono in sciopero a Torino, a Milano, a Sesto S. Giovanni e in tanti altri luoghi (217 aziende e oltre 150.000 scioperanti, solo tra marzo e luglio).
Scioperi determinati da motivi economici, ma che contenevano qualcosa di molto più rilevante, dimostrando una frattura irreversibile rispetto alla continuità del regime fascista.
E furono soprattutto i fascisti a coglierne l’aspetto politico. Fu il comandante dei C.C. Hazon, fu il questore di Torino, fu il Capo della polizia Senise a cogliere lo sfondo politico e, a loro dire, “sedizioso” degli scioperi, perfino al di là della consapevolezza dei singoli manifestanti.
D’altronde, le parole d’ordine “pane e pace”, come la richiesta di fine della guerra erano incompatibili con l’accettazione della sopravvivenza del regime fascista.
Ebbene, la caratteristica fondamentale di questi scioperi, fu – appunto – il coraggio, l’accettazione dei rischi gravissimi e facilmente prevedibili.
E’ questo che dobbiamo ricordare, prima di ogni altra cosa, anche per far conoscere una realtà spesso dimenticata e sottovalutata, soprattutto da parte di generazioni abituate a sentire parlare dello sciopero come di un diritto e ad esercitarlo liberamente.
Un coraggio che accomuna queste azioni che oggi ricordiamo, a tutto il resto della Resistenza e colloca gli scioperi all’interno di essa.
L’impostazione che a lungo ha prevalso e di cui ho fatto cenno, pur comprensibile, non coglie tutti gli aspetti della Resistenza ampiamente intesa, che è composta da tutto ciò che è stato reazione e rivolta contro il fascismo e impegno contro l’occupazione nazista e contro la R.S.I., e comprende un insieme di atti e di comportamenti che hanno tutti alla base il coraggio delle scelte e la responsabilità.

E’ coraggio quello di chi intraprese e condusse la resistenza armata, ben conoscendo i propri limiti di preparazione e di esperienza militare e ben conoscendo l’enorme disparità di mezzi, strumenti ed uomini rispetto ad un esercito attrezzato e organizzato come quello tedesco. Eppure, quei combattenti – che spesso pagarono il loro coraggio con la morte – non esitarono ad affrontare i rischi, con la ferma volontà di ottenere la liberazione del Paese, a qualunque costo ed a qualunque prezzo.

E’ coraggio quello degli scioperanti del ‘43, consapevoli dei gravi rischi cui andavano incontro.
E’ coraggio quello dei giovani renitenti alla leva, che, al richiamo della R.S.I., si trasformarono in “sbandati” per sottrarsi all’arresto ed alle peggiori conseguenze e, molti, finirono poi per aderire alle bande che intanto si erano formate nelle montagne, oppure operavano nelle città.
E’ coraggio quello dei circa 600.000 militari che, dopo l’8 settembre, rifiutarono di aderire all’invito dei tedeschi e dei repubblichini a collaborare e in effetti, furono trattati – molti – non come prigionieri di guerra, ma come schiavi, alcuni finirono nei lager, e molti non fecero ritorno.

E’ coraggio quello del complesso di azioni e comportamenti che è stato giustamente inserito non già nel concetto di resistenza passiva, troppo riduttivo, ma in quello di “resistenza non armata”, che comprende tutti coloro che rifiutarono la guerra e contribuirono alla liberazione nei mille modi che la storia ci ricorda: dalle donne che, non solo combatterono con le armi, ma affrontarono il pericolosissimo mestiere di staffetta o furono amorevoli soccorritrici di prigionieri e feriti e misero in campo – nelle repubbliche partigiane - un complesso di “intendenza”, come scrivono alcuni storici, che andava al di là di qualunque esperienza del passato, ai contadini che spesso aiutarono i partigiani ben sapendo che se li avessero scoperti, tedeschi e fascisti, li avrebbero fucilati, e incendiate le loro case; ai sacerdoti che cercarono di difendere le popolazioni dalle violenze e brutalità, pagando spesso con la loro vita.

Questa è, dunque, la Resistenza, che oggi dobbiamo ricordare nella sua interezza, proprio partendo da una vicenda, come quella degli scioperi della primavera del ‘43, così diversa dalla lotta armata, ma così ricca di implicazioni, di significati, di valori.
Questa è la Resistenza che dobbiamo non solo ricordare, ma prima di tutto far conoscere, contro ogni forma di negazionismo, di revisionismo o anche di semplice sottovalutazione. Una Resistenza da ricordare ad un Paese smemorato, che troppo spesso preferisce dimenticare o rifiuta di conoscere anziché menarne vanto ed esserne orgoglioso, come accade, invece, in ogni Paese a riguardo delle pagine più straordinarie della sua storia.

Perchè da questa Resistenza nasce non solo un ricordo e neppure solo una memoria che stenta a diventare collettiva, ma viene un grande insegnamento, di cui dovremmo fare tesoro. In quel coraggio delle scelte, degli scioperanti come degli altri, armati o non armati, c’è la forza di un esempio. Se negli scioperanti, così come in tutti i combattenti per la libertà, gli internati militari, le donne, i contadini, i sacerdoti, ci fosse stato un calcolo sui rischi, la Resistenza non ci sarebbe stata, il nostro Paese si sarebbe coperto di disonore ed a questo avremmo aggiunto il discredito di essere stati liberati da altri.
Quel coraggio, che non è fatto di spregiudicatezza e di sterile ardimento, ma di consapevolezza e di volontà politica, dev’essere per noi un simbolo ed un incitamento.
Viviamo in tempi difficili e duri e stiamo attraversando una crisi che assume sempre di più caratteri drammatici e preoccupanti, riguardando – insieme – l’economia, la vita sociale, la politica e la stessa democrazia. Ma ne abbiamo viste tante, in questo dopoguerra, dagli attacchi alla Resistenza e alla Costituzione, alle iniziative e manifestazioni neofasciste, ai tentativi di golpe, alle stragi di cittadini inermi, fino al terrorismo. E siamo riusciti a vincere le difficoltà, a superarle, con fatica, ma ritrovando ogni volta la solidarietà, la volontà di libertà e di democrazia, l’impegno collettivo.

Oggi, nell’affrontare le dure difficoltà di una crisi gravissima e l’incertezza che colpisce intere generazioni e soprattutto i giovani, dobbiamo riferirci a quegli esempi, richiamarci alle scelte ed al coraggio di chi seppe resistere, ai combattenti per la libertà, ai valori che li ispiravano e che poi sono stati trasfusi in una Costituzione molto avanzata, ma troppo esposta ad attacchi, insidie e pericoli. Nelle peggiori difficoltà, nei momenti più difficili, dobbiamo pensare a quegli uomini , a quelle donne che, a partire dal marzo 1943, ebbero il coraggio di riprendere in mano il loro destino e il loro futuro, assumendo le proprie responsabilità e considerando l’impegno civile e l’obiettivo finale superiori di gran lunga ai rischi che potevano correre.

In loro nome dobbiamo respingere l’indifferenza, la rassegnazione, la “distrazione” che ancora permea troppi cittadini del nostro Paese e ad esse contrapporre la volontà di riscatto, per uscire dalla degenerazione economica, sociale e politica in cui versa il nostro Paese. Dobbiamo anche ricordare che la Resistenza non è nata solo da una sterile protesta contro i fascisti e i tedeschi, ma è stato coraggioso impegno, sforzo di volontà per compiere scelte decisive e vincenti.

E’ con questa ispirazione che dobbiamo procedere alle celebrazioni del 70° anniversario della Resistenza; restando ancorati fermamente al passato, a quegli anni straordinari, a quel movimento complesso che abbiamo definito “Resistenza”, a quelle aspirazioni non solo alla libertà, ma anche alla democrazia; ma nello stesso tempo dobbiamo sapere guardare al futuro, con il coraggio e il senso di responsabilità di chi si rende conto di avere un grande debito nei confronti di coloro che si sono impegnati per la nostra libertà, e un forte dovere verso quanti , da noi, si aspettano di ricevere sicurezza, libertà, uguaglianza e democrazia. Lo dobbiamo soprattutto ai giovani, che si trovano a vivere in una società ingiusta ed hanno il diritto di aspirare ad un presente e ad un futuro migliore di quello attuale e, infine, più degno di essere vissuto.

Carlo Smuraglia
Torino, 9 marzo 2013

11 marzo 2013

"Gli italiani si sono assolti dalla vergogna fascista" editoriale di Aldo Cazzullo su Patria Indipendente


Le elezioni e l’apologia del ventennio
GLI ITALIANI SI SONO ASSOLTI DALLA VERGOGNA FASCISTA
Molti non ricordano più le guerre volute da Mussolini e l’assassinio di tanti oppositori
L’«indulgenza» dei romani che hanno eletto Alemanno

L’editoriale di PATRIA INDIPENDENTE, mensile storico dell'Anpi nazionale, sul numero di marzo 2013
Di Aldo Cazzullo

Questa campagna elettorale sarà ricordata anche come quella in cui l’apologia di fascismo divenne consuetudine. Proprio perché non è più considerata un reato, non fa più scandalo, e anzi – purtroppo – fa prendere voti. Su un punto, e solo su quello, l’ex ministro Renato Brunetta ha ragione: Silvio Berlusconi ha detto cose che molti italiani pensano. Voglio sperare che non sia la maggioranza, come ha detto Brunetta; ma il timore ce l’ho.
Perché gli italiani si sono autoassolti dalla vergogna del fascismo. Imputano al nazismo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e dello sterminio degli ebrei. E si raffigurano il Duce come un buon padre di famiglia, un amante focoso, uno statista avveduto che fino al ’38 le aveva azzeccate quasi tutte. Che è poi quel che ha detto Berlusconi, oltretutto nel contesto della Giornata della Memoria.
Non, si badi bene, che “il Duce fece anche cose buone”, come da banalizzazione successiva (e ci mancherebbe altro che in vent’anni di potere assoluto il Duce non avesse fatto anche qualcosa di buono); ma che “per tanti altri versi aveva fatto bene”, ad eccezione si capisce della persecuzione degli ebrei. Il problema – e questo non solo Berlusconi, ma molti altri italiani lo ignorano – è che nel ’38 il Duce aveva già provocato direttamente o indirettamente la morte dei suoi principali oppositori: Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Carlo e Nello Rosselli, don Minzoni, Giovanni Amendola. Aveva fatto bastonare don Sturzo, un sacerdote, e Piergiorgio Frassati, un santo. Aveva preso il potere nel sangue: solo a Torino, decine di morti, con il segretario della Camera del Lavoro ucciso, il corpo legato a un camion e trascinato per le vie della città. E aveva preparato – a parole – per quasi vent’anni una guerra poi ignominiosamente perduta.
Vada Berlusconi a ripetere i suoi giudizi in Val Maira, in Val Varaita, in Val Gesso, nelle vallate del Piemonte povero dove il fascismo reclutò gli alpini della Cuneense, mandati in Russia a congelare con gli stivali di cartone (come i loro coetanei trentini e giuliani); e dove poi i nazisti invasori si accanirono sulla popolazione civile e sui partigiani, purtroppo affiancati dai loro collaboratori fascisti.
Purtroppo la memoria del regime non è la stessa in tutta Italia. A Roma ad esempio si tende a essere abbastanza indulgenti: bene o male il fascismo ha dato all’Urbe un nuovo assetto urbanistico, un nuovo quartiere come l’Eur, ospedali e stazioni, un hinterland con le borgate, un retroterra con la bonifica delle pianure pontine, una piccola borghesia impiegatizia con l’espansione dell’apparato statale; soprattutto, il fascismo ha inculcato nella testa degli italiani – sia pure in forme rozze e antistoriche, tipo il mito dell’Impero con fasci littori e aquile – l’idea di Roma capitale. Non a caso i romani hanno eletto sindaco Gianni Alemanno, in gioventù estremista di destra, e tuttora sui muri della capitale l’effigie del Duce compare a ogni angolo, spesso con gli occhi spiritati dei giorni terribili di Salò. Una vergogna, che purtroppo moltissimi romani non considerano tale.
Eppure è davvero difficile andare fieri di aver rinchiuso i libici nei campi di concentramento sulla loro terra e mandato i loro capi a morire di tifo alle Tremiti, bombardato gli abissini con l’iprite, attaccato la Francia con i tedeschi già a Parigi, aggredito la Grecia, condotto una politica di occupazione in Jugoslavia da migliaia di morti, affiancato i nazisti nella guerra di sterminio in Russia, mandato buona parte degli ebrei italiani ad Auschwitz, per lasciare infine la patria semidistrutta e contesa da eserciti stranieri.
Alla retorica di un’Italia tutta antifascista si è sostituita una retorica uguale e contraria, per cui tutti gli italiani sarebbero stati fascisti. Non è andata così, e non solo per i 30 mila passati sotto il giogo dei tribunali speciali; se gli antifascisti militanti furono ovviamente una piccola minoranza, almeno fino alla guerra, non per questo può ascriversi al consenso la popolazione rurale, rimasta ai margini della vita pubblica, e tanto meno quella operaia.
L’antifascismo, per me, non è una parola morta ma un valore imprescindibile, come l’aria e l’acqua. Attardarsi nella difesa impossibile del fascismo è un guaio non tanto per la sinistra, quanto per la destra. Infatti l’Italia è l’ultimo Paese al mondo in cui destra è sinonimo di fascismo, anziché di legalità, merito, responsabilità, nazione. Costruire una cultura di destra liberale è un compito importante, più ancora che riconoscere le ragioni dei ragazzi di Salò e anche dei bonificatori dell’Agro Pontino; compresi i 20 mila coloni veneti uccisi dalla malaria, derubricata dal regime ad “arresto cardiaco”.
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Comunicato Stampa. Caso Merlino: Soddisfatti per piena adesione ai valori della Resistenza da parte dello Stato Maggiore dell’Esercito

Caso Merlino, Anpi Roma: “Soddisfatti per piena adesione ai valori della Resistenza da parte dello Stato Maggiore dell’Esercito”
L’ANPI di Roma si dichiara soddisfatta per la dichiarazione dello Stato Maggiore dell’Esercito di “piena adesione ai valori fondanti della democrazia, così come ereditati dalla guerra di Liberazione” e per la disponibilità “a ospitare, presso la scuola di fanteria, altri convegni sul tema”.
 
“Non avevamo dubbi sulla lealtà dell’Esercito Italiano alla Costituzione ed ai valori della Resistenza che la ha generata. Speriamo però che questi convegni siano organizzati al più presto, perché bisogna controbattere subito di fronte ai giovani allievi della Scuola di Fanteria le menzogne che sono state loro propinate sulla Resistenza e sulla Repubblica Sociale, prima che possano generare danni”, ha dichiarato il presidente dell’ANPI di Roma Vito Francesco Polcaro, aggiungendo che “è molto opportuno anche l’approfondimento che è stato promesso sull’opportunità di chiamare a parlare in quella sede Mario Merlino perché la spiegazione che ciò è avvenuto in quanto docente che ha insegnato per anni storia e filosofia in un liceo statale, senza che si siano tenuti in conto il suo passato e le sue dichiarate amicizie, ci pare assai debole ed indicativa quanto meno di un’enorme superficialità nell’affrontare un tema così importante come la Guerra di Liberazione”.
 
Intanto lo Stato Maggiore dell’Esercito, informa l’Anpi di Roma, ha anche organizzato un convegno dal titolo “I partigiani militari”, al quale è stato invitato come relatore Massimo Rendina, vicepresidente nazionale dell’Anpi.                     

05 marzo 2013

Comunicato Stampa: sdegnati per la lezione fascista alla scuola di fanteria di Cesano. Basta falsificazioni della Storia, l’Esercito condanni l’accaduto.


“E’ con incredulità e sdegno che apprendiamo dalla stampa che alla scuola di fanteria di Cesano, ad un convegno sulla seconda guerra mondiale, sia stato invitato a tenere una lezione Mario Merlino, un fascista e terrorista amico del capitano delle SS Erich Priebke, che ha sempre rivendicato la sua appartenenza ideologica all'estrema destra”, ha dichiarato Vito Francesco Polcaro, presidente dell’Anpi di Roma. “Condanniamo con la massima fermezza questo episodio, poiché attuato davanti a giovani reclute da una istituzione repubblicana come l’Esercito, che fra i suoi compiti ha quelli di ispirarsi e salvaguardare i valori democratici nati dalla Resistenza e dalla lotta di liberazione dal nazifascismo.”
 
Nella sua relazione Merlino ha anche utilizzato la presenza di una ex repubblichina del servizio femminile, con camicia nera e basco S.A.F., per sostenere le sue tesi di parificazione tra partigiani e repubblichini, esaltando gli anni del fascismo.
 
“E’ ora di finirla con queste falsificazioni della Storia, siamo in presenza di una palese apologia del fascismo. Chiediamo alle istituzioni competenti non solo di vigilare, ma di far valere le leggi Scelba e Mancino”, conclude Polcaro, aggiungendo che “è incredibile che in questo momento delicato della storia della Repubblica Italiana, dove populistiche semplificazioni rischiano di accendere micce pericolose, si debba ricordare non solo ai cittadini, ma alle istituzioni, che furono i partigiani del Corpo Volontari per la Libertà, assieme alle forze armate del Corpo Italiano di Liberazione ed agli alleati, a scacciare dall’Italia un terribile nemico che la occupava, combattendo anche contro i fascisti di Salò, persecutori degli ebrei, oppressori di ogni diversa opinione politica e alleati dei nazisti”.
 
L'Anpi proporrà al Coordinamento romano antifascista di tenere una manifestazione di protesta a Cesano e chiede alla direzione della scuola di fanteria di Cesano di organizzare un incontro tra l'Anpi e gli allievi, in modo che storici competenti possano spiegare chiaramente cosa sono stati per l'Italia il fascismo e la Repubblica di Salò.

04 marzo 2013

Presentazione del libro "Un ragazzo chiamato Anzio" e del film"Tombolo, paradiso nero". il 6 marzo 2013


"UN RAGAZZO CHIAMATO ANZIO" mercoledì 6 marzo 2013 alla Casa della Memoria e della Storia in via San Francesco di Sales , 5 - Roma (Trastevere)
- ore 16,30 - Proiezione del film "Tombolo, paradiso nero", regia di Giorgio Ferroni - anno 1947, durata 95 minuti.
- ore 18 - presentazione del libro "Un ragazzo chiamato Anzio" Sulle memorie autobiografiche di Alfredo Rinaldi, artista e fotografo di Anzio.
Ne parleranno:
Mario Avagliano , giornalista, storico e vicepresidente dell'Anpi Roma
Roberto Geminiani, giornalista accreditato presso uff stampa Gabinetto Ministro Difesa, Stato Maggiore Marina e Protezione Civile Nazionale.
Saranno presenti gli autori Carla Guidi ed Alfredo Rinaldi.
L’opera è stata scritta dalla giornalista Carla Guidi, in forma di diario autobiografico di Alfredo Rinaldi, artista fotografo, nato nel 1928 ad Anzio. Narra della sua vita di ragazzo, prima ad Anzio e poi, dopo lo sfollamento con la famiglia a Roma, della sua avventura con l'esercito americano, che Alfredo decise di raggiungere dopo aver attraversato il fronte a piedi, e con grave rischio, con in mente l'immagine di un popolo ideale che aveva conosciuto solo attraverso il cinema. Con loro partecipa quindi a tutta la Campagna di Liberazione dell'Italia, vive le sue prime esperienze di guerra ma anche i suoi primi amori e le sue prime disillusioni, conoscendo in prima persona, come giovane adulto, il Campo di Calabrone ed i traffici che qui si consumavano.
Alfredo impara anche molto bene la lingua, a guidare e riparare le jeep ed i grandi GMC, rimane in Italia quando i suoi amici americani partono per la Francia, ma rimane alle dipendenze dell’ American Graves Registration Services dall’ottobre del 1945 fino alla completa costruzione e sistemazione del Cimitero Americano di Nettuno, aiutando a recuperare le salme sparse su tutto il territorio circostante, come interprete delle testimonianze dei contadini locali.

Il libro sottolinea in vari modi, quanto la cultura americana, in particolare quella del cinema, abbia influenzato, nel bene e nel male, l'immaginario di un'intera generazione. Alfredo oggi è tra i promotori ed è stato tra i fondatori del Museo dello Sbarco di Anzio, inaugurato in occasione del 50° anniversario e collocato in una delle sale della seicentesca Villa Adele. [www.sbarcodianzio.it]
 

02 marzo 2013

Ci ha lasciato il partigiano Pierino Ragni

Il 27 febbraio scorso ci ha lasciato Pierino Ragni, partigiano della Resistenza dei Castelli Romani e presidente della sezione ANPI di Albano Laziale. Tra le tante azioni a cui ha partecipato va ricordata la clamorosa azione del 'Ponte delle 7 luci' con la quale i partigiani hanno fatto saltare un treno con armi e soldati diretti al fronte di Cassino. Il 1 marzo si sono svolti i funerali ad Albano con una orazione pubblica in piazza tenuta dall'Anpi di Albano e del provinciale di Roma.



"7 dicembre - Squadre partigiane dell’Appio Tuscolano e dei Castelli Romani collocano chiodi a quattro punte sulle vie Appia, Nettunense e Ardeatina; analoga azione di squadre di Torpignattara e di Palestrina sulla via Casilina. Seguono mitragliamenti dei mezzi militari coinvolti nell’ingorgo che si crea".
"20-21 dicembre - Nella notte la banda dei Castelli Romani porta a termine una spettacolare azione. Vengono fatti saltare quasi contemporaneamente il ponte Sette Luci della ferrovia Roma-Formia a circa 25 km da Roma (zona S. Palomba) mentre vi transita un treno carico di militari tedeschi (con circa 400 tra morti e feriti) e tra i caselli 14 e 15 della Roma-Cassino, nei pressi di Labico, un treno carico di esplosivi".

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Ripudia intolleranza, razzismo e antisemitismo.
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