31 ottobre 2013

Perchè siamo contrari alle modifiche dell'art. 138 della Costituzione. Nota di Carlo Smuraglia, presidente nazionale ANPI.

Su ANPInews di questa settimana (n. 94) , inviata martedì 29 ottobre, il Presidente ha fatto un’ampia sintesi di tutte le ragioni della nostra contrarietà sia alle modifiche dell’art. 138 della Costituzione sia alle proposte di merito per riformare la Costituzione.
Si tratta di un materiale che può essere molto utile per i dibattiti da promuovere, per i chiarimenti da dare ai cittadini e soprattutto per rispondere ad obiezioni, osservazioni e perfino insinuazioni che si stanno facendo circolare sulla fondatezza e sulla consistenza delle nostre argomentazioni. Insomma, un materiale importante proprio per tutte quelle iniziative che è necessario che vengano promosse dai nostri organismi periferici, nel prossimo periodo, come più volte raccomandato.
Oltretutto, facciamo presente che il disegno di legge costituzionale che modifica l’art. 138 è stato già oggetto di tre letture, in Parlamento. A dicembre ci sarà la quarta ed ultima alla Camera; se l’approvazione avverrà con una maggioranza superiore ai 2/3 (come già avvenuto in Senato), non ci sarà più nulla da fare, per il metodo, perché non sarà possibile il referendum e il disegno di legge costituzionale diventerà definitivo. Da ciò la necessità e l’urgenza di attivarsi.
 
NOTA DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA:
Alla manifestazione del 26 ottobre a Bologna, davanti ad una multiforme platea, ho colto l’occasione per spiegare (ancora una volta, ma ce n’è sempre bisogno) le ragioni della nostra ferma contrarietà, rispetto non solo al disegno di legge costituzionale che “deroga” all’art. 138 della Costituzione, ma anche – nel merito – al progettato sistema di riforme costituzionali. C’è chi ci sta spiegando che non abbiamo capito, che non c’è nulla di straordinario; anzi, che in ciò che si sta facendo, anche a proposito dell’art. 138 della Costituzione, ci sono aspetti altamente positivi, così come – naturalmente – anche nel resto. Ci permettiamo di dissentire e di insistere sulle nostre ragioni di fondo, che spiegherò ancora una volta, creando una specie di rapida sintesi che riassume e rappresenta, come diceva un grande scrittore “l’inverno del nostro scontento”.
Sono andato sabato a Bologna, per una manifestazione significativa (“Con la Costituzione il nostro futuro”), promossa dal Comitato provinciale dell’ANPI di Bologna, col patrocinio dell’ANPI nazionale.
Con questa manifestazione si intendeva, prima di tutto, continuare il cammino che abbiamo iniziato col nostro documento del 18 maggio sulle “riforme costituzionali” e con le numerose iniziative delle nostre sedi ANPI provinciali da quel momento a tutt’oggi; in secondo luogo, riprendere il dialogo con le altre Associazioni con cui era stata organizzata la manifestazione del 2 giugno a Bologna, superando la breve interruzione derivata da un dissenso (nostro e non solo) sulla manifestazione del 12 ottobre, organizzata al di fuori di ogni intesa con l’ANPI e, a nostro avviso, corredata di intenti che andavano (o potevano andare) al di là del progetto originario, che era quello di combattere insieme un complesso di riforme costituzionali considerato da molti di noi e da tante associazioni come inadeguato e pericoloso, nel metodo e nel merito. Naturalmente, non era quella di Bologna la sede più opportuna per individuare le prospettive comuni, sulla base di un aperto e leale confronto; ma si trattava di dire, con chiarezza, che l’ANPI c’è e vuole continuare unitariamente la battaglia impostata, proprio a Bologna, con la manifestazione del 2 giugno. Ci saranno presto altre occasioni, non ultima la riunione del direttivo dell’Associazione “Salviamo la Costituzione” prevista per la metà di novembre (ed è noto che di quel direttivo fanno parte diverse associazioni importanti, come “Libertà e giustizia”, la CGIL, i Comitati Dossetti, oltre – naturalmente - l’ANPI). E spero che possa trattarsi di un incontro positivo e propositivo.
Mi sono trovato davanti ad una platea composita; c’erano molti iscritti e Sezioni dell’ANPI, alcuni provenienti anche da lontano, da Genova, dalla Toscana, dalla Romagna, da Monza, da Parma e così via; c’erano i ragazzi e le ragazze di “Libera”, c’era uno striscione intitolato “ La via Maestra”; e poi persone che conosco oppure ho conosciuto al momento, di “Salviamo la Costituzione”, della CGIL e di altre Associazioni, E questo, anche a prescindere dai dati numerici, era – di per sé – altamente positivo e indicativo di una volontà diffusa di continuare, con più forza ed unitariamente, nella battaglia.
Davanti ad una simile e multiforme platea, ho colto l’occasione per spiegare (ancora una volta, ma ce n’è sempre bisogno) le ragioni della nostra ferma contrarietà, rispetto non solo al disegno di legge costituzionale che “deroga” all’art. 138 della Costituzione, ma anche – nel merito – al progettato sistema di riforme costituzionali. C’è chi ci sta spiegando che non abbiamo capito, che non c’è nulla di straordinario; anzi, che in ciò che si sta facendo, anche a proposito dell’art. 138 della Costituzione, ci sono aspetti altamente positivi, così come – naturalmente – anche nel resto.
Ci permettiamo di dissentire e di insistere sulle nostre ragioni di fondo, che spiegherò ancora una volta, creando una specie di rapida sintesi che riassume e rappresenta, come diceva un grande scrittore “l’inverno del nostro scontento”.
Il progetto. Le ragioni di questo progetto di riforme sono state spiegate dal Presidente del Consiglio Letta, nello stesso discorso di insediamento, con espressioni che hanno suscitato subito le più vive preoccupazioni di quanti si sentono legati alle ragioni profonde di un “sistema costituzionale”, che ha retto validamente a tante difficili prove. Sono frasi, parole, quelle pronunciate dal Presidente del Consiglio, che esprimono un intendimento che non possiamo condividere, proprio perché distante dallo spirito che domina l’intera Carta Costituzionale, che costituisce un tutto unico, ispirato ad una intrinseca e logica coerenza, ed è - appunto per questo – “rigida”, nel senso non di immodificabilità, ma di una modificabilità limitata e specifica, alle condizioni di cui alla stessa Carta.
Quando si parla di “processo costituente” si dice già una cosa molto diversa da ciò che è previsto dall’art. 138 della Costituzione, che è la principale norma di garanzia, e parla di “leggi di revisione”, dunque di misure parziali e limitate e non di un vero e proprio processo costituente, che – nel significato corrente – esprime l’idea di riforme globali e fortemente incidenti sul sistema.
Eppure, di questo ha parlato il Presidente Letta; che poi ha fatto riferimento alla “forma di Governo”, e anche alla necessità di “scelte coraggiose”; anticipando che l’obiettivo è quello di riavvicinare i cittadini alle istituzioni, “rafforzando l’investitura popolare dell’esecutivo”; ed infine prospettando anche la possibilità di operare una “riforma anche radicale del sistema istituzionale”.
 
Tutto questo indica con chiarezza un percorso che il Governo ha perseguito e sta perseguendo con tenacia, assecondato da un Parlamento dominato da un’ampia maggioranza governativa e troppo poco incline a far rispettare le proprie prerogative.
 
Con le modifiche di cui parla l’art. 138, tutte questo non ha nulla a che fare, in quanto la norma si riferisce ad interventi specifici, su linee chiaramente dettate dal Parlamento. Quanto al resto anche se ne parlerò diffusamente più avanti, dirò fin d’ora che non si riesce ad intravvedere né la ragione di scelte coraggiose e “radicali”, né i motivi di un rafforzamento dell’esecutivo, fondato anche su una diretta investitura popolare.
Insomma, ciò che si è inteso mettere in campo non è “qualche modifica di aggiustamento”, derivata dall’esperienza di questi anni, ma qualcosa di più ampio, di più “costituente”, che finisce per mirare addirittura al cuore del sistema ipotizzato dal legislatore costituente e può consentire deformazioni e deviazioni di rilevante portata rispetto alla nostra Carta.
Il nostro ragionamento è semplice, addirittura elementare: ci sono alcune riforme da fare, non solo di rilievo costituzionale, tra cui la prima è la riforma della legge elettorale; le altre riforme concepibili (in quanto non toccano né i princìpi della prima parte della Costituzione, né la coerenza del “sistema” tracciato nella seconda parte) sono, in grandissima parte, già mature e degne solo di una riflessione seria su alcune scelte che da esse possono derivare.
Si tratta della diminuzione del numero dei parlamentari, della differenziazione del lavoro (oggi sostanzialmente identico) delle due Camere, della risistemazione del titolo V (“Le Regioni, le Province, i Comuni”), per correggere anche alcuni problemi derivati dalla riforma costituzionale del 2001 e per decidere, una buona volta, la sorte delle Province.
A nostro avviso, per affrontare queste tematiche, non c’è bisogno di strumenti e sistemi straordinari: basta seguire quanto dispone, a garanzia di tutti, l’art. 138 della Costituzione e lasciare poi che questo lavoro venga svolto dalle Commissioni parlamentari competenti e quindi concluso in Aula, nelle forme già ricordate e definite con chiarezza dalla Costituzione.
Invece, si concepisce un complicato sistema, che non ha alcuna giustificazione, che comincia col mettere mano allo stesso art. 138 (per una “deroga temporanea”, ingiustificata e incomprensibile), anche per stabilire le tematiche e creare nuovi organismi, tra cui una supercommissione speciale. Il tutto fissando termini molto brevi e imperativi e perfino riducendo, per ragioni incomprensibili, quell’intervallo tra le due letture della legge costituzionale previste dalla Costituzione come utile pausa di riflessione (non solo per i parlamentari, sia chiaro, ma anche per i cittadini e per gli studiosi).
Come se non bastasse, il Governo nomina una Commissione speciale di cosiddetti “saggi” (lo dico senza alcun disprezzo, ma con perplessità, perché non ho ancora compreso quali siano i criteri oggettivi per assegnare tale qualifica), incaricati di stendere una relazione, che verrà poi sottoposta al Parlamento. Un’altra anomalia, e grave, per più ragioni, che poi esamineremo, ma fin d’ora anticipiamo per sommi capi: in tema di riforme costituzionali, si è sempre ritenuto che la parola spettasse al Parlamento, in via assolutamente prioritaria. In questo caso, invece, è il Governo che nomina un gruppo di consulenti (questo e non altro è la famosa Commissione di saggi), che lavorerà sui principali temi sul tappeto e poi presenterà un testo, sul quale ovviamente sarà chiamato a discutere il Parlamento.
E’ o non è, comunque la si metta, una grossa anomalia, che non ha precedenti, nel nostro Paese? Si noti che il Parlamento può nominare consulenti, può sentire, in apposite audizioni, esperti; e lo fa abitualmente. Du que, non si giustifica un preventivo lavoro dei consulenti del Governo, se non perché in realtà si vuole influenzare l’attività del Parlamento, anzi fornirgli addirittura la base della discussione; ed è chiaro che su questo non può concordare chiunque abbia del buon senso (non solo giuridico, ma anche logico). In sostanza, ancora una volta, si tenderebbe ad incidere in modo decisivo sul Parlamento, fornendo una traccia non solo ampia ed argomentata, ma in qualche modo dotata di una certa “vincolatività”, per lo stesso modo con cui è stato composto questo “Comitato”, fondato sulla scelta di giuristi, ma anche sul bilancino del riferimento politico dei singoli.
Quasi a dire al Parlamento che non c’è molto da discutere se il lavoro è stato già fatto da “esperti, che – per di più – rispecchiano, nel loro complesso, qualcosa di simile alle competenze (e per fortuna anche alle divisioni) delle maggioranze politiche. Ciò è tanto vero che questo Comitato ha avuto anche riconoscimenti formali ed istituzionali quali,  di solito, non vengono attribuiti ai semplici consulenti o esperti di cui si serve il Governo.
Ma è ancora più vero se si considera che i maggiori responsabili di quel Comitato già parlano e scrivono come se quello che hanno compiuto fosse un lavoro definitivo, e dunque impegnativo per il Parlamento. Il che, oltretutto, non è vero, e non solo perché poi il Parlamento non è compatto su molte delle questioni esaminate, né in un senso né nell’altro e sarebbe proprio dalla discussione parlamentare (una discussione seria, non condizionata e non affrettata) che si dovrebbe arrivare, come nella Costituente, a soluzioni condivise. Ma poi, il fatto fondamentale è che il Parlamento non sarà chiamato a lavorare su quella relazione, ma sui progetti di legge che riguardino la materia più volte ricordata; e in quei disegni di legge, come è noto, c’è di tutto; e chi può dire che un argomento che non ha prevalso tra i “saggi” o da loro abbandonato, non torni ad essere considerato in sede parlamentare, magari nella peggiore delle versioni possibili?
Dunque, sono giustificate le preoccupazioni di chi teme che si parli ancora di presidenzialismo o semipresidenzialismo, che non sono astrusi di per sé, ma non appartengono alla nostra esperienza giuridica, alla nostra cultura e tanto meno al sistema costituzionale vigente. Il perché di tutto questo ce lo dice, come accennavo all’inizio, lo stesso Presidente del Consiglio, rivelando l’intento reale che sta alla base di questo progetto e formulando proposizioni e indicazioni che sono idonee soltanto a crearci, più che sospetti, preoccupazioni.
Colpiscono poi, in tutto questo, due dati importanti:
Il primo: la legge elettorale, che dovrebbe essere considerata la vera priorità, finisce in fondo, come se la si potesse definire solo dopo aver sciolto alcuni nodi costituzionali di merito. E’ un errore grave, perché nessuno sa quanto un “Governo di larghe intese” possa durare, e fa spavento l’idea che si possa tornare a votare con una legge nefanda e tale da consentire la riproduzione della situazione di stallo che si è creata col voto della primavera 2012.
Ma è un “errore” rivelatore anche del fatto che non si pensa solo alle riforme ormai mature, cui ho già accennato (nessuna delle quali potrebbe incidere sul sistema elettorale), ma si pensa a modificare i fondamenti stessi del sistema vigente, cioè il Governo e il Presidente della Repubblica (come dire: presidenzialismo o semi-presidenzialismo, con tutte le conseguenze che simili scelte comporterebbero per tutta la seconda parte della Costituzione).
Il secondo: tutto il progetto dovrebbe svolgersi all’insegna della fretta, in tempi molto ravvicinati, soprattutto per il Parlamento, e inadeguati alla tempistica di una riflettuta riforma costituzionale. Tempi ravvicinati e accelerati che non si trovano invece, per altre cose assai importanti, come l’applicazione della legge Severino (che dovrebbe essere fatta “immediatamente” e si trascina da mesi), come una discussione, davvero seria e impegnata, sui modi per uscire dalla crisi, con un rilancio delle attività produttive, degli investimenti e soprattutto del lavoro e della sua dignità; discussione che si attende da tempo; ma mentre a Roma si discute sulle riforme costituzionali, “Cartagine brucia”, come si diceva una volta.
E si potrebbe continuare, a lungo, su questa linea, che ci sembra incontestabile.
La modifica dell’art. 138 della Costituzione:
E’ fin troppo facile chiedersi il perché di una legge costituzionale destinata, secondo la relazione al d.d.l., a dettare “una procedura straordinaria di revisione costituzionale”, cioè la deroga, una tantum, ad un breve e significativo articolo della Costituzione, sostituendolo con ben 9 articoli, che intervengono un po’ su tutto (istituzione di un Comitato parlamentare, competenze e lavoro del Comitato, lavoro delle Assemblee, organizzazione dei lavori, referendum, ecc.).
Ma le facili obiezioni sono state subito qualificate, da alcuni, come infondate o frutto di incomprensione. Secondo costoro, non si è dato troppo peso ai vantaggi previsti dall’art. 5, che consente il referendum anche quando le leggi costituzionali siano state approvate con la maggioranza di due terzi.
In verità, i sospettosi potrebbero essere indotti a pensare che anche questo sia frutto, più che altro, di una “furbizia”, nel senso che questa scelta dovrebbe servire a superare le altre obiezioni e lo stesso dibattito sulle “stranezze” del disegno di legge costituzionale, mentre – per altro verso - si farebbe conto sulla difficoltà di promuovere un referendum quando ci sono, a sostenere il testo delle riforme, le forze più consistenti del Paese, visto che comunque restano in vita i presupposti numerici richiesti per l’ammissibilità del referendum (1/5 dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).
Ma ammettendo pure che, nonostante tutto, in questa scelta si possa configurare qualcosa di positivo, ci sarebbe comunque da rilevare che si tratta di poca cosa rispetto a tutto il resto ed al fatto stesso di manomettere una importante “garanzia costituzionale”, con pregiudizio evidente per l’intero sistema. Ma poi, questa soluzione non sarebbe applicabile proprio al disegno di legge costituzionale che modifica l’art. 138 (che incide, cioè, su una “garanzia costituzionale”), con una deroga” temporanea” che non si giustifica e non si spiega, se non in relazione ai contenuti.
E i contenuti principali sono: la costituzione di una Commissione speciale bicamerale, (di cui non ci sarebbe alcun bisogno visto che ogni ramo del Parlamento ha la sua Commissione “Affari costituzionali”), con compiti quasi redigenti, in senso politico, tempistiche accelerate e rigide, una disciplina del percorso parlamentare minuziosa, ingiustificata e pericolosa; la definizione della “materia” delle riforme, che comprenderebbe i titoli “primo, secondo, terzo e quinto” della seconda parte della Carta, vale a dire il Parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica e gli organismi ausiliari; e inoltre il sistema delle autonomie.
Materia troppo vasta rispetto a quanto si è già detto circa le riforme “mature” e che comprende nodi potenzialmente assai pericolosi, finendo per fornire il terreno per chi pensa a presidenzialismo o semipresidenzialismo, con un diverso ruolo del Presidente della Repubblica, che inciderebbe anche sull’attuale struttura di alcuni degli organismi ausiliari (di cui alcuni partico armente importanti come il Consiglio superiore della Magistratura, non esplicitamente compreso nel titolo III, ma anche a questo si è pensato, tant’è che l’art. 2, comma 2, del disegno di legge costituzionale consente all’istituendo Comitato parlamentare, di esaminare o elaborare “anche le modificazioni strettamente connesse ad altre disposizioni della Costituzione”.
Il disegno di legge costituzionale contiene anche una minuziosa regolamentazione non solo dei lavori del “Comitato” ma anche dei lavori delle Assemblee e della loro organizzazione, con una tempistica estremamente rigorosa (termine finale: 18 mesi) e perfino con una riduzione del noto intervallo fra le due letture delle Camere, nella misura della metà di quello attuale (perché?).
A me sembra che quanto ho fin qui descritto sia più che sufficiente per suscitare la più viva contrarietà di chiunque non sia costretto ad obbedire a logiche o direttive di partito. Un cittadino “libero” non può che essere colpito da queste “stravaganze”, che nessun accorgimento dialettico potrebbe riuscire a giustificare e far considerare come “normali” o comunque dirette a perseguire l’interesse del Paese, che resta sempre quello di disporre di
una buona Costituzione, di modificarla secondo le regole da essa stessa stabilite, nei limiti di quanto richiesto dall’esperienza e comunque sempre all’interno di un sistema coraggiosamente e ottimamente definito da una legislatore costituente generalmente assai apprezzato anche per la sua lungimiranza.
I contenuti della progettata riforma:
Si è già detto che essa dovrebbe investire un terreno molto vasto, che riguarda non solo la forma di Governo, ma anche la forma di Stato.
Ovviamente, in linea di principio, nessun sistema costituzionale-ordinamentale può essere contestato, tant’è che ci sono molti Paesi che hanno sistemi diversi, da ognuno di essi accettato e ritenuto positivo. Ma per passare da un sistema ad un altro ci vogliono delle ragioni serie. Non ce ne sono, attualmente, in Italia, per mutare il ruolo del Presidente della Repubblica che è – e deve restare – organo di garanzia autonomo e indipendente, al di sopra delle parti. Non c’è alcuna ragione per creare organismi diversi, per ciò che attiene al Parlamento, da quelli che affondano le radici in una tradizione ormai consistente e sui quali non ci sono dubbi di sorta, allo stato.
Non esistono ragioni neppure per rinforzare in qualsiasi forma l’esecutivo, cioè il Governo, favorendo un’elezione quasi diretta o dotandolo di poteri più pregnanti rispetto a quelli attuali.
L’equilibrio fra i poteri dello Stato è garantito adeguatamente dalla Costituzione. Se qualcosa non va o non funziona, come recenti esperienze dimostrano, la responsabilità non è del dettato costituzionale, ma della politica, che non riesce a rispettare – spesso – neppure la tradizionale divisione dei poteri, che non riesce ad esprimere maggioranze valide ed idonee per governare, che ha trovato le ben note difficoltà perfino ad eleggere il Presidente della Repubblica. A proposito del quale, bisogna ricordare che esistono esperienze diverse, di Presidenti eletti in brevissimo tempo e di Presidenti per eleggere i quali ci vollero giorni e giorni di votazioni.
In tutti questi casi, di rapide o di prolungate votazioni, le ragioni sono sempre state politiche, o attribuibili al funzionamento o disfunzionamento di una politica spesso incapace di svolgere il suo ruolo, chiaramente desumibile dall’art. 49 della Costituzione.
Del resto, la riprova ce l’hanno fornita i famosi “saggi”, che hanno affrontato molti di questi nodi, non trovandosi d’accordo su alcuni di quelli più rilevanti, ma concordando alla fine sui poteri del Governo, che andrebbero rafforzati, secondo loro, in termini che personalmente giudico inaccettabili. Trovo infatti che mettere l’agenda del Parlamento nelle mani del Governo sia una trovata molto discutibile e molto limitativa delle prerogative del Parlamento.
Ognuno capisce che se si desse al Governo il potere di indicare i progetti di legge a cui tiene in modo particolare, precisando la data entro la quale debbono essere discussi, si avrebbe come risultato l’invasione dei disegni di legge governativi, con priorità su ogni altra iniziativa e con buona pace del diritto dei Parlamentari e dei loro gruppi di presentare progetti e pretendere che vengano esaminati e discussi.
D’altronde, e chiudo sul punto, ancora una volta il problema è politico e non di ordine costituzionale, come dimostrano le esperienze degli ultimi vent’anni, nei quali ogni disfunzione è stata determinata o dall’eccessiva forza o dall’eccessiva debolezza della politica.
Cose, entrambe, alle quali non si può porre riparo con l’ingegneria costituzionale, ma con una vera riforma, scritta o non scritta, della politica attuale, sempre più deteriorata, sempre più lontana dai cittadini e spesso dai princìpi, oltreché dalle regole, di una Costituzione che, a maggior ragione non deve essere modificata se non là dove è matura e sperimentata l’esigenza di un aggiornamento; ed ho fatto troppi chiari esempi perché qualcuno possa ancora permettersi di considerarci “conservatori”.
Ogni cosa al suo posto ed al suo tempo: prima di tutto la legge elettorale e gli interventi di politica economica e del lavoro, per la ripresa, l’occupazione e la dignità di chi lavora e delle famiglie.
Certo in un simile contesto, si può metter mano anche agli aggiustamenti alla Costituzione, nei limiti di cui ho parlato più volte, senza alterare né princìpi né impianti complessivi e senza “interventi straordinari”, deroghe temporanee o altro, alle stesse procedure ipotizzate dalla Carta costituzionale. La Costituzione è lì ad indicarci la strada anche per le sue eventuali modifiche. Rispettiamola e – se mai – pretendiamo dei futuri Governi che ha la applichino, integralmente e soprattutto nelle parti in cui è troppo forte ed evidente il divario tra i princìpi e la realtà. E sia ben chiaro che quando questo divario si produce, come sta avvenendo, non sono i princìpi che debbono essere modificati, ma la realtà. Alla fine, è richiesta a tutti un po’ di umiltà.
A quale titolo si può insistere a dire che non abbiamo capito, che c’è un fraintendimento della reale volontà riformatrice, e così via? I “saggi” del Governo saranno certamente bravissimi. Ma vorranno consentire che qualche esperto ci sia anche sul versante di chi dissente; e soprattutto ammetteranno che il discorso, alla fine, è squisitamente politico; e sotto questo profilo un po’ di esperienza concreta non guasta. Solo per dire che le esperienze del passato, in tema di riforme costituzionali, non sono state certamente esaltanti; e dunque un po’ di cautela dovrebbe essere adoperata nell’affrontare temi così delicati.
Quando è in gioco la Costituzione, dobbiamo sapere che è in gioco la regola fondamentale delle nostre istituzioni e della nostra convivenza civile. E’ per questa ragione che una Costituzione può anche essere modificata, nei modi da essa stessa previsti, ma non manomessa.
 
 
 
 

30 ottobre 2013

"C’era una volta per sempre" una favola da non raccontare. Il 31 ottobre presentazione libro di Nadia Giannoni

L’ANPI  di Roma è lieta di invitarvi Giovedì 31 ottobre alle ore 17:30 alla presentazione del libro:

C’era una volta per sempre - Una favola che non dovrebbe essere mai raccontata,

di Nadia Giannoni Lds Blue Robin Edizioni, presso la Casa della Memoria e della Storia, Via San Francesco di Sales, 5.

"Nonna Matilda, raccontami una storia!" Ci sono favole che non si finirebbe mai di ascoltare, favole eterne, che nascondono i sogni dietro un "vissero felici e contenti", e ce ne sono altre che non andrebbero mai raccontate. Per nessuna ragione. Perché hanno un inizio e una trama ma mancano della speranza. Finali assurdi. Forzati. Come "C'era una volta per sempre", una favola al contrario scritta per i grandi, che per il tempo di un libro accompagna con l'immaginazione il viaggio di ventisette bambini e una maestra che sono stati scelti per una missione speciale. "Una favola non favola", come chiede Annina alla nonna, che ha timore persino di ricordare per non rinnovare quel dolore sordo, penetrante, che quando si incontra con quello degli altri si fa specchio. Quel terribile 31 ottobre del 2002 infatti nessuno avrebbe creduto che il futuro di molte persone si sarebbe incrociato con quello di altre, così come nessuno di sicuro pensava che il solo fatto di andare a scuola potesse rappresentare un rischio. Ma il destino a volte ci dà degli appuntamenti ai quali è difficile sottrarsi. E allora bisogna andare. Anche se non vuoi e non puoi. Così come sono andati tutti quei bambini che abbiamo amato e pianto. Che piangiamo ancora. "C'era una volta per sempre" non è solo una favola assurda, ma una sorta di elaborazione di un lutto collettivo, una lettura che invita a lasciarsi rapire dalla fantasia, ad abbandonare per un momento la rabbia e la disperazione, trasformatesi in un dolore invisibile ma forte.

Ne discutono insieme all’autrice:
Dr. Paolo Masini,  Assessore alle Periferie e ai Lavori Pubblici del Comune di Roma.
Dott.ssa Anna Angeletti, Vice Direttrice del Carcere Giudiziario Regina Coeli.
Coordina Ernesto Nassi, Vice Presidente Vicario A.N.P.I. Roma.



 

Relazione del presidente nazionale dell'ANPI Carlo Smuraglia al Consiglio Nazionale del 19-20 ottobre 2013


CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ANPI

19-20 Ottobre 2013

RELAZIONE DEL PRESIDENTE CARLO SMURAGLIA
 

Sommario:
1. Ricordo di chi ci ha lasciato in questo anno e mezzo;
2. Situazione politica;
3. Il
progetto di riforme costituzionali; 4. Neofascismo e iniziative dell’ANPI; 5. L’identità dell’ANPI, alla prova dei fatti;
6. Le regole interne e il rispetto; 7. Due problemi rilevanti: a) il divario fra
iscritti e militanti; b) la comunicazione interna;
8. La manifestazione del 12 ottobre e il dibattito
interno;
9. Problemi politico-organizzativi (rinvio).

Conclusioni
 

***

1. Purtroppo, la logica della vita è che tutto abbia una fine. Questo riguarda tutte le persone; ma colpisce particolarmente un’Associazione come la nostra, fatta di tradizione e di memoria, a cui, però stanno venendo meno, gradualmente ma inesorabilmente, le testimonianze e l’apporto di coloro che si sono spesi per la liberazione del Paese e di coloro che, negli anni, hanno dato tutto di sé per conservare e tramandare i nostri valori. Così, a un anno e mezzo dal precedente Consiglio nazionale, sono ben quindici coloro che ci hanno lasciato (e parlo solo dei vertici nazionali e locali dell’Associazione, perché in realtà le perdite, a livello “diffuso” sono, numericamente, ben più rilevanti di quelle che qui ricordiamo.

Non posso fare, dato il numero, una commemorazione per ognuno di quelli che ci hanno lasciato. Sarebbe troppo lunga, e del resto li abbiamo ricordati di volta in volta con messaggi, con scritti più ampi sulle news-letter e su “Patria” e, in ogni caso, con una partecipazione attiva alle cerimonie e manifestazioni che li hanno commemorati. Basterà ricordare qui i nomi e l’appartenenza agli organismi, rendendo chiaro che nel ricordarli e nel riunirli tutti in un grande abbraccio, ricordiamo anche tutti quei “vecchi” compagni, partigiani, combattenti, che in tutta Italia ci hanno lasciato.

Si è creato un vuoto, che cercheremo di colmare con un maggior impegno, proprio per essere degni di loro. Ma sentiremo, comunque, la mancanza di questi compagni e li ricorderemo con immutato affetto. Ecco i nomi:

Membri del Comitato nazionale: Umberto Carpi; Manfredo Manfredi; Nazareno Re;

Membri della Presidenza onoraria: Rosario Bentivegna; Emilio Bonatti; Annunziata Cesani;

Ferdinando De Leoni; Didala Ghilarducci; Teresa Mattei; Federico Vincenti;

Dirigenti dei Comitati Provinciali: Bruno Brizzi (La Spezia); Vittorio Cioni (Livorno); Mario

Cravedi (Piacenza); Giuseppe Giust (Pordenone); Alvaro Jovannitti (L’Aquila);

A tutti loro ed agli altri che non possiamo tutti qui ricordare, dedicheremo un minuto di silenzio e di raccoglimento.

 

2. Entrando nel vivo per affrontare l’unico punto dell’ordine del giorno, parlerò anzitutto della situazione politica. Che dire, senza annoiarvi troppo e senza ripetere quanto già detto più volte? Nella relazione che ho svolto nel Comitato nazionale del 26 giugno e che, per la rilevanza dei termini trattati, fu inviata poi a tutto il Comitato nazionale ed ai dirigenti provinciali e regionali, mi sono intrattenuto a lungo sulla situazione, che nel frattempo non è molto cambiata, nella sostanza. Riassumendo, e richiamandomi a due editoriali consecutivi che ho scritto su “Patria” rispettivamente nel numero di aprile ed in quello di maggio, posso dire che questo non è il Governo che volevamo e che anzi è molto vicino a quel limite della decenza di cui avevamo parlato in un nostro documento. Un Governo che, al più, potrebbe – dopo la farsa del mese scorso, della “crisi” di Governo, subito superata con una inopinata fiducia – giustificarsi, approvando tre provvedimenti: la legge di stabilità (per intendersi, la ex finanziaria), la legge elettorale e alcuni provvedimenti urgenti a favore dell’economia e del rilancio delle attività produttive. Invece, si sentono propositi di lunga durata, si insiste sulla bontà dei provvedimenti fin qui adottati e di cui non molti si sono accorti e si dimostra quotidianamente che, su ogni argomento (adesso, tanto per fare un esempio, l’abrogazione della legge Bossi-Fini ed altri provvedimenti di tipo repressivo) le due maggiori componenti del Governo sono di parere esattamente contrario. E da questa situazione, com’è noto, non ne può uscire nulla di buono.

Per di più, si pensa d’andare avanti col progetto di riforma costituzionale, sul quale abbiamo espresso un parere nettamente negativo con un documento del 18 maggio scorso; parere non dissipato dalle numerose rassicurazioni e tanto meno dal deposito della prima relazione dei “saggi”, nominati dal Governo. Anzi, reso più forte dal fatto che si precede molto speditamente nella lettura (e rilettura) del disegno di legge costituzionale che modifica l’art. 138 della Costituzione, con una solerzia che invece il Parlamento non riesce a dimostrare su questioni ben più urgenti e rilevanti.

Noi capiamo bene che nuove elezioni, con questa legge, non produrrebbero altro che effetti negativi; ma anche la situazione attuale difficilmente potrà esprimere risultati appaganti, almeno per quanto risulta finora e soprattutto se non si toglie di mezzo il porcellum e non si ottiene una maggiore libertà d’azione da parte dell’Europa. In più, a complicare le cose, c’è la vicenda infinita e squallida di Berlusconi. Un Paese che non riesce a fare i conti con un personaggio ampiamente illustrato negativamente non da noi, ma da sentenze di vari Giudici, compresa la Cassazione; un Paese che non riesce ad eseguire una sentenza definitiva e soprattutto ad applicare una legge approvata a grande maggioranza dal Parlamento, è davvero indegno di considerarsi civile. Per di più, si lascia che chi ha commesso diversi reati gravi e “odiosi” possa dichiararsi “perseguitato”, mentre i suoi sostenitori continuano ad esaltarlo come un grande e intemerato uomo politico.

Tutto viene capovolto, in questo modo, la politica e la morale. E siamo qui tutti a sperare che almeno su questo il Partito Democratico della sinistra tenga duro fino in fondo, non per inimicizia verso un uomo politico, ma per rispetto del principio di uguaglianza e della legge. Francamente, l’esperienza dei 101 che hanno approfittato del voto segreto per impedire l’elezione di un Presidente della Repubblica, non tanto per scarso gradimento nei confronti del candidato, quanto per esercitare vendette o vincere guerricciole interne, è tale da determinare serie preoccupazioni, che speriamo che vengano disperse, chiudendo finalmente questa vicenda che, nell’imbarazzo e nel giudizio critico e sorpreso di tutto il mondo, si trascina da mesi. Dopo di che, sarà la politica a sciogliere questo nodo e gli elettori a decidere. Ma che la legge ci sia e venga applicata a tutti, senza differenze e privilegi, è davvero fondamentale per la sopravvivenza civile del nostro Paese.

 

3. Resta, peraltro, la grave questione delle riforme costituzionali progettate da questo Governo e in corso di esame in Parlamento. Tutta la vicenda ha un sapore agro di assurdità e di pericolosità. Non si tocca la Costituzione e non si modifica una norma di salvaguardia come l’art. 138 a cuor leggero e quasi vantandosene come di un fatto importante. Anche in questo caso, è tutto stravolto; perfino le modalità delle modifiche costituzionali. Che bisogno c’era di modificare l’art. 138, di costituire un Comitato di “saggi” del Governo, fatto solo per servire un piatto pronto al Parlamento e di costituire una supercommissione parlamentare? Come non ci si rende conto che, in questo modo, si reca un oltraggio alla Costituzione, alla logica e al buon senso? Da che mondo è mondo, sulle riforme della Costituzione, decide il Parlamento, nei modi previsti e il Governo rimane estraneo. Nel nostro caso, accade il contrario: è il Governo che traccia il cammino, costituisce un gruppo di studiosi solo per preparare una bozza su cui dovrebbe lavorare il Parlamento. E già si intravedono i risultati: il Parlamento, che fatica ad approvare leggi sul lavoro e sull’economia, liquida in pochi giorni la prima lettura di un disegno di legge costituzionale; e si appresta, trascorso il termine di rito, a procedere con altrettanta solerzia alla seconda e definitiva lettura. È di martedì la notizia che il Senato ha già messo all’ordine del giorno, la seconda lettura del provvedimento. Se tutto andasse bene (per loro) e se il referendum non mandasse all’aria il disegno, tutto sarebbe già pronto (la bozza governativa) per la discussione in Parlamento e il varo di riforme, non sappiamo ancora quali, ma certo pericolose. Occorre ribadire che non siamo conservatori e non avremmo nulla in contrario, se tutto si limitasse alla riduzione del numero dei parlamentari, alla differenziazione del lavoro delle due Camere e poco altro; ma nei modi previsti dalla Costituzione e all’interno di una unitaria e profonda coerenza col sistema dettato dal legislatore costituente.

Ma siamo legittimati a temere il peggio. Ed è per questo che abbiamo chiamato tutta la nostra Associazione a mobilitarsi, per chiarire, informare, far conoscere e dunque coinvolgere la gran parte dei cittadini, che tuttora non sa e non capisce che cosa stia avvenendo. In questi mesi, successivi al nostro comunicato del 18 maggio, alcuni nostri organismi hanno assunto iniziative e costituito Comitati per la Costituzione, seguendo le direttive che avevamo dato con quel documento, con la diffusione della mia relazione al Comitato nazionale del 26 giugno, e con numerosi miei interventi, sulle news-letter di questa estate. Altri, purtroppo, hanno fatto ben poco; alcuni non hanno fatto assolutamente nulla, però si sono precipitati a Roma per una manifestazione. Capisco che è più facile passare una giornata con molta gente, nel calore di una manifestazione coinvolgente, piuttosto che prepararsi, studiare, organizzare.

Ma tutto questo significa che non si è capito che il pericolo è serio e non lo si può contrastare con alcune manifestazioni, ma occorre impegnarsi nel lavoro quotidiano di mesi, per coinvolgere tutti e non solo gli amici oppure quelli che, politicamente, si ritengono più vicini. Il problema, ripeto, è serio ed è certo che non riusciremo a risolverlo da soli, perché questa volta, in caso di referendum, ci troveremo di fronte non solo il Pdl, come nel 2006, ma tutti i partiti di Governo. Ed allora è chiaro che bisogna coinvolgere molti cittadini, anche diversi da noi sul piano della politica generale, ma che almeno sentano il valore di una Costituzione che non può essere modificata e oltraggiata a cuor leggero. Ecco perché bisogna costituire

Comitati, alleanze, iniziative aperte e coinvolgenti; ecco perché non ci si può rinchiudere nel recinto della sinistra o, addirittura, di una parte della sinistra, perché questo significherebbe sconfitta sicura. È questo il tema che ci si è posto davanti, quando si è trattato di proseguire il cammino iniziato il 2 giugno a Bologna; come andare avanti, unitariamente, allargando il consenso e ingaggiando una battaglia duratura e distesa nel tempo. Ci siamo trovati di fronte ad una strada diversa e, per noi, non produttiva, e non l’abbiamo accettata; ma di questo parleremo a parte, più oltre. Ma una manifestazione non è tutto e noi intendiamo continuare. Così il 26 ottobre andrò a Bologna per un’iniziativa sulla Costituzione, che avrà anche il patrocinio nazionale. Ho proposto a “Salviamo la Costituzione” di promuovere una riunione veramente ampia, di tutte le associazioni che parteciparono alla manifestazione di Bologna, per proseguire il cammino insieme. Ma intanto, bisogna ampliare e intensificare la nostra iniziativa, considerando questa una priorità e promuovendo una vera campagna nazionale di lunga lena.

La difesa della Costituzione è uno dei compiti più importanti tra quelli che ci assegnano lo Statuto e il documento politico approvato dal Congresso. Certo, bisogna andare ancora oltre; e per noi difesa ha sempre significato anche pretesa di attuazione, perché questa Costituzione così bella non ha avuto la buona sorte di essere intesa, applicata e resa effettiva dai vari Governi del dopoguerra; ed oggi c’è un profondo divario tra i princìpi fondamentali e la realtà. Ma anche qui bisogna riuscire a distinguere e scegliere i momenti in cui si può parlare di tutto e quelli in cui bisogna affrontare il contingente e l’immediato. Il meglio è riuscire a portare avanti, insieme, tutti gli obiettivi, ma sapendo che ci sono richieste che si rivolgono al Parlamento, altre al Governo e altre ancora ad entrambi. E bisogna sapere come muoversi con la duttilità e l’impegno di una lotta, lunga e difficile.

4. Non è facile condurre la battaglia di cui ho parlato; ma ne dobbiamo affrontare anche altre, sicuramente importanti. Innanzi tutto, quella del neofascismo, del neonazismo, del razzismo, perfino del negazionismo. Contro questi ultimi, c’è una battaglia anche culturale da affrontare, per i tentativi sempre risorgenti di negare i costi e gli effetti di una dittatura, i campi di concentramento, il valore della Resistenza. Ci sono storici che si sono dedicati al cosiddetto ridimensionamento della Resistenza; e scrittori che su questo hanno realizzato cospicui guadagni. Noi dobbiamo riuscire a superare le difficoltà, mostrando la normalità della Resistenza, nelle sue luci e nelle sue ombre, ma esaltandone il valore; e dobbiamo contestare con forza i tentativi di negare le responsabilità e le colpe del fascismo e del nazismo. Ma poi bisogna fare i conti col neofascismo, che continua a diffondersi, magari con nomi diversi (il fascismo del terzo millennio; casa Pound, ecc.), ma sempre cercando di accreditarsi e di fare proseliti, soprattutto fra i giovani. Abbiamo cercato, in tutti i modi, di contrastare questi fenomeni, ma dobbiamo riconoscere che ciò che occorre è coinvolgere lo Stato, le istituzioni, la Magistratura, i Comuni, soprattutto la scuola. Bisogna dire basta alla neutralità, all’indifferenza, ai pregiudizi e pretendere che il nostro Stato diventi, nel suo complesso, veramente democratico e si comporti come tale.

Faremo, a metà dicembre, un nuovo incontro all’Istituto Cervi, dove lanciammo, più di un anno fa, un documento sull’antifascismo. Vogliamo verificare che cosa abbiamo ottenuto, che cosa dobbiamo fare, come dobbiamo operare, anche al di là dei consueti schemi (il presidio, le dichiarazioni e così via). Abbiamo anche aderito alla FIR, la Federazione internazionale dei resistenti e antifascisti, perché il fenomeno ha ormai carattere europeo ed è incredibile che si riuniscano in Italia e altrove i dirigenti dei vari movimenti neofascisti e neonazisti europei, mentre l’antifascismo non riesce ad incontrarsi ed organizzarsi, allo stesso livello. Insomma, stiamo lavorando, ma bisogna fare di più e meglio, soprattutto coinvolgendo le istituzioni, per fare in modo che l’antifascismo e la democrazia entrino nella coscienza e nella sensibilità degli organi dello Stato, creando quindi quella cultura democratica diffusa, che è l’unica che possa opporre un fronte insormontabile ai rinascenti tentativi più o meno nostalgici, ma sempre diretti a ricondurci su una strada non consona ad una nazione civile.

Infine, su questo punto, bisogna fare molta attenzione al pericolo che dalla crisi si tenti di uscire non solo a destra, ma addirittura con soluzioni autoritarie o populiste. È già avvenuto, in Italia e in Germania, con l’avvento del fascismo e del nazismo, dopo una grave crisi economica e politica. Le condizioni, ovviamente, non sono le stesse; ma bisogna ricavare dal passato gli insegnamenti necessari per creare efficaci antidoti contro ogni rischio di uscita dall’ambito democratico.

Anche sotto questo profilo, la formazione e la cultura storica sono molto importanti; e noi dobbiamo fare l’impossibile perché si estendano. Di recente, ho incontrato la Ministra dell’istruzione per esporle il problema dell’insegnamento, nelle scuole, della storia del fascismo e della Resistenza, ma anche dello sviluppo di quella educazione civica che ormai sembra dimenticata. La Ministra si è dichiarata disponibile a realizzare progetti e perfino a studiare convenzioni in questa direzione. Una disponibilità che considero assai positiva e che stimola a formulare progetti e indicazioni concrete, nella convinzione che è soprattutto nella scuola che si formano le cittadine e i cittadini.

 

5. Di fronte alle nuove situazioni che di continuo si presentano, nel Governo, nel Parlamento e soprattutto nella società, bisogna chiedersi come l’ANPI si comporta e soprattutto come si deve comportare per corrispondere alla figura e all’identità che emergono con chiarezza dallo Statuto e dal documento politico approvato dal Congresso, troppo spesso dimenticato da non pochi e che invece definisce una linea ed un orientamento da cui non possiamo prescindere. Le indicazioni sono molto chiare: l’ANPI deve essere sempre sé stessa, quella della memoria attiva, della difesa intransigente dei valori della Resistenza, quella del riferimento continuo, come ad un faro, ai princìpi ed ai valori della Costituzione, quella dei diritti, dell’antifascismo, della contrarietà ad ogni forma di disuguaglianza e di razzismo, quella che guarda al futuro non dimenticando mai di restare ancorata al passato straordinario che abbiamo vissuto. L’ANPI deve essere sempre per l’unità antifascista, deve essere “la casa di tutti gli antifascisti” che credono nei valori della Costituzione. L’ANPI non è un partito e non deve avere nulla a che fare con la politica (partitica), pur restando fedele al principio che la politica è necessaria come l’aria, purché sia “buona” e non deteriore. “Si aderisce all’ANPI non per una scelta di schieramento partitico, ma per la sua storia, per la sua memoria, per i valori e i princìpi della Resistenza e della Costituzione”: così dice il documento politico del Congresso, aggiungendo che ciò non significa agnosticismo, perché l’ANPI deve – invece - svolgere la funzione di “coscienza critica della democrazia e della società”. Parole molto chiare, non semplicissime quando si tratta di calarle nella realtà; e non sempre comprese da tutti.

Quando, nel 2006, abbiamo aperto agli antifascisti che condividevano le nostre finalità e i nostri ideali, sono entrati in molti, per fiducia e stima della nostra tradizione ed anche, non pochi, perché delusi dalla politica dei partiti e dei sindacati o di altre associazioni. Questo ci ha caricato anche di attese e speranze eccessive, che – se accolte – ci avrebbero portato e ci porterebbero fuori dalla nostra natura e dalla nostra ragion d’essere, e indebolirebbero quella “autorevolezza” politica e morale dell’Associazione e dei suoi dirigenti, necessaria – come dice ancora il documento congressuale – perché essa continui ad essere punto di riferimento per i democratici e gli antifascisti. E questo è un punto fondamentale, perché se cediamo a tutte le pressioni e a tutte le tentazioni che continuamente ci vengono dirette (e non solo dai giovani), finiamo per perdere la nostra identità e diventiamo una delle tante Associazioni, che legittimamente esistono nel nostro Paese. Se ci lasciamo qualificare come una “parte”, perdiamo la nostra autorevolezza e quell’autonomia che ci rende forti.

Allora, bisogna sempre tenere ferma la barra su ciò che siamo e su ciò che dobbiamo essere. Questo può procurarci, qualche volta, dispiaceri e tensioni; ma non possiamo, non dobbiamo cedere, perché il giorno in cui ci collocassimo su posizioni che sono di una parte sola dei cittadini, perderemmo la stima e la fiducia degli altri. Questo non significa, naturalmente, che dobbiamo essere buoni per tutte le stagioni o neutrali di fronte a vicende preoccupanti o rischiose; ma vuol dire che dobbiamo cercare di essere sempre noi stessi, a costo anche di qualche rinuncia, pretendendo rispetto e stima, proprio perché resistiamo alle seduzioni che ci porterebbero fuori dalla nostra storia e snaturerebbero la nostra identità.

Su questo piano, io credo che dobbiamo essere rigorosi, anzi addirittura rigidi. Nelle manifestazioni andiamo con le nostre bandiere, ma ci siamo solo se – potenzialmente – ci sono tutte le bandiere democratiche e non una parte di esse. Essere dell’ANPI dev’essere un onore; ma bisogna anche guadagnarselo. Del resto, la Resistenza non è stata solo delle sinistre, anche se numericamente preponderanti; ma è stata un fenomeno complesso, che ha visto convergere ideologie molto diverse, dai comunisti ai socialisti, ai democristiani, a “Giustizia e libertà”, ai liberali, talora – nei CLN – perfino a monarchici. E questa è stata la soluzione vincente per avere una Costituzione meravigliosa, che mai sarebbe stata così, se fosse stata il frutto di accordi parziali. Non a caso, essa è stata votata da una maggioranza straordinaria; e solo da maggioranze come quella può essere modificata. So bene che su questo punto c’è discussione e talora idee diverse; ma se, personalmente, resisto talora anche con fermezza, è perché sento il dovere di portare avanti con linearità questa Associazione, così ricca di tradizioni e di memoria, ma anche così ricca di idee, così pluralista nel confronto e nel dibattito, ma mai al punto da essere fuorviata e trascinata, come suol dirsi, nella mischia. Mi sono trovato, in diverse occasioni, a scegliere la strada più difficile (quante volte è capitato di rinunciare al consenso di tutti!), ma l’ho sempre fatto perché il Congresso ci ha incaricato di traghettare la nostra ANPI verso il futuro, ma senza snaturarla e senza perdere mai la sua identità e la sua autonomia. Sì, perché anche di questo si tratta, di conservare gelosamente la nostra autonomia, in ogni momento e in ogni occasione.

Quando sento qualcuno accusare l’ANPI di essere troppo vicina al PD o troppo condiscendente col Presidente della Repubblica, un po’ mi indigno e un po’ sorrido, talmente sono vuoti e provocatori giudizi del genere. Ho più volte sfidato qualche sostenitore di queste tesi a fornire una prova, una sola, dell’accusa di essere – come uno si è permesso di scrivere – la “stampella” del PD. Mai si è potuto fornirla, questa prova, perché i nostri comunicati, le nostre prese di posizione, i miei scritti sulla news – letter dell’ANPI o su “Patria”, sono lì a smentire qualunque condiscendenza o tanto meno di appoggio al PD; al quale non abbiamo risparmiato critiche, come ad ogni altro. Evidentemente, chi ci muove queste accuse, non ha letto neppure il discorso che ho fatto a Bologna il 2 giugno (pubblicato, per intero, nel sito dell’ANPI). Non gli farebbe male dedicare qualche minuto ad una lettura, tutto sommato, agevole ed utile. Certo, non chiamiamo in causa il Presidente della Repubblica nei modi usati dai “grillini”; ma quando abbiamo avuto qualcosa da dire o qualche perplessità da esprimere, lo abbiamo fatto, certo col rispetto dovuto alla più alta carica dello Stato, che ha funzioni di garanzia per tutti, anche per noi.

Infine, ho parlato di identità e di autonomia; ma bisogna parlare anche di funzionalità. Su questo piano, c’è molto da rilevare, perché nel complesso, l’ANPI c’è e lavora, ma con quante difficoltà e quante lacune. Su alcune di queste si soffermerà, nel suo intervento, Luciano Guerzoni, responsabile dell’organizzazione. Io voglio solo accennare ad alcuni limiti rilevanti: la mancata risposta, da parte di troppi, alla richiesta di mobilitarsi contro le riforme costituzionali; l’esilissima raccolta di firme sulla petizione per ottenere un dibattito parlamentare sulle stragi nazifasciste; lo scarso seguito che è stato dato, in moltissimi Comitati provinciali, al progetto di formazione, iniziato col corso – tipo a Parma e continuato con la distribuzione del libro, che conteneva le lezioni di quel corso; la lentezza nel dar seguito all’impegno assunto nel Congresso, relativo alla costituzione di un’anagrafe degli iscritti; i problemi di comunicazione interna, su cui mi soffermerò più avanti. Sono solo alcuni esempi, ma significativi di un Associazione che si muove a macchia di leopardo e talora, bisogna dirlo, a scartamento ridotto. A tutto questo bisogna, con sollecitudine, rimediare con un forte e continuativo impegno collettivo.

 

6. Naturalmente, ogni Associazione che si rispetti ha, e deve avere delle regole, scritte e non scritte. Quelle scritte derivano dello Statuto e dal Regolamento e vanno rispettate. Quelle non scritte, ma che appartengono alla nostra tradizione e sono connaturate alla nostra identità, quando non sono addirittura espressamente indicate nel documento congressuale, sono ugualmente imperative. E qui bisogna dire che c’è ancora bisogno di fare chiarezza, perché nella mente e nel costume di alcuni nostri iscritti, permane l’idea di poter fare ciò che si vuole. Non è così; e lo dice espressamente il documento congressuale quando afferma che nella “nuova stagione dell’ANPI sono da confermare, fra l’altro, l’unità, il rigore, la disciplina, il rispetto dello Statuto e delle regole”. Questo non significa trasformare l’ANPI in una caserma, ma farne un’associazione autorevole anche perché tutti sono rispettosi delle regole e del costume dell’Associazione stessa.

Sono capitati, in questi giorni, episodi di vera e propria disubbidienza, al limite – in alcuni casi – della provocazione. Era legittimo dissentire dalla decisione della Segreteria di non partecipare – come ANPI – alla manifestazione del 12 ottobre; ma questo autorizzava, ovviamente, ad andarci a titolo personale e non con le bandiere e i simboli dell’ANPI, come hanno fatto alcune Sezioni della Toscana, dell’Emilia e di Roma. Tantomeno autorizzava (questa è stata veramente una provocazione) a portare sul palco la bandiera dell’ANPI. Nè consentiva a nessuno di annunciare che sarebbe andato lo stesso con il distintivo e col fazzoletto dell’ANPI, salutando ironicamente il Presidente del proprio Comitato provinciale e il Presidente nazionale. Tutto questo è tanto più spiacevole e sorprendente, quando si pensi che dei “dissidenti” di oggi, pronti a correre a Roma, ben pochi avevano trovato il tempo per partecipare alla manifestazione, pur importante, del 2 giugno, a Bologna. Ma che Associazione sarebbe se tutti si comportassero così? Che senso, non tanto di disciplina quanto di appartenenza, c’è in chi ostenta il dissenso rispetto alle decisioni degli organismi dirigenti? Una cosa tanto più grave in quanto alcuni di questi “dissidenti” non avevano seguito la direttiva di attivarsi per la Costituzione e contro le riforme in gestazione, non facendo assolutamente nulla, per poi correre, invece, a Piazza del popolo.

A costoro bisogna dire che l’ANPI non è un luogo di anarchia, di mancanza di rispetto delle regole e degli stessi organismi dirigenti. Forse in altre Associazioni (che sicuramente sentono più vicine) si troverebbero di più a proprio agio; ma perché allora scegliere l’ANPI, per poi offendere i valori che ci vengono dalla nostra tradizione?

Siamo pluralisti e consideriamo il confronto e il dissenso come il sale della nostra convivenza, ma a condizione che siano rispettosi delle nostre regole, della nostra prassi e del confronto civile. Sanno costoro che per tanti anni, dal 1944 in poi, quando la nostra Associazione è nata, nessuno si sarebbe sognato di compiere pubblicamente atti di disobbedienza manifesta e provocatoria?

Dobbiamo tornare, tutti, alle regole ed al rispetto. Se i dirigenti sbagliano, si può discutere e cercare di correggere le opinioni o le decisioni che non si condividono. Ma, nella nostra Associazione non si può andare oltre, perché altrimenti sarebbe l’anarchia e il tradimento di quella fratellanza che i “nostri”, i vecchi combattenti per la libertà, ci hanno tramandato.

Voglio citare, per concludere, una frase importante del documento politico approvato dal Congresso: “Corrette posizioni sulle questioni di orientamento sono decisive per un lineare svolgersi della vita associativa e per salvaguardare l’identità dell’ANPI e delle sue politiche”. Non occorre commentare.

 

7. Restando nel campo di ciò che la nostra Associazione deve e vuole essere, voglio affrontare ancora, sia pure rapidamente, due problemi che ci rendono insoddisfatti e che occorre risolvere proprio perché l’ANPI abbia ancora una vita lunga e gloriosa.

a) Ogni anno, noi riceviamo nuove iscrizioni e ne siamo felici.

Ma alla fine dell’anno, mentre conquistiamo nuovi iscritti, ne perdiamo altri dell’anno precedente. Il saldo numerico varia di poco; ma quello politico impone una riflessione. Se è così, i casi sono due: o ci si iscrive solo per un’occasionale fiducia nell’ANPI, che noi deludiamo; oppure siamo noi che non siamo capaci di trasformare un atto di fiduciosa ma generica iscrizione, in adesione convinta e fattiva. Oppure, concorrono entrambi i fattori; ma è certo che vanno risolti, non solo perché non dobbiamo deludere nessuno, ma anche perché dobbiamo essere capaci di valorizzare tutte le energie disponibili, trasformando in militanza quella che era una semplice adesione.

Molto spesso, accade che la stessa accoglienza è solo formale e momentanea, senza alcuno sforzo coinvolgente; altrettanto spesso accade che non sappiamo come utilizzare bene chi viene da noi; e dico utilizzare e non sfruttare. Sapere con chi abbiamo a che fare, che cosa fa, quale mestiere o professione, come è orientato sulla Costituzione e sulla Resistenza, è importante proprio per poter disporre di energie nuove e per coinvolgere ciascuno, secondo le proprie qualità ed esperienze.

C’è davvero bisogno di “conoscere” ognuno, per risolvere uno dei nostri problemi che è il divario, notevole, tra adesione e militanza. Spesso si va in Sezioni o in Comitati provinciali, a distanza di tempo, per scoprire che quelli che lavorano sono sempre gli stessi e non c’è stato un coinvolgimento reale di altri e specialmente dei giovani. È un aspetto che dobbiamo curare, perché siamo un’Associazione che si basa sul volontariato e dunque ha bisogno assoluto del contributo e dell’apporto di tutti. È un vero sforzo da compiere, dunque, nei confronti di tutti i tesserati, ma soprattutto nei confronti dei giovani e delle donne.

b) Ancora un problema: la comunicazione al nostro interno. Dal vertice, con le poche forze di cui disponiamo, facciamo di tutto per essere tempestivi, per dare indicazioni, per intervenire sui problemi e sulle questioni nuove e di attualità. E lo facciamo con mezzi limitati e talora inadeguati, attraverso i comunicati, le dichiarazioni, le mie note sulla news-letter settimanale, “Patria”, il sito.

Ma quanto di tutto questo arriva alla cosiddetta “base”? Quanto rimane nei cassetti delle Presidenze provinciali o dei Presidenti di Sezione? Cosa si fa perché la conoscenza, l’informazione, arrivino a tutti gli iscritti ed anzi vadano anche all’esterno? Ci sono, in questo campo, lacune evidenti: so di Comitati provinciali che diffondono automaticamente la news-letter, appena arriva, a tutte le Sezioni, e questo è bene. Ma so anche di sedi e luoghi in cui nessuno sa nulla e talvolta vediamo alcuni meravigliarsi quando si parla di un’iniziativa, nostra o di altri organismi, che gli era ignota e che invece, avrebbe dovuto essere conosciuta. In questo campo, occorre una vera e propria svolta, perché tutti devono essere informati di tutto ed essere posti in grado di discutere, confrontarsi, magari dissentire, ma consapevolmente.

E poi c’è la nostra convinzione che il cartaceo non basta e non può bastare, soprattutto con i giovani abituati, ormai, ad altri mezzi e modi di comunicazione. Siamo anche su face-book, ma non basta. In ogni sede, bisogna attivarsi e cercare di risolvere questo problema, che è la vita stessa della nostra Associazione e il fondamento del nostro essere. E chiediamo ai nostri giovani di dirci come possiamo raggiungerli, cosa ci consigliano e ci chiedono; e cerchiamo di venir loro incontro, anche contro le nostre stesse abitudini, che ormai vanno adeguate, ed è bene che ne siamo consapevoli.

 

8. La manifestazione del 12 ottobre (e il dibattito interno).

Ho ritenuto di dedicare a questo argomento una parte specifica e piuttosto ampia della relazione, perché sulla questione vi è stato dibattito e sono stati manifestati dissensi e dunque è bene si discuta ancora, fino ad un auspicabile chiarimento. Premetto, però, che dovrò limitarmi all’esposizione dei fatti, almeno nella relazione scritta, perché questa deve essere redatta – ovviamente – in anticipo, sapendo peraltro che della questione si occuperà, nella sua riunione del 18 p.v., il Comitato nazionale, per cui è giusto attendere, in questo momento, il parere e le decisioni del nostro massimo organismo dirigente nazionale. Mi riservo di completare eventualmente, questa parte, oralmente, nel corso dello svolgimento della relazione, nella seduta del Consiglio nazionale di venerdì 19.

I fatti sono i seguenti: venuti a conoscenza del progetto di riforma costituzionale che si andava delineando, nel Governo e nel Parlamento, la Segreteria nazionale emanava – in data 18 maggio – un comunicato, a nome del Comitato nazionale (nell’intento di renderlo più forte), nel quale si assumeva una posizione molto netta di contrarietà ad ogni modifica dell’art. 138 della Costituzione, alla costituzione di Comitati di “saggi” all’esterno del Parlamento e in definitiva, alle progettate riforme, ove non fossero in coerenza con i princìpi della prima parte della Costituzione e con la stessa concezione che è alla base della struttura fondamentale della seconda. Nel documento, si ribadiva la necessità di procedere prioritariamente alla riforma della legge elettorale e si invitavano tutti gli organismi dell’ANPI a mobilitarsi e impegnarsi a fondo su questi temi, assumendo iniziative (a partire da quelle programmate per il 2 giugno) e irrobustendo l’informazione ai cittadini. Si chiariva, infine, che la contrarietà non era determinata da spirito di conservazione, ma da fedeltà alla Costituzione, accettando anche l’idea che si potessero introdurre modifiche, ma rispettose del “sistema costituzionale”, indicando specificamente la riduzione del numero dei parlamentari, la differenziazione del lavoro delle due Camere, l’abolizione delle Provincie (quest’ultima, a seguito di approfondita discussione sulla struttura e articolazione complessiva della Repubblica).

Intanto, Libertà e Giustizia, con altre Associazioni, promuoveva una manifestazione nazionale, a Bologna, per il 2 giugno, alla quale aderiva prontamente la Segreteria nazionale; il Presidente, poi, partecipava alla manifestazione, veniva accolto sul palco con grande rilievo (per l’ANPI) e prendeva, fra gli altri, la parola. La manifestazione riusciva perfettamente. Naturalmente si poneva il problema di come proseguire, restando fermo l’impegno dell’ANPI di andare comunque avanti con le iniziative di cui al documento del 18 maggio.

Da un comunicato stampa di Libertà e Giustizia (“Costituzione, basta giocare col fuoco”) emerge il compiacimento per la riuscita della manifestazione del 2 giugno, raccolta attorno a personalità come Zagrebelsky, Rodotà, Settis, Azzariti, Smuraglia e attorno ad Associazioni come “Libertà e Giustizia, i Comitati Dossetti, la Convenzione per la legalità costituzionale, Salviamo la Costituzione, l’ANPI nazionale, i sindacati”; si affermava, inoltre, che “un incontro organizzativo si terrà prima di luglio”, anche per “gettare le basi per il Comitato referendario”.

Successivamente, in un’altra missiva del 24 giugno di Libertà e giustizia, alle Associazioni del 2 giugno, si chiedeva di dare la disponibilità di date e preferenze di luoghi per la prima metà di settembre. Di fatto, non accadeva nulla. Sicché, il 25 luglio, il Presidente dell’ANPI indirizzava una lettera a Zagrebelsky, Bonsanti, Pace, Rodotà, esprimendo preoccupazione per l’andamento dei lavori parlamentari sul disegno di legge costituzionale e proponendo almeno un incontro tra pochi, in vista della riunione plenaria delle Associazioni, che ormai sembrava destinata a tenersi a settembre.

Risposte: Libertà e Giustizia; il 31 luglio: “poi faremo sapere quando si terrà la riunione con le Associazioni del 2 giugno per decidere le prossime mobilitazioni”;

Zagrebelsky: “abbiamo intenzione di vederci a settembre… la partecipazione dell’ANPI è, ovviamente, decisiva; le faremo sapere”; Rodotà: “sentiamoci un po’ più avanti per vedere se si riesce a fissare una data”; più avanti, il Prof. Pace scriverà: “a seguito della tua del 25 luglio, mi detti da fare, ma fu un flop”.

Il 2 settembre, il Presidente dell’ANPI torna alla carica, scrivendo agli stessi destinatari, esprimendo preoccupazione per quanto accaduto in agosto (petizioni e appelli, patrocinati dal “Fatto” ed altri; incontro del 6 agosto tra Landini, Rodotà Zagrebelsky, ecc…, e manifestando perplessità sul fatto che si potesse configurare un’iniziativa di schietto carattere politico, alla quale l’ANPI non avrebbe potuto aderire.

Unica risposta: Sandra Bonsanti, che scrive, il 3 settembre, di essere stata lontana dall’Italia in agosto, di comprendere i dubbi manifestati ma di escludere qualunque percorso schiettamente politico, ribadendo che appena ci fosse stato qualcosa di nuovo, l’ANPI sarebbe stata informata.

Intanto, le cose vanno avanti; si parla, sulla stampa, di un’assemblea aperta, per settembre ottobre, a Roma e di una manifestazione nazionale; e tutta la stampa scrive che si sta preparando una manifestazione politica, molti adombrando anche l’idea che si sta preparando un partito o movimento, che definiscono come “un’altra sinistra”. Di tutto questo, l’ANPI non sa assolutamente nulla; lo spirito del 2 giugno sembra dissolto.

Il 19 settembre, il Presidente dell’ANPI scrive ancora ai soliti destinatari, esprimendo tutte le preoccupazioni, a questo punto anche della Segreteria, e chiedendo un vero chiarimento pubblico sulle reali intenzioni, obiettivi e finalità. E chiede se non sia possibile tornare al 2 giugno e individuare un seguito concordato e valutato tra le Associazioni che allora vi avevano partecipato.

Le risposte: il Prof. Pace, Presidente dell’Associazione “Salviamo la Costituzione”, scrive – il 25 settembre - che la sua Associazione incontra difficoltà ad aderire alla manifestazione del 12 ottobre, “per le stesse ragioni che Smuraglia ha ben illustrato nel caso dell’ANPI” – quanto al metodo, il Prof. Pace sottolinea che “la nostra Associazione (Salviamo la Costituzione n.d.r.) non è stata considerata e neppure consultata a proposito della manifestazione del 12 ottobre, né tanto meno consultata nella stesura del progetto de “La via maestra”.

Questa volta, rispondono tutti, assicurando che è vero che c’è stata qualche disfunzione “metodologica”, di cui sono dispiaciuti, escludendo qualunque ipotesi di aspirazione a formare un nuovo partito o un nuovo movimento, insistendo per la partecipazione dell’ANPI alla manifestazione del 12 ottobre e proponendo che essa fosse addirittura aperta da un esponente dell’ANPI e magari dallo stesso Presidente. In tal senso, si esprimevano i promotori della manifestazione, ormai definiti nella persona di Zagrebelsky, Rodotà, Landini, Ciotti e Carlassare, nel corso di una conferenza stampa. A questo punto, si riuniva la Segreteria nazionale e discuteva ampiamente il da farsi, alla luce di tutto il materiale raccolto, delle dichiarazioni rese alla stampa dagli stessi promotori durante l’estate, dei contenuti dell’assemblea aperta del 5 settembre a Roma, insomma di tutto il materiale disponibile.

Perveniva intanto una lettera del Presidente di “Salviamo la Costituzione” che confermava le precedenti perplessità, anche dopo aver sentito i componenti del Comitato direttivo, ed escludeva l’adesione alla manifestazione del 12 ottobre (con la riserva del Prof. Pace di parteciparvi solo a titolo personale).

La Segreteria, dopo attenta riflessione e dopo ampia e sofferta discussione, concludeva, all’unanimità, come da Comunicato del 25 settembre, di non aderire alla manifestazione, ma sottolineando che erano condivisi gli obiettivi relativi alle riforme costituzionali e proponendo che “Salviamo la Costituzione” si facesse promotrice al più presto di un incontro quanto meno delle maggiori associazioni partecipanti alla manifestazione del 2 giugno a Bologna, per concordare le modalità di un prosieguo della battaglia. Si riconosceva, ovviamente, la piena libertà degli iscritti, di partecipare alla manifestazione del 12 ottobre, a titolo personale.

Si confermava l’invito a tutti gli organismi periferici dell’ANPI a promuovere iniziative, sulla questione costituzionale, nei modi e nei termini del Comunicato del 18 maggio e della relazione svolta dal Presidente nel Comitato nazionale del 26 giugno, distribuita a tutti gli organismi provinciali, con particolare sottolineatura della parte dedicata ai progetti di riforma della Costituzione ed alle modalità ed iniziative per contrastarli. Si confermava, infine, la proposta ai promotori della manifestazione del 12 ottobre ed a tutte le Associazioni che avevano partecipato alle manifestazioni del 2 giugno, di proseguire insieme il cammino avviato, appunto, a Bologna.

A fronte di numerose pressioni e richieste perché si recedesse dalla decisione del 25 settembre, pervenute dall’esterno e dall’interno dell’Associazione, la Segreteria tornava a riunirsi il 4 ottobre e ridiscuteva ancora l’intera vicenda, tenendo conto di quanto dichiarato dai proponenti, di quanto emerso da dichiarazioni pubbliche e dal complesso della stampa ed assumendo anche in attenta considerazione le manifestazioni di dissenso emerse dall’interno dell’Associazione (ovviamente, di quelle formulate correttamente, perché degli insulti e delle insinuazioni non era il caso, per la nostra dignità, di occuparsi).

Alla fine, sempre all’unanimità, si decideva di confermare la precedente decisione, inviando una lettera aperta ai promotori per spiegare ulteriormente le ragioni della contrarietà della Segreteria nazionale, per ragioni, prima ancora che di metodo, di sostanza. Di fatto, il Presidente inviava ai promotori, alla stampa ed a tutti i nostri organismi, una lettera “aperta”, in data 9 ottobre 2013.

Nel frattempo, il 30 settembre, il Presidente aveva inviato ai promotori una lettera personale, ribadendo l’intenzione e la volontà di riprendere il cammino avviato il 2 giugno, appena possibile, in forma unitaria e con la maggiore partecipazione possibile, anche per l’ipotesi di dovere, in futuro, affrontare un referendum.

Questo, in sintesi, lo stato delle cose e lo svolgimento della vicenda.

Poiché è stato manifestato, da alcune componenti e da alcuni iscritti, il dissenso rispetto alla decisione assunta, ed è opportuno ed utile che se ne discuta ampiamente e seriamente, e poiché da alcuni organismi è stato sostenuto che la decisione assunta era sostanzialmente non solo sbagliata, ma priva di motivazioni, sarà opportuno precisare alcune cose, che mi paiono indispensabili per un confronto serio:

a) Sono corse, anche fra i nostri, insinuazioni e calunnie vergognose, al punto che non meriterebbero neppure una smentita. Si è detto addirittura che avrei ricevuto una telefonata del Presidente della Repubblica, con l’invito a non partecipare; si è affermato che abbiamo così deciso per ossequio al Pd, del quale saremmo addirittura una “stampella”; si è sostenuto che tutto sarebbe derivato da una mia ripicca per non essere stato consultato durante l’estate;

si è, infine, asserito che in altri casi (ad esempio, in occasione di uno sciopero generale proclamato dalla FIOM) ci saremmo comportati in modo diverso. Ora, la prima insinuazione è ridicola: credo che nessuno, dico nessuno, penserebbe mai di esercitare pressioni su un’Associazione autonoma per tradizione e vocazione, come l’ANPI. Risibile, poi, pensare che intervenga addirittura il Presidente della Repubblica per una manifestazione che, alla fine, non ha preoccupato granché, tant’è che poco dopo, il Senato ha rimesso all’ordine del giorno, con urgenza, la seconda lettura del disegno di legge costituzionale.

La seconda è altrettanto assurda, specialmente nel momento in cui siamo impegnati a contrastare (a partire dal 18 maggio e non solo da ora) i progetti di riforme costituzionali, condivisi anche dal Pd; al quale, del resto, non abbiamo mai risparmiato critiche, quando ci sembrava che le meritasse (basti vedere le news e “Patria” e tutti i nostri documenti ufficiali).

Quanto alla terza (la mia ipotetica “ripicca”) non sono un bambino e non mi offendo per essere stato lasciato all’oscuro di ciò che andava maturando. Lo dimostrano le lettere che ho rivolto ai promotori, che ribadiscono antiche amicizie e propongono di riprendere un cammino insieme. Il problema metodologico (non a caso condiviso dal Prof. Pace, Presidente di un’importante Associazione) è in realtà, politico, e molto.

L’ultima, infine, è assolutamente inconsistente. Quando ci fu una manifestazione “per il lavoro” della FIOM (18 maggio), poiché i temi erano di notevole ampiezza, anche politica, abbiamo espresso non adesione, ma “consenso e condivisione” degli obiettivi.

b) Vale la pena, peraltro, di spiegare ancora una volta le ragioni che hanno condotto la Segreteria alla nota decisione. Secondo alcuni, essa non sarebbe né motivata né comprensibile.

Francamente, a me sembra che non tutti abbiano letto attentamente e fino in fondo i due documenti più rilevanti, cioè la decisione adottata ed esplicitata in un comunicato del 25 settembre e la lettera aperta inviata ai promotori della manifestazione il 9 ottobre. E devo ricordare, sinceramente, che quelle decisioni non sono state un colpo di fulmine, per chi legge (e almeno i Dirigenti provinciali e locali dovrebbero farlo) le news-letter dell’ANPI.

Mi sono intrattenuto su questa vicenda ben nove volte e precisamente sulle news-letter n. 74-75-79-81-84-85-86-88-90, cioè in un arco di tempo che va da fine maggio ai primi di ottobre. In tutte quelle news letter ho parlato costantemente delle riforme costituzionali, delle nostre prese di posizione, come ANPI, della manifestazione del 2 giugno, del “dopo” e dell’andamento in Parlamento del dibattito sull’art. 138; nelle news 85 e in altre si richiamano tutte le organizzazioni dell’ANPI a promuovere iniziative sul tema ed a considerarlo una priorità; dalla n. 86 in poi si esprimono perplessità sui silenzi e sulle scelte di altri, preoccupazioni per l’andamento che la vicenda sta assumendo, e poi ancora sulle dichiarazioni politiche, sull’assemblea aperta a Roma, sulla manifestazione del 12 ottobre. Dopo di questo, e specialmente nelle ultime quattro news, qualunque Dirigente o iscritto avrebbe dovuto allarmarsi, fare attenzione (e magari attivarsi). Altro che sorpresa!

E poi, anche sui due documenti più volte richiamati si può dire tutto, si può dissentire, ma è difficile sostenere che la motivazione non ci sia. La si può riassumere così: eravamo di fronte a una manifestazione e ad un impegno assai ampio (quello del 2 giugno) e ci troviamo improvvisamente di fronte ad una svolta, una manifestazione non concordata e discussa e rivolta ad un ambito certamente più ristretto; la battaglia, che doveva tendere a coinvolgere tutti i cittadini, sembra rivolta solo alla sinistra; i promotori sono diversi rispetto a tutti i precedenti; le dichiarazioni “estive” dei promotori stessi, hanno indotto tutta la stampa a chiedersi ed a chiedere se si tendesse a creare un partito, un movimento o quello che sia, ma di sinistra (“l’altra sinistra” come una fonte di stampa non sospettabile l’ha definita); la stessa assemblea aperta, preparatoria, del 5 settembre è stata definita da tutti come un insieme di protesta, indignazione, attacco ai partiti, manifestazioni di volontà di creare qualcosa di nuovo; il primario obiettivo (resistere e contrastare il tentativo di modificare prima l’art. 138 e poi buona parte della Costituzione) sembra passato in seconda linea.

Tutto questo “dimenticando” assolutamente gli alleati principali del 2 giugno, vale a dire l’ANPI e “Salviamo la Costituzione”. Questo andava molto al di là di ciò che si era pensato, progettato e concordato e preoccupava sia l’ANPI che “Salviamo la Costituzione” (e non parliamo della CGIL!) per gli sbocchi e gli esiti che era facile prevedere. Quando sono state manifestate apertamente perplessità e contrarietà, si è cercato di correggere un po’ il tiro; ma ormai era fatta e le attese di chi voleva “altro” erano state messe in moto.

La “sponsorizzazione” maggiore era della FIOM (ci sono, alla fine, pervenute comunicazioni dalla Segreteria generale della FIOM e da “Punto Rosso” e del “Fatto). Ed anche questo era ed è significativo. In effetti, chi si è messo fortemente in moto per la manifestazione del 12 ottobre era solo in minima parte il “popolo” del 2 giugno, con assenze clamorose: l’ANPI, le ACLI, Salviamo la Costituzione, la CGIL e con presenza diffusa di tutta la sinistra extraparlamentare. I giornali hanno dato una chiara visione della piazza del Popolo del 12 ottobre. Ne cito solo due, per esemplificazione:

“Migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Roma, tra bandiere di Rifondazione, Sel, IDV, Azione civile e qualche sparuto vessillo di 5 stelle” (La Repubblica del 13.10, p.12);

“il rosso della FIOM domina e poi ci sono tutti i tanti partiti extraparlamentari (Azione civile di Ingroia, Italia dei valori, di Di Pietro, Rifondazione) e tante bandiere di Sel” (L’Unità, 13 ottobre, pag.7).

Per inciso, risultano presenti sul palco bandiere dell’ANPI di Firenze e qualcuno dice di avere visto bandiere emiliane; ma questa è un’altra storia, che valuteremo a parte. Quello che è certo è la caratterizzazione della piazza, molto diversa da quella del 2 giugno e certamente più ristretta nelle componenti, laddove si era tutti affermato che occorreva allargare e non restringere.

A questi risultati (le assenze e le presenze) non si è arrivati per caso. Nei documenti della Segreteria nazionale sono state già citate alcune dichiarazioni dei promotori, in interviste o scritti:

secondo alcuni dei promotori, la manifestazione non avrebbe dovuto essere “contro” ma “per”; e il “per” sarebbe consistito in un “piano di investimenti straordinari, pubblici e privati per difendere il lavoro e riqualificare l’industria e per chiedere più servizi sociali”; ancora secondo i promotori (o alcuni di essi): “occorre ricostituire uno spazio politico vuoto, perché è in gioco la democrazia”. E ancora: “personalmente penso che con questo lavoro non escludente potremo ricostruire i tratti di una sinistra costituzionale (Rodotà); “non si tratta di fare un partito, ma una grande coalizione sociale per la democrazia e i diritti (Bonsanti); vogliamo costruire un movimento di pressione e creare uno spazio agibile da tutti i cittadini per porre una diversa agenda politica (Rodotà); “c’è una grande domanda di sinistra, a cui dobbiamo dare risposte” (Landini).

Dopo di che si poteva smentire che si volesse fare un partito politico, ma non si poteva certo eliminare l’impressione o le convinzioni che frasi come questa hanno determinato in tanti; e non si può negare che esse abbiano creato attese specifiche e squisitamente politiche in una parte ben definita dei cittadini. Si andava, insomma, verso una manifestazione politica, diretta sostanzialmente a coinvolgere la sinistra.

Significativo il fatto che all’obiezione che il Presidente dell’ANPI aveva formulato, già a metà settembre, che con la linea “estiva” si sarebbe finito per rivolgersi ad un pubblico ristretto e determinato, specificamente di sinistra, quando invece la necessità era di conquistare l’adesione e il consenso dei cittadini, indipendentemente dal loro credo e dalle loro convinzioni politiche, uno dei promotori rispondeva testualmente “tu dici che l’area di riferimento è “ben identificabile”; purtroppo è così. Il richiamarsi alla Costituzione dovrebbe essere di tutti e invece è solo di una parte della società italiana. È inevitabile rivolgersi a questa per mettere insieme le componenti”. Ognuno vede che in questo modo si finirebbe per parlare solo a quelli già schierati; e questo non è mai stato il nostro intendimento e mai lo sarà, nella convinzione che si tratta di una vicenda in cui occorre un coinvolgimento ampio e diffuso di cittadini di ogni idea e di ogni convinzione.

Altrettanto significativo il fatto che nella lettera del 19 settembre, il Prof. Pace scrivesse: “Nel merito, anche a noi la “Via Maestra” sembra più il lancio di un progetto politico, che la difesa della Costituzione degli stravolgimenti del disegno di legge Costituzionale 813”. In conclusione, noi ci siamo convinti che nel corso dell’estate sia maturata una sorta di svolta, più ambiziosa ed estesa negli obiettivi, che andava molto al di là degli orientamenti su cui si era concordato il 2 giugno. Una svolta che ha finito, forse, per andare anche al di là della stessa volontà di alcuni dei promotori, ma che ha determinato – nella sostanza – anche la “dimenticanza” di quelle Associazioni (come la nostra, Salviamo la Costituzione, le ACLI, la CGIL) di cui era prevedibile la contrarietà.

Poi, alla fine, sono arrivati i “chiarimenti”, gli inviti addirittura ad aprire la manifestazione. Ma i giochi erano fatti, anche se con i “chiarimenti” e le limitazioni dell’ultima ora. Sorprende, piuttosto, il fatto che diversi dei nostri iscritti, probabilmente anche disinformati, non abbiamo capito che cosa era successo e che cosa stava accadendo. Alcuni hanno seguito il proprio istinto “politico”, lasciando che prevalesse sulle ragioni dell’adesione all’ANPI, e si sono ritrovati poi con le bandiere che forse amavano di più. Altri hanno inteso in modo non corretto, rispetto agli stessi orientamenti congressuali, il ruolo dell’ANPI e la sua identità; altri ancora, per amore dell’ANPI, si sono preoccupati di più della (dolorosa) assenza dell’ANPI dalla manifestazione, che non degli effetti, anche diimmagine, dell’eventuale contrario, nel clima e nel quadro generale che ho descritto.

Voglio ricordare, per concludere, che la Segreteria ha scelto, faticosamente, la soluzione più difficile. Quanto sarebbe stato più facile aderire, parlare dal palco, prendersi una buona dose di applausi, come era accaduto a Bologna! E invece si è percorso la linea più impervia, sapendo che avrebbe provocato dissidenze, ma convinti di dover fare l’interesse e il bene della nostra Associazione, soprattutto per il suo futuro. Gli “strappi” in tema di identità, alla lunga, si pagano e duramente. Una manifestazione perduta può essere ricuperata, da un lato continuando e intensificando la nostra azione per la Costituzione e dall’altro continuando ad insistere con le altre Associazioni perché si riprenda, insieme, il cammino iniziato il 2 giugno, a Bologna. Desidero solo dire a quegli iscritti che hanno manifestato il loro dissenso con l’aria di chi ha la verità in tasca e pensa di esprimere il pensiero di tutta l’Associazione, che alla Segreteria sono pervenute, oltre alle proteste, ai distinguo ed alle “condanne”, numerose manifestazioni di adesione convinta, di singoli e di organismi. Non si tratta di fare la conta, ma di ricordare a coloro che parlano con troppa sicurezza (e talora con poco rispetto delle idee altrui) che è sempre necessario avere contezza che si sta solo esprimendo un’opinione e che non è affatto detto né che sia giusta né che sia universale; e qualche volta bisogna ricordarsi che decisioni come quella adottata dalla Segreteria nazionale costano lunghe riflessioni, tormenti personali e notti insonni, nella consapevolezza – che ci è sempre presente – che si può anche sbagliare e bisogna fare di tutto per evitarlo, per il bene dell’ANPI. Senza arroganza, né presunzioni.

Comunque, la vicenda rappresenterà un’occasione di riflessione per tutti: sul ruolo dell’ANPI, sul dissenso e sui modi per manifestarlo, sul rispetto delle regole. Se riusciremo a compiere questa riflessione tutti insieme, al di là delle singole opzioni e perseguendo solo l’interesse dell’Associazione, ne usciremo rafforzati.

c) Un’ultima questione: c’è chi ha sostenuto che la Segreteria nazionale avrebbe ecceduto rispetto ai suoi poteri, dovendosi riservare al Comitato nazionale le scelte politiche. È l’occasione per fare chiarezza anche su questo punto, che è di principio. La Segreteria non è espressamente disciplinata dallo Statuto; ma nel documento politico congressuale si dà atto che c’è una varietà di soluzioni (Presidenze come organi esecutivi, Segreterie organizzative, solo un Segretario) e non si prende posizione, lasciando evidentemente libertà di scelta ai singoli organismi, chiedendo solo, in ogni caso, di garantire almeno un minimo (un segretario organizzativo e un tesoriere). Noi abbiamo fatto la scelta di creare una Segreteria non solo organizzativa ma anche politica, tant’è che essa è presieduta dal Presidente e composta tutta da membri del Comitato nazionale. Questa scelta fu sottoposta con chiarezza al Comitato nazionale del 25 maggio 2011 (cito testualmente le mie parole, come risultano dal verbale della seduta: “Smuraglia indica la necessità di istituire una Segreteria che sia operativa, ma abbia anche connotati di politicità, in grado di intervenire prontamente su ogni questione”); e fu approvata all’unanimità, con una sola riserva, espressa nel corso della discussione.

Una scelta dettata dai mutamenti politici e sociali e dal continuo modificarsi delle situazioni, che richiede interventi tempestivi e responsabili. Stando allo Statuto ed al Regolamento, l’organismo politico che dirige è il Comitato nazionale; ma nei casi di urgenza, decide il Presidente (art. 7, c. 6 del Regolamento), salvo ratifica da parte del Comitato nazionale nella prima riunione. Ho preferito fin dall’inizio non essere solo al comando, come si dice, anche per l’eventualità di casi urgenti (sempre più frequenti); ed ho preferito che le decisioni fossero assunte dopo una discussione e collegialmente, in Segreteria, con evidente vantaggio per tutti. Ma se si pensa che questo non vada bene, si potrebbe anche tornare al passato, quando di collegialità non mi risulta che ce ne fosse molta. Non sarebbe, francamente, una soluzione giusta, democratica ed adatta ai tempi difficili che stiamo attraversando.

È certo, in ogni caso, che la Segreteria non deve (e non intende) abusare dei poteri concessi, in caso di urgenza. E per quanto possibile non l’ha mai fatto, assumendo peraltro decisioni ed emettendo risoluzioni e comunicati, ogni volta che fosse necessario garantire quella tempestività che il documento Congressuale considera elemento fondamentale per l’attività dell’Associazione.

D’altronde, le urgenze, in una situazione confusa e complessa come quella attuale, sono diventate più frequenti; e sarebbe impossibile convocare ogni volta il Comitato nazionale. Potremo provare anche a farlo, in via d’urgenza e col modesto preavviso previsto dallo Statuto; ma ritengo realistico ipotizzare che, in molti casi, non si riuscirebbe neppure a raggiungere il numero legale. È dunque solo una questione di equilibrio fra esigenze diverse; ed anche di questo sono pronto a farmi carico, nell’avvenire, ancora di più rispetto al passato.

Nel caso specifico, comunque, l’urgenza c’era ed era assoluta, non solo per le pressioni dell’esterno, ma anche perché molti compagni, molti organismi telefonavano e premevano perché si assumesse una decisione in Segreteria. Posso assicurare, peraltro, che abbiamo tastato il polso della situazione ed acquisito pareri, certo non tutti quelli possibili, ma quanti ci erano sembrati significativi. Oltretutto, nella Segreteria, oltre al Presidente, ci sono due Vicepresidenti; ed anche questo dovrebbe costituire un’ulteriore garanzia per tutti. Aggiungo, in più, che ho avuto un personale carteggio con diversi Dirigenti e semplici iscritti di diversa opinione. Se non sono riuscito a convincerli, mi dispiace; ma spero che mi si darà atto di averci almeno provato, con personale sacrificio.

9. Non mi addentro su altre importanti questioni politico-organizzative, perché ne parlerà espressamente il Vicepresidente Guerzoni; e passo, finalmente, alle Conclusioni.

Il quadro che ho cercato di rappresentare è complesso, certamente difficoltoso e denso di incognite e di pericoli. Noi dobbiamo tenere ferma la linea della nostra Associazione, della sua identità, della sua autorevolezza e del suo impegno. E dobbiamo farlo con tutta l’Associazione, con tutti gli iscritti, con tutti gli organismi. Le discussioni, i dissensi si ricompongono di fronte alla necessità di andare avanti e procedere unitariamente. Assieme alla condanna delle iniziative provocatorie ed estranee ad ogni regola, a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo, continueremo nell’opera di chiarimento e di ricupero, fino a ricostituire, come è necessario, un orientamento unitario. Intanto, dimostreremo con i fatti, a partire dalla importante manifestazione sulla Costituzione, del 26 ottobre, a Bologna, che ha assunto anche carattere nazionale, qual è il nostro impegno e quali sono le nostre intenzioni sul tema della difesa della Costituzione da ogni attacco e da ogni tentativo di apportare modifiche che non siano coerenti con l’impianto originario, nella consapevolezza che – come ha osservato giustamente uno storico in un suo libro recente – “questa Costituzione dev’essere davvero meravigliosa se è stata capace di resistere al silenzio dei primi anni, alla disapplicazione continua, ai tentativi di svuotamento ed a quelli di modifica”.

E noi dobbiamo adoperarci perché resista ancora e sempre, come l’unico faro capace di guidarci nelle temperie, con le sole modifiche imposte dall’esperienza, maturate nella coscienza collettiva e tali da non alterarne il sistema. Questo è e sarà il nostro impegno prioritario. Ma poi ci attendono molti altri compiti e molte altre sfide: le celebrazioni (non rituali) del 70° anniversario della Resistenza, le iniziative che intendiamo mettere in campo a livello nazionale, contro le crescenti manifestazioni di e o fascismo e neonazismo; l’impegno sulle stragi nazifasciste del 1943-45, per ottenere riparazioni da parte della Germania e assunzioni di responsabilità da parte delle istituzioni italiane, anche a seguito di un approfondito dibattito parlamentare. Ed ancora, dobbiamo proseguire il lavoro avviato ed incalzare, sul piano della scuola e soprattutto della educazione alla cittadinanza, base e strumento di ogni vera democrazia.

Ed infine, dobbiamo intensificare gli sforzi diretti alla formazione, al nostro interno, al rafforzamento dell’apporto diretto dei giovani e delle donne, alla costruzione di una vera cultura della democrazia e della legalità in noi stessi e nel Paese. Continueremo anche nell’impegno perché venga meno il profondo distacco tra cittadini e istituzioni e riprenda il suo corso – quello previsto dalla Costituzione e in particolare dagli articoli 54 e 49 - la “buona politica”, ricostruendo quella eticità che deve pervadere l’intera struttura istituzionale e pubblica. Da ultimo, dobbiamo ancora e con forza adoperarci perché questo nostro Stato, ancora troppo debole e permeabile in alcune strutture, diventi quello Stato civile, democratico, antifascista che è disegnato dalla Costituzione e che è stato sognato dai Combattenti per la libertà.

Andiamo avanti, dunque, nonostante le perdite, dolorose di tanti amici e compagni, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, restando noi stessi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia, memore del passato, ma proiettata verso un futuro sperabilmente migliore. In fondo, ha ragione quel giovane che mi ha detto che se non ci fosse l’ANPI bisognerebbe inventarla. L’ANPI c’è; facciamola più forte, libera ed autonoma, facciamone sempre di più un luogo di fraternità e solidarietà umana, sociale e civile; semplicemente, vogliamole bene, nella certezza che saremo ricambiati e “ricompensati” se sapremo farli sentire, questo amore, questa profonda e pura passione civile.

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