Massimo Rendina e il 15° Congresso ANPI (Provinciale di Roma 12 e 13 febbraio 2011 - Nazionale a Torino 24 - 27 marzo 2011)

Massimo Rendina al 15° congresso dell'ANPI provinciale di Roma

Relazione introduttiva di Massimo Rendina
12 febbraio 2011

    Porgo il saluto e il ringraziamento dell'A.N.PI. di Roma e Lazio alle personalità della politica, della cultura, dei sindacati, presenti in sala e a quelle che ci hanno inviato messaggi di adesione; un saluto cordiale ai presidenti e dirigenti delle associazioni della Guerra di Liberazione e ai delegati dei nostri circoli e sezioni. Esprimo riconoscenza al presidente nazionale dell'A.N.PI. per essere qui con noi. Raimondo Ricci è una delle figure più significative della Resistenza e delle generazioni che hanno liberato e costruito democraticamente il nostro Paese: partigiano in Liguria, superstite del campo di prigionia e sterminio di Mauthausen, già senatore della Repubblica, avvocato e illustre giurista. Profitto della presenza di Guglielmo Epifani, che ci onorerà del suo intervento, per dirgli che la maggioranza dei nostri iscritti romani e laziali si dice vicina e solidale, anche in riferimento a quanto è accaduto alla FIAT, ai lavoratori che difendono i diritti e non si sottraggono ai doveri chiedendo di dare maggiore efficienza innovativa agli impianti.
    Vi confesso che aprendo questi lavori congressuali faccio fatica a conservare la serenità necessaria ad affrontare sintetizzandole le questioni che riguardano la nostra associazione nel presente e in futuro, nel contesto nazionale e internazionale; fatica a superare lo sconcerto provocato dalla situazione politica che ci carica di nuove responsabilità per contribuire a salvaguardare e promuovere i valori democratici costituzionali di cui siamo portatori, nella continuità ideale politica del mandato ricevuto dai partigiani con noi combattenti, dal sacrificio di sangue di molti di loro, dalle sofferenze e dagli eroismi della gente comune che fece dell'antifascismo e della Guerra di Liberazione lotta patriottica e popolare.
    A centocinquant'anni dall'unità d'Italia va ribadito che fu la Resistenza a completare il Risorgimento, la Resistenza, come disse Aldo Moro, in uno dei memorabili e illuminanti discorsi rievocativi, a superare quella frattura che molte volte si ebbe nel Risorgimento tra le masse popolari e i fautori del moto unitario. Un processo costitutivo della nazione che ci fa guardare con sdegno e preoccupazione quanto accade di meschino, contraddittorio, volgare, ma anche pericoloso per la convivenza democratica. Ci preoccupano i conflitti istituzionali per sottrarre il Presidente del Consiglio alle indagini processuali e al relativo eventuale giudizio. Come non condividere l'invito di scendere in piazza per manifestare lo sdegno, sulla scia dei comitati femminili nati spontaneamente per salvaguardare la dignità della donna e denunciare acclarati scandali che fatalmente entrano nella sfera politica ponendo l'interrogativo sull'inefficienza del governo asserragliato nelle manovre protettive offerte a un presidente che antepone i propri interessi finanziari, l'incolumità di vizi certi e di probabili reati, alla crisi economica e sociale nella quale versa il popolo italiano? Come non aderire alle iniziative intese a tutelare la Magistratura e il giornalismo più responsabile? In questo scenario, nel quale si accentua il distacco dei cittadini dalla politica e pertanto dalla partecipazione si confida sempre di più nel Capo dello Stato, nel suo magistero. Anche noi confidiamo sulla sua saggezza, ma non possiamo investirlo di prerogative e competenze che la Costituzione, di cui è l'alto custode, non gli assegna.
    Dobbiamo allora rassegnarci a quanto accade come se il tunnel che abbiamo imboccato fosse senza uscita? Anche qui ci soccorre il ricordo della Resistenza quando non pochi di noi ritenevano che Hitler da un giorno all'altro mettesse in campo le armi di distruzione di massa. Saremmo stati così sicuramente annientati. Non lo davamo a vedere per non scoraggiare i combattenti e la popolazione che ci sosteneva, ma nello stesso tempo non si spegneva in noi la certezza che il combattere per la libertà e la dignità dell'uomo si sarebbe imposta sulla normalità del male - per dirla con Hannah Arendt - male rappresentato nelle forme più crudeli di oppressione e di sterminio di inermi praticate dal nazifascismo. Per poco, del resto, permettetemi la breve parentesi, Hitler non le ebbe le armi di distruzione di massa. Una scienziata tedesca era riuscita nella scissione dell'atomo, ma era ebrea e Hitler fece sospendere gli esperimenti mai più ripresi.
    Ci tormenta il pensiero che riguarda l'adesione al governo perché pone il quesito sulla democrazia in quanto è tale se i cittadini sono pienamente coscienti e non fuorviati. Ricordiamo che il fascismo e il nazismo ebbero un largo consenso. I tempi sono cambiati e irripetibili, ma il metodo della suggestione popolare si è arricchito di nuove possibilità con nuovi mezzi di comunicazioni di massa. Fortunatamente i principi fondamentali costituzionali delle libertà fondamentali sembrano resistere ad ogni insidia. Lo ha dimostrato qualche anno fa il referendum sulla intangibilità della Costituzione. Dobbiamo riconoscenza al presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, come al nostro presidente Raimondo Ricci e a Mattia Stella che gli sono stati vicini nell'organizzarlo.

    Affidiamoci dunque alla speranza, in una situazione certamente meno drammatica, che le libertà democratiche che l'Italia si è data con la Resistenza e Guerra di Liberazione, vinta con l'apporto determinante degli Alleati, e dei militari italiani con loro - occorre precisarlo sempre - si faccia certezza della rigenerazione democratica. Ma la speranza può diventare certezza, mi scuso dell'ovvietà, solo mediante l'impegno unitario delle forze politiche democratiche, cui l'A.N.P.I. deve concorrere. Certamente non favoriscono  l'attuazione di un disegno di ripresa democratica le difficoltà economiche derivate da una parte dalla crisi internazionale e dall'altra dalla incapacità del governo di assumere iniziative opportune, ma anche della comunità europea di darsi una struttura in grado di risolvere con  celerità ed efficienza i problemi che ostacolano la ripresa. Lo prevedeva l'adozione della moneta unica. Non è andata così. Prevalgono interessi nazionali a volte inconciliabili. Anche in Europa predomina la finanza speculativa sui sistemi produttivi. Il problema che ci si pone è come regolare il sistema economico finanziario. Quanto accade negli Stati Uniti sembra il banco di prova di un rinnovamento dei concetti basilari del capitalismo. Processi di grande interesse economico politico si stanno svolgendo in Cina, India, Brasile e in altre aree. Ciò che ci interessa, lasciando agli esperti in economia le valutazioni e le previsioni, è la salvaguardia dei diritti di libertà che definirono le motivazioni ideali della Resistenza alle quali oggi più che mai dobbiamo riferirci e sono la nostra stessa ragione d'essere.

    Conclusa la Seconda Guerra Mondiale si confidava nell'organizzazione delle Nazioni Unite tutrice dei diritti umani, autorità regolatrice del rapporto tra i popoli, secondo equità, giustizia, solidarietà. A fare di tutto ciò un'illusione è venuta la guerra fredda, e finita questa sappiamo quali tensioni sono subentrate, quale la proliferazione dei conflitti armati locali, alcuni in atto, e con esse le contrapposizioni ideologiche dalle quali si è andato sviluppando il terrorismo. È in questo scenario che si determina l'involuzione democratica italiana aggravata da tangentopoli, dell'esaurimento delle ideologie. E qui che prende spazio il fenomeno qualunquistico rappresentato da Berlusconi. L'analisi meriterebbe ben altro spazio e approfondimento ma bastano pochi cenni per darci un quadro desolante al quale occorre, ripeto, reagire con le armi del confronto democratico, della proposta programmatica.

    Per quanto si proceda per cenni in questa analisi, non vanno sottovalutati gli squilibri ambientali dovuti allo sfruttamento disordinato ed egoistico delle risorse e all'uso inquinante della motorizzazione e dell'industria. Sullo sfondo c'è il dato sconvolgente del miliardo e più di esseri umani che soffre la fame. Ed è qui che la cultura resistenziale orientata a identificare la libertà con la giustizia sociale diventa ineludibile per noi dell'A.N.P.I., e impone il comportamento politico coerente. Respingiamo dunque l'idea di un'A.N.P.I. sopra le parti, ce lo hanno detto tutti i nostri associati impegnati nei congressi di circolo e sezione. Se il termine sinistra ci sembra obsoleto troviamone un altro per definirci movimento che ha come scopo inderogabile la libertà coniugata, perdonate la ripetizione, con la centralità della persona umana.

    Le domande si fanno drammatiche, senza ottenere risposte convincenti dagli ambienti scientifici anche i più qualificati. Un secolo fa sulla Terra c'era un miliardo e duecento milioni di esseri umani. Ora siamo sette miliardi. Con i sistemi attuali è impossibile assicurare a ciascuno lo stesso tenore di vita. Tra venti o trent'anni saranno nove miliardi. Lo scenario impone il rinnovamento culturale incidente sulle modalità di crescita e di sussistenza. Politica e cultura si fondono. Estraniarci dal processo culturale senza mettere in campo i valori resistenziali della libertà coniugata, ripeto, con la giustizia sociale oggi a dimensioni planetarie, diventa rinuncia al mandato che abbiamo ricevuto dalla Resistenza, per farne partecipi le nuove generazioni. Ci chiediamo se con le sollecitazioni che ci vengono dal presente, noi partigiani dell'A.N.P.I. non dobbiamo rispondere alle sollecitazioni della nostra Presidenza Nazionale per riportare al presente i nostri ideali, in modo da influire sulla società condizionata dal pragmatismo e dall'individualismo.

    Con il progresso tecnologico dei mezzi di comunicazione la società mondiale è profondamente cambiata, l'uomo stesso è cambiato, le donne hanno assunto un ruolo determinante anche nella politica e nelle classi dirigenti. Assistiamo però all'intreccio di fenomeni sociali contraddittori se l'individuo sente il bisogno impellente di aggregazione, di unirsi in movimenti di affermazione delle libertà fondamentali, nello stesso tempo sembra rifugiarsi nel privato sordo ai richiami dell'impegno sociale cadute le suggestioni ideologiche. Ai tempi della Guerra Fredda la contrapposizione dei due blocchi semplificava il quadro politico. La minaccia della guerra atomica assumeva paradossalmente la funzione di impedire il conflitto armato dalle prospettive apocalittiche.

    L'armamentario per la distruzione di massa assume oggi nelle nazioni il ruolo identificativo di grande potenza lasciando spazio a conflitti locali con le armi convenzionali. Una società vieppiù complessa nella quale agiscono fattori disparati dove il liberalismo dei paesi più avanzati è diventato liberismo soggetto ai poteri speculativi finanziari che hanno originato la crisi economica mondiale difficile da superare se è crisi di sistema.

    Ci chiediamo dunque se non sia nostro compito, in coerenza con la nostra storia, noi e le associazioni che nel mondo rappresentano i movimenti di liberazione della Seconda Guerra Mondiale, richiamare l e forze politiche ad attuare il disegno di pace e solidarietà garantito dalle Nazioni Unite, se non spetti a noi riproporre le idealità progettuali politiche che rivelavano nella Resistenza la sintesi degli umanesimi liberale, marxista, cristiano, imperniati sul primato della persona umana antitetico alle aberrazioni nazionalistiche e razziste del nazifascismo. Lo affermo perché l'antifascismo non può essere considerato solo storicamente. È intimamente connesso con il rispetto della dignità umana. Il fascismo si presenta in vari modi, è anche, se non soprattutto, una una mentalità, diceva Benedetto Croce. Sul piano dei comportamenti di stretta attualità l'antifascismo continua ad essere garanzia delle libertà costituzionali nel momento in cui sono insidiate anche a livello di governo quando si piegano le prerogative parlamentari ai voleri dell'esecutivo gestito, per dirla con Giovanni Sartori, come un sultanato. Il fascismo ha preso nuova lena anche attraverso lo squadrismo, con attacchi proditori e sanguinari. Ricordiamo qui con dolore Renato Biagetti, un nostro giovane appena laureato, morto accoltellato. Esistono ancora nel mondo governi di stampo fascista che rendono insopportabile la vita dei cittadini per incapacità di gestione delle risorse, nepotismo, arricchimenti.
    Forse è prematuro dare un giudizio sui movimenti di ribellione popolare che si stanno sviluppando contro i regimi autoritari, ma essi sono il segno più evidente del cambiamento della società mondiale che aspira alla libertà e alla giustizia sociale. Ci auguriamo che gli sbocchi siano davvero democratici e non si risolvano nel ricambio tra forme autoritarie. Ci affascina comunque il pensiero che si lotti per la dignità della persona, per una società giusta.

    Tornando a noi, si pone con urgenza, dicevo, l'approfondimento culturale-politico del pensiero che guidava l'azione antifascista e resistenziale tradotta in norme e propositi dai Padri Costituenti riproponendo indirizzi e temi condivisi che nella resistenza non erano stati precisati, trattenuti nel proprio ambito ideologico per tema di rompere l'unità del C.L.N. Furono i Costituenti a interpretare lo spirito resistenziale cui ispirare propositi e norme. L'A.N.PI di Roma e del Lazio ha dedicato convegni, incontri, studi a questo tema. Ha promosso confronti tra leader nazionali di compagini politiche che li ritengono in qualche modo, anche con altra denominazione, originati dall'antifascismo e dalla Resistenza. Ha in corso una ricerca con antropologi sociali e psicologi in relazione ai fenomeni della ritrosia popolare nei confronti dell'impegno politico, e un'altra con studiosi e uomini politici sul sistema democratico parlamentare là dove la formazione delle leggi subisce gravi ritardi a causa delle strutture ripetitive ed eccessivamente burocratizzate. Ha ispirato la formazione di un comitato di consultazione permanente tra i partiti, composto da esponenti iscritti all'A.N.P.I., associazione prescelta come luogo di chiarimento delle varie posizioni a fine collaborativo.
    Descrivere la nostra attività in questi ultimi anni, così ricca e impegnata, comporterebbe troppo tempo. Accenno soltanto all'istituzione della casa della Memoria e della Storia, allo sviluppo del Centro Telematica di Storia Contemporanea, sistema che consente l'intercomunicazione con centri culturali e archivi storici di tutto il mondo. Abbiamo stabilito, in quest'ambito, il collegamento istantaneo con la società editrice Thompson di Londra dalla quale abbiamo acquistato i diritti di accesso ai documenti britannici relativi alla Seconda Guerra Mondiale. Documentano pure le attività di intelligence che rivelano situazioni che interessano anche l'Italia e il Vaticano. Sono a disposizione degli studiosi. La cinenastroteca del Centro Telematico offre un notevole numero di documentari e di filmati di intrattenimento a tema storico, integrante la biblioteca gestita per noi dal Comune di Roma con il quale stiamo ristabilendo i collegamenti telematici audio-video per la compartecipazione in tempo reale del pubblico delle biblioteche pubbliche alla nostra attività culturale. Intensa è stata l'attività didattica nelle università e nelle scuole di ogni ordine e grado. Abbiamo svolto convegni internazionali, uno anche con i comandanti superstiti della Resistenza in Europa, stabilito rapporti di collaborazione con l e associazioni internazionali della guerra di Liberazione.

    Nostre delegazioni sono state invitate in Russia e Bielorussia per partecipare a manifestazioni rievocative della vittoria sul nazifascismo.
    Abbiamo svolto e svolgiamo una intensa attività editoriale pubblicando una collana di libri e il periodico Persona e Società. Intensa è anche la nostra attività di ricerca storica.
    Prestiamo particolare attenzione ai problemi dell'immigrazione, ai fenomeni razzisti che li accompagnano, alla insensibilità ottusa anche di esponenti della maggioranza governativa. Ne parlerà brevemente Laura Gabriele del nostro circolo del Villaggio Globale.
    Due parole sulla questione delle foibe. Nel condannarne gli orrori di cui furono vittime anche italiani della Resistenza, nel respingere le insinuazioni su presunte responsabilità dei partigiani italiani, ci stupiamo davvero che non vengano ricordati i delitti altrettanto atroci commessi da militari italiani nei confronti delle popolazioni istriane, croate, slovene e poi in Montenegro e in Grecia. Stragi di innocenti, incendi di villaggi, fucilazioni di inermi. Ne abbiamo discusso in convegni di studio anche con i rappresentanti della ex Jugoslavia. Si tratta di responsabilità che non possono essere affrontate a senso unico. Abbiamo commissionato a questo scopo una ricerca a Davide Conti che ne riferirà in sintesi. Allestirà a giorni una mostra fotografica contemporaneamente all'uscita in libreria del suo volume sulle accuse, i processi, le impunità relativi ai criminali di guerra.
    Non vi tedio oltre, avviandomi alle conclusioni, di questa introduzione cui farà seguito la relazione sullo svolgimento e conclusioni dei congressi delle nostre sezioni e dei nostri circoli.
    Ci recheremo al 15° congresso nazionale che si celebrerà a Torino alla fine di marzo con spirito costruttivo, consci della difficoltà di strutturare in modo nuovo la nostra associazione che non potrà più essere associazione dei partigiani combattenti, ormai in strettissima minoranza.
    Sarà nostro compito non solo individuare la nuova forma associativa ma anche stabilire tempi e modi per assicurare all'A.N.P.I. il completamento della nuova classe dirigente.
    Permettetemi in chiusura di rivolgere un pensiero ai nostri caduti e a quanti superstiti ci hanno lasciato. Chiedo loro, dal luogo misterioso in cui si trovano, di proteggere il nostro Paese, di assicurare al popolo italiano, nel contesto internazionale di cui facciamo parte come un'unica entità, la pace, la giustizia sociale, la libertà per le quali abbiamo combattuto.

15° congresso provinciale ANPI Roma - relazione introduttiva di Massimo Rendina


Conclusioni di Massimo Rendina
13 febbraio 2011

    A conclusione ringrazio a nome dell'ANPI di Roma e Lazio della partecipazione di molte personalità, con interventi stimolanti, con un dibattito. costruttivo da parte dei delegati; ringrazio il nostro presidente nazionale che dà spessore ai lavori, il segretario nazionale Marisa Ferro e gli alti dirigenti nazionali. Mi scuso se ridurrò le citazioni a quella dì Guglielmo Epifani, non solo per la sua figura di sindacalista e studioso delle trasformazioni sociali, ma anche perché ci ha spinto a ripensare ai lavoratori di ogni categoria e condizione che hanno tenuta accesa nelle carceri, al confino, in esilio, la fiaccola della libertà durante il ventennio dell'oppressione fascista e hanno partecipato, donne e uomini di ogni età, alla Resistenza in armi, o con i sabotaggi e gli scioperi nelle fabbriche, e occultando i prodotti agricoli per non consegnarli all'ammasso, rifornendo di viveri le unità partigiane, nascondendo i fuggiaschi perseguitati, anche i militari stranieri fuggiti dai campi di prigionia. Non pochi di costoro sono usciti dai nascondigli offerti col rischio di perdere la vita - come ci dicono le stragi nazifasciste non tutte ricostruite storicamente, stragi che annoverano l'uccisione anche di neonati oltre che di donne, adolescenti e anziani. Molti militari stranieri si sono uniti ai partigiani. Anche disertori tedeschi.
    Una loro unità, il Frei Deutchland Bataillon, ha combattuto contro i nazisti nelle zone confinanti con l'Austria. Il che internazionalizza la Resistenza italiana, dove combatterono con noi francesi, inglesi, americani, slavi, greci e cinquemila russi. Il carattere internazionale della Resistenza italiana fa sì che l'ANPI copra un ruolo non secondario nelle associazioni internazionali della Guerra di Liberazione, affidato all'ANPI di Roma.
    Chiudiamo questo congresso trasferendo la domanda giunta qui dalle assemblee di circolo e sezione, trasferendola al congresso nazionale per rispondere alla richiesta della società - partiti, sindacati, movimenti, associazioni - che ci chiede di dare continuità all'ANPI obbligata a cambiare fisionomia e composizione non potendo più essere sodalizio di reduci militari del Corpo Volontari della Libertà, essendo questi già una strettissima minoranza e destinati per ragioni di età a scomparire.
    Quale tipo di associazione potrà essere l'ANPI? Dove collocarla nel contesto culturale e politico?
    I delegati a questo congresso hanno già risposto anche se non in modo esaustivo rimandando l'approfondimento al congresso nazionale. Anch'io nella mia relazione introduttiva ho immaginato l'ANPI senza i partigiani, cui aderiscono cittadine e cittadini delle generazioni seguenti  alle nostre, convinti che debba esistere e crescere un ente, movimento, luogo ave si continui a dare sostanza programmatica agli ideali della Resistenza facendo della Costituzione Repubblicana che li incarna l'elemento basilare del progresso democratico e sociale.
    L'ANPI di Roma e Lazio, accogliendo le indicazioni dei congressi di circolo e sezione, si proporrà agli organi nazionali come elemento di sperimentazione della nuova ANPI nel suo complesso. Selezionerà la nuova classe dirigente per ricoprire incarichi di settore, che fanno parte della nostra struttura attuale da completare e rafforzare: nei campi della cultura storica, della didattica, dell'informazione e comunicazione. Darà maggiore agibilità e consistenza all'osservatorio della legalità con riferimento anche alla violazione dei diritti umani, maggiore organicità alle commissioni politica e di garanzia.
    Spetterà all'ANPI che uscirà dal congresso nazionale rendere maggiormente attive le relazioni con le associazioni internazionali della Resistenza che hanno sede a Parigi, Berlino e a Mosca, di cui l'ANPI di Roma ha la rappresentanza in Italia.
    L'ANPI di Roma e Lazio si augura che il congresso nazionale di Torino dia all'ANPI in tutte le sue articolazioni nazionali e locali ulteriori credibilità e autorevolezza nel rapporto sistematico con le forze politiche, culturali, sociali in sintonia con i principi costituzionale secondo la genesi resistenziale.
    La continuità morale e politica dell'ANPI potrà affermarsi perseguendo anche lo scopo di dare verità e sostanza al linguaggio politico travisato, strumentalizzato da una destra retriva che controlla di fatto i mezzi di informazione maggiormente suggestivi. Ho la sensazione che questa esigenza, di rispetto semantico una volta soddisfatta possa influire in modo decisivo anche sui fattori psicologici che inducono alla difficoltà di immaginare l'avvenire in cui riporre la speranza di un mondo migliore.
    La sottocultura della destra è riuscita a diffondere la teatralità del vivere nell'immediato attraverso il messaggio anche subliminale della televisione che si concentra sul presente e sul consumismo cui viene orientato lo spettatore.
    Si tratta di un pesante condizionamento all'adesione d'aggregazioni e progetti orientati a far crescere e affermare una comunità quale la si sarebbe voluta nel dopoguerra. Non a caso qualche giorno fa Giorgio Napolitano ha parlato ai giovani raccomandando loro di ritornare, con lo spirito e l'impegno, al clima spirituale nel quale operarono i Costituenti. La ripresa di un processo interrotto dagli eventi che portiamo in eredità dal Novecento senza risolvere le contraddizioni di cui si fanno forti in campo internazionale i poteri finanziari e in quello nostro, nazionale, ad essi collegati, la destra che ha imboccato la strada dell'autoritarismo antisociale.
    Uno scenario che deve vedere l'ANPI tra i protagonisti della rigenerazione democratica. Un insegnamento per la nuova ANPI nel ristabilire il rapporto tra ieri e oggi, ieri tanto luminoso e oggi così cupo.

15° congresso provinciale ANPI Roma - conclusioni di Massimo Rendina




Massimo Rendina al 15° congresso nazionale - Torino

    Vinco l'emozione nel prendere la parola qui a Torino che ho concorso a liberare dai nazifascisti contribuendo con i garibaldini della Divisione Leo Lanfranco all'insurrezione della città conclusasi vittoriosamente la mattina del 28 aprile 1945 mentre ancora gli alleati erano lontani. Le avanguardie angloamericane entrarono a Torino il 3 maggio mentre stanavamo gli ultimi nuclei di franchi tiratori fascisti che sparavano dai sottotetti anche alla gente comune, uomini e donne, per vendicarsi della rivolta popolare.
    Superare il Po lungo il quale ci eravamo attestati provenienti dal Monferrato, dopo aver conquistato Chieri fu una decisione azzardata e sofferta. Era la notte tra il 25 e il 26 aprile. Il colonnello inglese Stevens che era a capo della missione alleata presso il comando della resistenza piemontese ci aveva fatto pervenire nel pomeriggio l'ordine di non muoverci. L'armata tedesca del generale Schlemmer con 35 mila uomini, carri armati e artiglieria pesante avrebbe potuto distruggere la città con i suoi abitanti se avessimo attaccato i nazisti impegnati contro gli insorti asserragliati specialmente nelle fabbriche Grandi Motori della FIAT, Nebiolo, Mirafiori, Ferriere. Potevamo lasciarli massacrare? Il comandante della ottava zona, il nostro comandante delle unità partigiane unificate nel Corpo Volontari della Libertà, Pompeo Colajanni, nome di battaglia Barbato, si assunse la responsabilità di ignorare quella disposizione. Ero il capo di stato maggiore della mia divisione e collaboravo con lui nella direzione operativa. L'abbandonai per raggiungere un distaccamento della XIX Garibaldi che era già nella località Barca, e cominciammo a combattere uno scontro dopo l'altro, usando i bazooka e le bottiglie incendiarie contro i carri armati, procedendo verso il centro cittadino.
    Fummo fortunati. Schlemmer deviò verso Chivasso per consegnarsi agli alleati dopo aver compiuto stragi di civili lungo il cammino. Ricordo il giorno della liberazione per il rimpianto dei caduti, molti giovanissimi, e per il ritorno alla mia identità, lasciando il nome di battaglia per quello vero. Lo ricordo anche per la certezza che si stesse chiudendo per sempre un'epoca in cui la persona umana era stata umiliata come non mai e aprirsi una che le ridesse la libertà assoggettata all'imperativo categorico della solidarietà.
    Una domanda mi ricollega a quei momenti e si impone in questa assemblea: se la speranza, meglio,la certezza come ho detto, di una umanità salvaguardata dalle guerre, dalle disparità sociali, dalle ingiustizie, uscita da immani distruzioni di persone (quasi 80 milioni di morti) e di manufatti, si sia realizzata e se ciò che non è avvenuto, come sappiamo e viviamo, possa finalmente realizzarsi. Gli accadimenti recenti, le rivolte popolari in Africa, nei paesi arabi a regime autoritario, hanno costretto tutte le nazioni del mondo a un ripensamento che potrebbe risolversi nell'attribuire all'organizzazione delle Nazioni Unite il ruolo e l'autorità che avrebbero dovuto avere con la fine della Seconda Guerra Mondiale. È una fondata probabilità imposta dalle circostanze. Siamo entrati in una fase della politica mondiale che ci riporta al tempo delle responsabilità comuni, al superamento della sfida economica e militare tra superpotenze. Restiamo irrimediabilmente utopisti intendendo per utopia, come diceva Martin Buber "l'esplicazione delle possibilità di un giusto ordinamento (universale) latenti nella convivenza umana."
    Come avremmo fatto, del resto, a iniziare la lotta armata nella Resistenza contro un nemico dotato di armi e capacità militari enormemente superiori alle nostre? E continuarla anche se certi, come erano molti di noi, che Hitler fosse in grado di vincere la guerra in possesso - e per poco non li ebbe - di strumenti di distruzione di massa? E rifiutare l'invito a sospendere la guerriglia nell'inverno 44-45 del generale Alexander che ci abbandonava a noi stessi?
    Non è dunque presunzione la nostra di vedere nell'ANPI un elemento essenziale nella ricostruzione democratica del nostro Paese e, assieme alle associazioni come la nostra nel mondo, alla realizzazione dell'utopia della pace e solidarietà universali.
    Ci stupisce pertanto che non si riconosca alla Resistenza, come dovremmo, l'origine della democrazia che cominciò a svilupparsi solo dopo la Seconda Guerra Mondiale perché prima neppure i grandi paesi democratici erano veramente tali, Gran Bretagna e Francia colonialisti, Stati Uniti con la discriminazione razziale. Ci stupisce anche che nel celebrare il 150° dell'unità d'Italia non si ponga abbastanza in rilievo che fu la Resistenza - illuminante è l'analisi di Aldo Moro - a determinarla coinvolgendo le masse popolari che non poche volte nel Risorgimento le furono ostili.
    Funzione dell'ANPI è anche ridare alla storia i contenuti peculiari.
    Venendo ai fatti di casa nostra, dobbiamo meditare sull'invito rivolto qualche tempo fa da Giorgio Napolitano ai giovani, trascurato dalle forze politiche e culturali che non hanno prestato la dovuta attenzione alle parole del Capo dello Stato non cogliendone il significato che esprimeva un giudizio storico e insieme indicava la strada della rigenerazione democratica. Occorre, disse, riprendere lo spirito dei Costituenti non per ritornare al passato in modo velleitario, impossibile, superficialmente ingenuo, ma per attuare quel processo di compimento della democrazia - uso una frase di Aldo Moro - aperto dalla Guerra di Liberazione, le cui linee sono nei propositi e dettami della Carta Costituzionale, ma non pienamente attuati e anzi oggi soggetti a pericolose insidie.
    Sappiamo in qual modo abbia agito la "guerra fredda" ad interrompere anche in Italia l'attuazione di una società democratica solidale dove a ciascuno fossero date le medesime occasioni di affermazione affidate alle capacità e volontà individuali garantite appunto dal sistema democratico che nell'Antifascismo e nella Resistenza si era andato culturalmente affermando cogliendo nell'umanesimo liberale e in quelli marxisti e cristiani gli elementi che i Costituenti avrebbero e hanno tradotto in propositi e norme. Sappiamo anche quali danni al sistema partitico parlamentare italiano abbia inferto "tangentopoli" anche sul piano della diffidenza popolare verso la politica rifiutando così i principi stessi della democrazia parlamentare e favorendo l'avvento del qualunquismo berlusconiano erede del populismo fascista.
    Non mi intrattengo sulla mentalità fascista del Presidente del Consiglio e dei suoi collaboratori se non per riprendere quanto diceva Benedetto Croce avvertendo che il fascismo più che un movimento politico è, appunto, un modo di pensare. Debbo inoltre confessare che mi rimane difficile giustificare una parte notevole di italiani che confida in un leader che offende in modo plateale e grottesco la morale anche più elementare e antepone agli atti di governo le astuzie per assicurarsi l'impunità giudiziaria. Dovremmo, se ci fosse il tempo, anche addentrarci in quanto succede nelle insurrezioni del mondo arabo sperando che vengano alla luce complicità e interessi privati mascherati da accorta e realistica politica internazionale. Ciò che mi sembra dover rilevare di positivo è che l'ansia alla libertà sta crescendo dappertutto, in ogni area geografica ed etnica, unendo le nuove generazioni facendole protagoniste del loro destino. Sono gli identici sentimenti che animavano la Resistenza. E dalla Resistenza ci viene anche l'obbligo di salvaguardare la pace da ogni tipo di conflitto armato secondo un preciso dettame costituzionale. Mi rendo conto che gli impegni internazionali rendono necessaria la nostra presenza in Afganistan anche pagando il prezzo ormai insopportabile di vite umane, ma davvero i nostri militari sono là per compiere una missione umanitaria? Ritengo legittimo il dubbio che siano costretti a proteggere un regime corrotto, persino compromesso con il mercato dell'oppio. Da questo scenario dovrebbero emergere anche la necessità e l'urgenza del ritorno alla politica, la politica democratica, come necessità della convivenza civile. E anche sollevare nuovi interrogativi sulla politica stessa che non può essere democratica, in tutte le sue varianti, in base solo a concetti numerici ma anche qualitativi. Le nuove tecnologie di comunicazione che tanta parte hanno avuto e hanno nei movimenti insurrezionali possono assicurare nuove modalità e occasioni di partecipazione democratica con l'attenzione però rivolta ai pericoli di quello che viene definito il populismo informatico dai sociologi inglesi.
    Ed è compiendo questa analisi, anche se oltremodo sintetica, che cogliamo l'incapacità dei partiti italiani che hanno la genesi nell'Antifascismo e nella Resistenza, l'incapacità di rigenerarsi e riproporsi alla guida dello sviluppo democratico conclusa la "guerra fredda" e !asciatasi alle spalle "tangentopoli". Anche nel loro ambito si fa strada l'esigenza del ricambio generazionale. Segnali positivi ci giungono anche da quegli strati sociali che sembravano volersi estraniare irrimediabilmente dall'impegno sociale e politico. Se ci addentriamo nello studio e nelle ricerche sociologiche notiamo che lo stesso sistema di estraniazione promosso dai mezzi di comunicazioni di massa asserviti al potere perde in suggestione. Si sviluppa la ripulsa nei confronti della teatralità della comunicazione, verso i procedimenti che falsificano la realtà e trasformano la suggestione in desiderio e questa in bisogno. La società fittizia creata artificialmente con l'implicazione politica di allontanare gli individui dai doveri di partecipazione democratica sembra giunta ad una svolta. Compito dell'ANPI è di contribuire in modo non presuntuoso ma con spirito di servizio a dare forma e sostanza al rinnovamento democratico. Ad approfondire le motivazioni della crisi economica mondiale che stenta a risolversi se non si affronta in modo globale il sistema dominato dai potentati finanziari speculativi. È in questo scenario che si misura la validità della continuità di una associazione di combattenti per la libertà, associazione militare di reduci, trasformata in associazione culturale politica, ridotti al minimo i partigiani, destinati a scomparire per l'età, un'associazione in grado di riproporre gli ideali dell'Antifascismo e della Resistenza affidati ai nuovi iscritti e di farne il quadro di riferimento non solo storico. Ne sono consci i partiti, i sindacati, le associazioni culturali e del volontariato che si sono fatti promotori della continuità dell'ANPI rivolgendosi già all'assemblea di Chianciano nel 2006 perché la nostra associazione assumesse nuove responsabilità con l'apertura statutaria alle nuove generazioni.
    È partendo dunque dalle risoluzioni di Chianciano che è doveroso compiere un esame di coscienza e giudicare se il mandato, allora datoci, del rinnovamento dell'ANPI sia stato almeno avviato e come dobbiamo ora attuarlo. Questo è il punto nodale di questo congresso. Non esprimo critiche nei confronti dei dirigenti nazionali perché le responsabilità sono comuni ma mi pare che per onestà intellettuale dobbiamo riconoscere che la nostra attività in campo nazionale sia stata più rivolta ad assicurarci nuovi iscritti e a ricostituire sedi provinciali rimaste senza gestori che ad approfondire e attuare i compiti politici e culturali che la continuità dell'ANPI esige e gli stessi partiti promuovono. L'ingresso nell'ANPI di nuovi iscritti pur così numeroso non è stato accompagnato dalla formazione dei quadri dirigenti, lasciata alle iniziative locali, senza un progetto a carattere nazionale derivato dalla presa di coscienza delle trasformazioni via via in atto nella società mondiale e nazionale e dei compiti che l'ANPI avrebbe dovuto assolvere ridando, attraverso la cultura della Resistenza rianalizzata e riadattata ai tempi, nuove dimensioni alla stessa politica perché attui il progresso sociale in senso comunitario globale iniziando dalla rigenerazione democratica nazionale.
    La necessità avvertita dall' ANPI di Roma di costituire un osservatorio laboratorio di ricerca nel campo dei mutamenti antropologici, probabilmente attuata anche in altri ambiti provinciali, non ha avuto riscontro nei vertici nazionali, così come la promozione di comitati interpartitici, interassociativi, con l'ANPI in funzione di raccordo e coordinamento, tanto che le dichiarazioni ripetute ed enfatizzate dell'ANPI nel porsi quale riferimento dei valori democratici e coscienza critica della società sono rimaste a livello di esercitazione letteraria ad uso dei membri del comitato nazionale, confinate al più nei siti web. Sarebbe peraltro ingeneroso non riconoscere all'ANPI le difficoltà di presenza e incidenza nella società derivate dalla situazione politica e sociale e dalla stentata acquisizione identitaria dei partiti e movimenti politici democratici e, soprattutto, dalla loro frammentazione. Ma ciò non assolve l'ANPI dalla stasi della presenza politica e culturale, né valgono le scusanti dell'insufficienza numerica dello staff dirigenziale quando non sono state cercate collaborazioni esterne né attuati quei collegamenti sistematici con i centri di cultura che venivano offerti senza ottenere effettivo accoglimento.
    L'ANPI ha mancato più di un'occasione nel richiamare mediante un'azione concreta i partiti e movimenti politici democratici ad intraprendere un'azione comune di difesa e promozione dei valori resistenziali. Le ripetute richieste dell' ANPI di Roma alla Presidenza Nazionale di indire una manifestazione nazionale sono cadute nel vuoto. Così da indurci ad un opera di supplenza l' 11 marzo scorso in una sala della Camera dei Deputati, ricevendo il conforto dalle più autorevoli rappresentanze politiche, sindacali, culturali disponibili a formare un fronte comune per risvegliare le coscienze degli italiani. Ecco da quell'incontro emergere l'indicazione della collocazione dell'ANPI nello schieramento politico e culturale quale "luogo" delle intese unitarie progettuali di una società impegnata anche nello svecchiamento intellettuale con la ripresa del progresso democratico indicato dai Costituenti. Abbiamo richiamato i partiti, sindacati, l'associazionismo culturale e sociale a riflettere sulla continuità dell'ANPI da loro richiesta proprio rievocando la storia della Resistenza animata dai partiti confluiti nel CLN. Il che li obbliga a partecipare in modo diretto alla nostra continuità associativa, a dare corso a propositi coerenti non solo con la storia ma rispondenti alle esigenze attuali.
    Sarebbe improprio, concludendo, che non comunicassi all'assemblea che l'ANPI di Roma e Lazio è propensa al rinnovamento delle cariche nazionali offrendo la responsabilità piena ai delegati delle nuove generazioni, comunque pienamente disponibile ad osservare disciplinatamente le deliberazioni della maggioranza.

15° congresso nazionale ANPI - Torino - intervento di Massimo Rendina

https://www.anpi.it/articoli/430/riprese-video-del-15-congresso-nazionale-anpi

https://www.anpi.it/media/uploads/files/2013/05/Atti_15_Congresso_ANPI.pdf



Foto dell'indimenticabile 15° Congresso dell'ANPI provinciale di Roma:













































































































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