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29 novembre 2021

30 novembre 2021 - La baracca degli intellettuali - Ti bacio sempre e finché posso. Atto unico in tre scene. Presentazione libro

Martedì 30 novembre, ore 17.30 presso la Sala Macchia della Biblioteca nazionale centrale di Roma sarà presentato il testo teatrale La baracca degli intellettuali di Cetta Brancato.


L’opera centra il tema dell’antifascismo con particolare riguardo alla deportazione politica con particolare attenzione al Campo di Fossoli  dove tutti gli intellettuali del tempo si riunirono nella baracca numero diciotto, detta appunto la baracca degli intellettuali. La struttura si snoda in tre atti. Dal carcere di San Vittore al campo di smistamento di Fossoli fino al campo di sterminio di Mathausen dove Gianluigi Banfi perse la vita. Partendo dalla corrispondenza fra l’architetto Banfi e la moglie Julia, pubblicate da Rosellina Archinto, l'autrice ricostruisce gli eventi del tempo. Centrale è l’amicizia con Lodovico Balbiano di Belgioso, anche lui protagonista del dramma, che insieme agli architetti Roger e Peresutti costituirono il famoso studio BBPR.

Prenotazione obbligatoria: scrivere a anpi.roma@gmail.com

La baracca degli intellettuali “drammatizza” la tragedia delle deportazioni e dello sterminio. Le deportazioni non furono tutte eguali.

Solo il viaggio degli Ebrei e di poche altre minoranze era senza speranza, si concludeva con le camere a gas e i forni crematori. Ma certo anche i deportati politici e militari erano attesi nei campi tedeschi da condizioni terribili e spesso mortali. Questo rende tanto più mirabili il coraggio e la resistenza di quanti si opposero al nazifascismo. Come i politici che intrapresero la lotta clandestina e l’esilio, i partigiani che imbracciarono le armi, i lavoratori che organizzarono scioperi e sabotaggi, gli IMI che non vollero aderire alla repubblica-fantoccio di Salò: tutti costoro fecero “la scelta” anche a costo di subire il carcere e la deportazione, anche a costo della vita.

La baracca degli intellettuali rinnova la sfida di fare arte dopo la Shoah.

Il filosofo Theodor Adorno, che dovette cambiare il suo cognome Wiesengrund per scampare alla persecuzione antiebraica, scrisse una volta: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro». Lo è se si scrive per noia o “nel tempo libero”, non se si riconosce nella poesia e nell’arte l’unico modo per provare a dire l’indicibile, per “rappresentare” l’irrappresentabile.

Si sente ripetere spesso che la realtà supera la fantasia. Ma con la Shoah è una “realtà irreale”, cioè l’impossibile, a superare la realtà e a fortiori la fantasia. Per questo qualsiasi opera d’arte autentica ci riguarda, ci interessa, ci parla e ci interroga. Solo così, come esercizio di responsabilità spirituale e civile, la fantasia e la bellezza potranno recuperare il loro significato più alto e, direi anche, la loro “missione”.

(Liliana Segre)

Ne parlano con l'autrice: Giuliano Banfi, Andrea Barzini, Vincenzo Calò, Aldo Pavia