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Fuori la guerra dalla storia

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23 giugno 2021

Progetto formativo "21 Madri Costituenti. Tra sogni, diritti, democrazia e libertà". I lavori delle studentesse e degli studenti delle scuole aderenti.

Il Gruppo scuola e il Coordinamento Donne dell’ANPI provinciale di Roma, nel quadro delle linee di intervento didattico – culturale tese a valorizzare la conoscenza della Costituzione italiana, ha proposto il progetto formativo 21 Madri Costituenti. Tra sogni, diritti, democrazia e libertà indirizzato alle studentesse e agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, con la finalità di approfondire le vicende relative al periodo nel quale si svolsero i lavori della Assemblea Costituente (1 giugno - 31 dicembre 1947) e di far conoscere ed apprezzare il ruolo delle 21 donne elette in tale Assemblea. I loro nomi e il loro impegno sono infatti oscuri e misconosciuti, mentre più nota è la storia dei 535 padri costituenti. 

Le donne elette nella Assemblea Costituente provenivano da diverse esperienze politiche, alcune di loro furono protagoniste della Resistenza al nazifascismo. Costante fu l'impegno per trovare soluzioni  condivise sui temi a loro affidati nelle Commissioni quali la famiglia, la scuola, la sanità e il lavoro.

Pur essendo in poche hanno rappresentato comunque un passo in avanti in un processo di emancipazione, iniziato molto tempo prima e accelerato dalla Resistenza e dalla guerra di Liberazione, perché costituirono la prima ondata di partecipazione femminile ai diritti civili.

Il Progetto formativo ha fatto conoscere il contesto storico in cui fu eletta l’Assemblea Costituente, partendo dai primi movimenti delle donne all’inizio del Novecento e ha avuto l’obiettivo di dare una piena conoscenza dei diritti di cittadinanza faticosamente conquistati dalle donne a partire dall’articolo 3 della Costituzione Italiana.



Questi gli obiettivi didattici del progetto:

- Educare alla memoria storica e stimolare il pensiero critico attraverso una ricerca originale sul contributo delle donne alla Costituente; 

- Usare consapevolmente le nuove tecnologie attraverso la ricerca, la creazione e la raccolta di materiali;

- Sperimentare e combinare linguaggi nuovi e diversi per raccontare le vicende delle donne Costituenti.

Le modalità di svolgimento dell’attività formativa hanno compreso:

Proiezione del film Senza rossetto di Silvana Profeta ed Emanuela Mazzina col montaggio di Milena Fiore, costruito con interviste a donne che votarono la prima volta il 2 giugno 1946 e materiali provenienti dall'Istituto Luce e dall'Aamod

Una lezione (a cura di Marina Pierlorenzi, vicepresidente dell'ANPI provinciale di Roma) sulla storia delle Costituenti e sul loro lavoro all'interno dell'Assemblea che ha introdotto i principi di uguaglianza nella società, nella famiglia, nel lavoro.

L'utilizzo di supporti  digitali e cartacei, a cura di Gabriella Pandinu Responsabile gruppo scuola dell'ANPI provinciale di Roma.

Le studentesse e gli studenti hanno prodotto elaborati scritti, recitati o filmati sulle Costituenti, che sono stati presentati in una giornata conclusiva nelle scuole che hanno partecipato al percorso formativo.

Questi elaborati sono risultati molto interessanti e ben fatti e hanno rivelato il grande lavoro fatto da docenti e studenti/studentesse con passione, impegno e fantasia.

Riteniamo importante raccogliere in un apposita pagina tutti i lavori svolti a noi pervenuti.

Lavori della 5A del Liceo scientifico Tullio Levi Civita di Roma, a cura della prof.ssa Maria Pina Venditti:

Teresa Mattei

Nilde Iotti

Teresa Noce

Bianca Bianchi

Elisabetta Conci


Lavori dell'Istituto tecnico alberghiero Artusi, a cura della prof.ssa Daniela Tomasini:

Istituto Tecnico Alberghiero Artusi

21 madri costituenti

Lavori delle classi 5A, 5D E 5F dell'IPSSAR di Velletri, a cura della prof.ssa Lidia Spadaro e della prof.ssa Silvana Di Giovannibattista

Libere e sovrane

21 madri costituenti


IIS Eliano-Luzzatti di Palestrina
Le classi coinvolte sono state: 5B afm con la prof.ssa Busillo Emilia; 4A scienze umane con la prof.ssa Ciadamidaro Amelia; 3B economico sociale con la prof.ssa Corvino Daniela; 3E economico sociale con la prof.ssa Rossi Paola;

PCTO - Le Madri Costituenti


ITT Livia Bottardi
classi  3E e 5E con le docenti prof.ssa Margherita Barone e Prof.ssa Carmen Giglio








IMS Giordano Bruno V B prof.ssa Sandra Rusca






ITIS Giovanni XXIII di Roma Prof.ssa Anna Merola



V A, prof.ssa Marcella Marcellino




IC Casale del Finocchio, Prof.ssa Monica Di Bernardo,  Prof.ssa Doriana Michelini,
Prof.ssa Rachele  Cosentini, Prof.ssa Marinella Istria
Classi 2B - 1G - 1H




IC Calderini Tuccimei - Docenti: prof.ssa Sara Protopapa, prof. Antonio Panella, prof.ssa Simonetta Serromani


09 giugno 2021

Il 9 giugno 1937 venivano uccisi dai sicari dei fascisti, in Francia, Carlo e Nello Rosselli

È assai probabile che l’ordine di eliminare i fratelli Rosselli sia partito direttamente da Mussolini, per essere eseguito, con il tramite di Ciano e del servizio segreto italiano, da militanti dell’organizzazione eversiva dell’estrema destra francese “La Cagoule”, la cui storia è ancora secretata negli archivi francesi, in cambio di una partita di armi dall'Italia. Tuttavia, i retroscena dell’omicidio sono ancora in parte avvolti nel mistero; Tale organizzazione eversiva aveva appoggi e coperture sia a livello internazionale, sia all'interno dalle élite militari, istituzionali ed economiche francesi, e molti militanti confluirono poi nel regime di Vichy. Al di là delle condanne di alcuni presunti esecutori materiali avvenute nel dopoguerra, ancora oggi non esiste una verità giudiziaria certa del delitto Rosselli sebbene le responsabilità politiche siano più che certe.













In morte dei fratelli Rosselli
di Tomaso Montanari
«Di fronte al progressivo consolidarsi del fascismo, la nostra sistematica opposizione corrisponde ad un regolamento di conti fuori dalla storia: forse non avrà apparentemente nessuna positiva efficacia; ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi, e sulla quale e per la quale dobbiamo lavorare».
È tutta racchiusa in queste parole – scritte da Carlo in Antifascismo perché, 12 gennaio 1925 – l’attualità della lezione dei fratelli Rosselli.
La loro testarda volontà di stare «fuori dalla storia», cioè di non pensare che – usiamo le parole di Gramsci – tutto ciò che esiste è naturale che esista.
In Italia l’apologia della necessità dello stato attuale delle cose ha una lunga e solida tradizione. In un passo struggente dei Diari (siamo nel 1939), Piero Calamandrei non si dà pace che i «giovani» (il figlio Franco e i suoi amici) pensino che «la storia è composta di fatti e non idee, e se Mussolini è riuscito a diventar dittatore, vuol dire che Mussolini è una realtà e che le idee impotenti degli oppositori sono un’irrealtà: per ora, finché c’è questa realtà, il migliore regime è questo, perché si regge. Rinunciano dunque a giudicarlo, a darne una valutazione morale: se noi non facciamo nulla per rovesciarlo, vuol dire che storicamente esso corrisponde alle necessità del presente che ce lo fa accettare».
Ebbene, Carlo e Nello Rosselli prima ancora che antifascisti sono anticonformisti: esercitano una critica radicale del reale che affonda le radici nell'essenza stessa della cultura umanistica, e segnatamente in quella storica.
È per questo che la giornata di oggi ha un doppio significato. Perché il ritorno a Firenze dell’Archivio Rosselli significa la possibilità di accedere non solo ad un fondamentale strumento storiografico, ma anche ad uno strumento di costruzione della coscienza civile. La voce dei Rosselli non torna a parlare solo agli studiosi, ma ad una comunità che ha un vitale bisogno degli anticorpi di una critica radicale.
La cultura come resistenza.
La cultura come mezzo per comprendere perché la maggioranza degli italiani non reagisse contro la minoranza fascista.
La cultura: è questo il senso profondo della radice fiorentina dell’esperienza dei Rosselli. «Prima di agire – ha scritto Calamandrei – bisognava capire. Per questo, come primo atto di serietà e responsabilità, essi promossero quelle riunioni di amici tormentati dalle stesse domande e assetati anch'essi di capire, che dettero origine al Circolo di Cultura … ci riunivamo in quella sala a leggere e a discutere: temi di politica, di economia, di letteratura, di morale. Una breve introduzione di un relatore preparato che poneva il tema, poi una discussione animatissima, che spesso si protraeva per ore. In ogni riunione le idee si chiarivano, i propositi si rafforzavano. A rileggere ora, a distanza di venti anni, i programmi di quelle riunioni, vi si ritrovavano tra i relatori nomi di uomini che poi, nel ventennio successivo hanno portato la stessa chiarezza di idee, la stessa fermezza di propositi negli esili, nelle carceri, nel sacrificio della vita». Finché il 31 dicembre del 1924 «una squadra di fascisti invase le sale e le devastò: dalle finestre che davano in piazza santa Trinita furono gettati di sotto tutti i mobili, i libri e le riviste, e ai piedi della Colonna che porta in cima la statua della Giustizia fu fatto d’essi un gran rogo».
Dieci anni più tardi, mentre Carlo è in Spagna, Nello fa parte di un altro circolo, informale ma straordinariamente importante: «negli anni pesanti e grigi nei quali si sentiva avvicinarsi la catastrofe – racconta ancora Calamandrei – facevo parte di un gruppo di amici che, non potendo sopportare l’afa morale delle città piene di falso tripudio e di funebri adunate coatte, fuggivamo ogni domenica a respirare su per i monti l’aria della libertà, e consolarci tra noi coll'amicizia, a ricercare in questi profili di orizzonti familiari il vero volto della patria». In questo gruppo che, tra il 1935 e lo scoppio della guerra, lasciava ogni domenica la Firenze fascista per cercare nel paesaggio e nei monumenti dell’Italia centrale un nuovo Risorgimento c’erano – oltre a Nello Rosselli e a Calamdrei – Luigi Russo, Pietro Pancrazi, Alessandro Levi, Guido Calogero, Attilio Momigliano, Ugo Enrico Paoli, talvolta Benedetto Croce, Adolfo Omodeo e in qualche occasione Leone Ginzburg.
Era il vertice della cultura italiana: il meglio dell’Italia antifascista. Fu un’esperienza profondissima, e profondamente politica: «Io pensavo – scriveva Calamandrei a Pancrazi – che qualcosa di eterno ci deve essere, se noi prendiamo tanto gusto ed affezione a queste nostre gite: nelle quali circola nel nostro pensiero una parola che non diciamo, per pudore, ma che pure, a ripensarla così di paese in paese, torna nuova, e pura: “patria!”». E quando Calamandrei apprese la notizia dell’assassinio scrisse questa lettera alla vedova di Nello, la signoria Maria Todesco: «Gentile Signora, non ho saputo trovare altro modo più eloquente per esprimerLe il mio dolore, che questo: di mandarLe qualche immagine del nostro Nello, tratta dalle fotografie delle indimenticabili passeggiate domenicali. Che erano, alla fine di ogni settimana, come un’attesa evasione dalla prigionia; e che ora, nel ricordo, sono una ragione per riempire di tristezza tutte le nostre giornate e per non poter posare gli occhi su paesi e su monti senza pensare a lui con un nodo alla gola». È anche in questa particolarissima immersione nel paesaggio e nell'arte che affonda le sue radici quello che diventerà l’articolo 9 della Costituzione. Un articolo che, al primo comma, mette alla base della Repubblica nascente proprio quello «sviluppo della cultura» che il circolo dei Rosselli aveva eletto a strumento fondamentale della lotta al fascismo.
Nel 1944 un altro intellettuale europeo, lo storico francese Marc Bloch, scriveva, nella sua Apologia della storia: «Nella nostra epoca, più che mai esposta alle tossine della menzogna e della falsa diceria che vergogna che il metodo critico della storia non figuri sia pure nel più piccolo cantuccio dei programmi d’insegnamento». Di fronte al nazismo e all'Olocausto il metodo critico della cultura umanistica sembrava ancora più necessario: Bloch – fucilato dalla Gestapo perché membro della Resistenza – la definisce «una nuova via verso il vero e, perciò, verso il giusto». Quel libro si apre con la domanda di un figlio a un padre: «Papà, spiegami allora a cosa serve la storia». Bloch risponde così: «L’oggetto della storia è, per natura, l’uomo … dietro i tratti concreti del paesaggio, dietro gli scritti, dietro le istituzioni, sono gli uomini che la storia vuol afferrare. Colui che non si spinge fin qui, non sarà mai altro, nel migliore dei casi, che un manovale dell’erudizione. Il bravo storico, invece, somiglia all'orco della favola. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda». È il metodo critico che ci permette di esercitare davvero la nostra sovranità di cittadini, che riesce ad attuare l’articolo 1 della nostra Costituzione. «La sovranità appartiene al popolo»: non si esercita, questa sovranità, senza consapevolezza culturale. È su questo fondamento che, nel dopoguerra, sono state ricostruite le democrazie europee. Ed è appunto per questo che la nostra Costituzione impone alla Repubblica di promuovere «lo sviluppo della cultura e la ricerca».
E trovo straordinariamente felice che nella casa fiorentina dei Rosselli, in Via Giuseppe Giusti 1938, abbia oggi sede il Kunsthistorishces Institut, l’Istituto Germanico di Storia dell’arte, una delle più importanti istituzioni di ricerca della storia dell’arte a livello mondiale. Un luogo di produzione della conoscenza, un istituto tedesco in Italia, un pezzo dell’Europa della conoscenza che aiuta a vedere che non esiste solo l’Europa delle banche. Su quella facciata di Via Giusti fu sempre Calamandrei a dettare questa iscrizione, che è forse la migliore conclusione di questa giornata:
Da questa casa
ove nel 1925
il primo foglio clandestino antifascista
dette alla resistenza la parola d’ordine
NON MOLLARE
fedeli a questa consegna
col pensiero e coll'azione
CARLO e NELLO ROSSELLI
soffrendo confini carceri esili
in Italia in Francia in Spagna
mossero consapevoli per diverse vie
incontro all'agguato fascista
che li ricongiunse nel sacrificio
il 9 giugno 1937
a Bagnoles de L’Orne
ma invano si illusero gli oppressori
di aver fatto la notte su quelle due fronti
quando spuntò l’alba
si videro in armi
su ogni vetta d’Italia
mille e mille col loro stesso volto
volontari delle brigate Rosselli
che sulla fiamma recavano impresso
grido lanciato da un popolo all'avvenire
GIUSTIZIA E LIBERTA’.
la Repubblica, 7 Giugno 2017

(*) Presidente di Giustizia e Libertà. Pubblichiamo il testo del discorso tenuto in occasione della ricorrenza dell’uccisione dei Rosselli, tenuto il 9 giugno 2017 all'Archivio di Stato di Firenze

05 giugno 2021

5 giugno 1944: UGO FORNO, l'ultimo caduto in combattimento della Resistenza Romana

 









La piccola vedetta romana

Una storia epica che sembra riassumere in sé, ultima com'è di una lunga serie di eroismi noti e ignoti, la lotta stessa dell'intera città, uomini e donne, vecchi e bambini, contro i nove mesi di occupazione nazista.
di Cesare De Simone dal libro Roma Città prigioniera

5 Giugno 1944 (primo giorno della Liberazione)
Ugo Forno, chiamato Ughetto dai suoi compagni di scuola, ha 12 anni compiuti da un mese e abita al numero 15 della via Nemorense con il padre Enea Angelo, impiegato all'Intendenza di Finanza, e con la mamma Maria Vittoria Sorari. È un ragazzino gracile ma vivacissimo, con i capelli scuri e gli occhi azzurri; frequenta la seconda media, sezione B, al Luigi Settembrini di via Sebenico, la scuola che ha sede nello stesso grande edificio del liceo Giulio Cesare, su Corso Trieste.
L'anno scolastico 1943/1944 è terminato a metà maggio e sul registro di classe [ vedi fotografia ] l'alunno "Forno Ugo, nato a Roma il 27 aprile 1932, religione cattolica, razza ariana, esonerato da pagamento tasse scolastiche perché figlio di invalido" risulta "promosso alla III classe". L'insegnante ha scritto: "Giudizio finale: dotato di intelligenza vivace e pronta, pieno di amor proprio, ha saputo conseguire un brillante risultato. Profilo: vivace, intelligente, viene a scuola con entusiasmo. È felice se può dimostrare che sa. Pieno di buona volontà, un po' troppo irrequieto, ma buono e generoso".
Irrequieto e generoso - quell'anonimo insegnante sembra profetico - Ughetto quella mattina del 5 esce di casa poco prima delle 9, dice alla mamma che va da un amico, nello stesso palazzo. "Mi raccomando, non tardare per il pranzo, come al tuo solito" gli urla dietro la donna. Lui, però, ha deciso di andare incontro agli Alleati. Vuole vedere quei soldati che vengono da lontano a liberarlo, che vengono da Paesi - l'America, la Gran Bretagna, il Canada - che egli conosce solo per averne letto sui libri di geografia.
Mezz'ora dopo torna a casa e s'infila nella sua stanza: "Ho scordato una cosa" dice alla madre. Lei crede che il figlio sia tornato a prendere un giocattolo, un giornaletto, chissà. Invece lui è venuto a nascondere, sotto al letto, due pistole lanciarazzi tedesche e numerose cartucce, trovate in qualche angolo di strada nei mucchi di armi e munizioni di cui i tedeschi in fuga, specie quelli a piedi, spesso si liberavano. Esce di nuovo, va verso piazza Vescovio. In mezzo ai giardinetti una trentina di persone parlano eccitate: c'è un reparto di guastatori tedeschi che sta cercando di far saltare con mine la Salaria, dopo villa Savoia, dice uno; è vero, dice un altro, ma ci sono i partigiani che gli sparano addosso per fermarli e catturarli. Altri chiedono: dove saranno gli americani? Adesso arrivano anche qui, risponde qualcuno che appare ben informato.
Ughetto s'allontana, un uomo che lo conosce - abita nella stessa scala dei Forno - lo vede andar via di corsa, saltellando. Trascorre un'ora e intorno alle 11 il ragazzino entra in una casa colonica su un prato che fiancheggia la Salaria, la stradina si chiama vicolo del Pino. Questa volta Ugo ha in mano un fucile e al collo una bandoliera con diverse cartucce, tutto materiale dell'esercito italiano, preso in una grotta vicina dov'era stato lasciato dai giorni dell'8 settembre 1943. Insieme a lui altri cinque giovani, tutti sui diciotto, venti anni, anche loro armati con fucili e pistole.
È Ugo a parlare, rivolto al gruppetto di contadini seduti a bere da un fiasco di vino attorno al grande tavolo della cucina: "I tedeschi stanno attaccando le mine al ponte sull'Aniene, lo vogliono demolire. Noi andiamo a salvarlo, ci devono passare gli americani. Avete delle armi? Venite con me". Dice proprio così: "con me", non "con noi". Parla da capitano. I contadini si alzano tutti e sei e gli vanno dietro dopo aver tirato fuori dalla cantina due mitra Beretta, due fucili della fanteria tedesca, alcune pistole: sono i giovani fratelli Antonio e Francesco Guidi, figli del proprietario della casa colonica, Luciano Curzi, Vittorio Seboni e Sandro Fornari, tre loro braccianti, un loro amico. L'intesa è immediata e tacita, Ughetto cammina in testa, gli altri lo seguono.
Il ponte di ferro sull'Aniene, che fiancheggia la via Salaria all'altezza dell'aeroporto dell'Urbe, sorregge i binari della ferrovia Roma-Firenze. Una decina di guastatori tedeschi, con la tuta maculata verde e marrone, stanno piazzando sotto le tre arcate grossi pacchi di esplosivo e stendendo i cavi elettrici dell'accensione. La gragnuola di fucilate che gli arriva addosso li sorprende a lavoro quasi ultimato e li costringe a gettarsi al riparo. È uno scontro furioso, Ugo e alcuni dei suoi sparano da dietro una capanna, gli altri allungati a terra sopra un dosso. I guastatori capiscono subito che ad attacarli sono patrioti italiani e non avanguardie americane, ma si rendono anche conto di non aver più tempo, ormai, perché gli americani stanno arrivando. Così decidono di abbandonare quel maledetto ponte e ritirarsi. Hanno un mortaio, però, e per coprirsi le spalle sparano tre colpi. Il primo prende in pieno Francesco Guidi, lo fa stramazzare in una pozza di sangue. "Sparate sul fumo! Sparate sul fumo" urla Ughetto, che intanto fa fuoco col suo fucilone. Spera di impedire ai mortaisti di lanciare altri colpi. Invece arriva il secondo proiettile, squarcia una coscia a Curzi e stacca un braccio a Fornari. Poi il terzo e le schegge centrano Ughetto, due al petto, una in testa. Il capitano bambino cade di schianto, è già morto quando tocca terra.
Chini, raggomitolati, correndo verso la strada dove li attendono due camionette, i guastatori tedeschi fuggono, il ponte sull'Aniene rimane intatto, con le micce dell'esplosivo che penzolano inutili. Sono gli ultimi tedeschi a lasciare Roma e Ughetto Forno, 12 anni, è l'ultimo romano che muore combattendo per cacciarli. Muore col sole alto, a mezzogiorno e qualche minuto. Di lì a poco, avvisati da altri contadini del combattimento in corso al ponte di ferro, un gruppo di gappisti dell'VIII zona del Pci giunge sul posto, guidato dal sottotenente paracadutista Giovanni Allegra. È lui che si china, sfila la bandoliera dalla spalla di Ugo e gli chiude le palpebre sugli occhi sbarrati. Uno dei gappisti ha in mano un tricolore a brandelli, fissato su un manico di scopa. Avvolto in quello straccio di bandiera il corpo del piccolo viene sistemato su un carrettino e trasportato nella vicina clinica dell'Inail in via Monte delle Gioie. Nello stesso ospedale i medici del pronto soccorso operano i tre feriti dal mortaio; Francesco Guidi non ce la fa e spira sotto i ferri, ha 21 anni.
I genitori, che lo hanno atteso inutilmente all'ora di pranzo, vengono avvertiti da alcuni conoscenti, abitanti nella stessa zona Nemorense, che un bambino bruno e con gli occhi azzurri è morto in combattimento coi tedeschi e il suo corpo è stato portato all'Inail. Si precipitano all'obitorio della clinica. "Dov'è il bambino ammazzato?" chiedono. Li portano nella camera mortuaria e così riconoscono il loro Ugo. La donna sviene, il padre inzia un lungo pianto, disperato, col volto tra le mani.
Una bandiera tricolore, assai più grande e bella di quella che lo aveva avvolto a mezzogiorno del 5 giugno 1944, sventola per Ughetto un anno dopo, nella classe della III media sezione B del Settembrini che lo doveva avere tra i suoi alunni. Organizzata dal preside, professor Luigi Cozzolengo, si tiene una commemorazione dello scolaro guerriero che ha salvato dai tedeschi in fuga il ponte di ferro sull'Aniene. La bandiera è allargata su una parete dell'aula, mentre il preside, il professore di religione e un compagno di classe, Luciano Cirri, uno degli amici più cari di Ugo, lo ricordano com'era, come lo avevano conosciuto. Sulla lavagna dietro la cattedra una grande foto di Ugo e sotto un cartone con una scritta in stampatello, dettata dallo stesso preside: "Giovanetti, in questa scuola/ dopo quella domestica/ imparai ad amare la Patria./ Gli ultimi resti di un nemico in fuga/ tentavano di minare il Ponte sull'Aniene./ La sicura distruzione mi riempì di sdegno./ Rapidamente disseppellii le armi nascoste in una vicina grotta/ e precedendo un reparto di soldati americani/ da buon milite della Santa Battaglia feci fuoco./ Caddi vincendo./ Forti ed entusiasti, preparatevi anche voi/ alla lotta e alla vittoria./ Ugo Forno".
Quel ponte sull'Aniene c'è ancora. Presso l'Ufficio Riconoscimenti del ministero della Difesa c'è anche, da cinquant'anni, in qualche polveroso e dimenticato fascicolo, la splendida motivazione della medaglia d'oro che il Cln romano propose per il più giovane partigiano, insieme allo scugnizzo napoletano Gennarino Capuozzo, della nostra guerra di liberazione nazionale. Una ricompensa che, chissà per quali oscuri motivi burocratici, resta ancora a livello di proposta. Nessuno se n'è occupato, nessuno se ne ricorda. Mentre Ughetto muore schiantato dal mortaio tedesco, in quello stesso momento una quindicina di chilometri in linea d'aria più a sud, il generale Roberto Bencivenga, designato dal Cln, si sta insediando in Campidoglio quale comandante civile e militare della città appena liberata. A Ravello, inoltre, Vittorio Emanuele III nomina il figlio Umberto suo luogotenente generale e Badoglio presenta a lui le dimissioni del suo governo.
Ha inizio per Roma, e poi seguirà per l'intera Italia, quel nuovo destino che il dodicenne Forno sperava, la stagione della libertà che certo aveva nel piccolo cuore imbracciando il fucile più alto di lui al Ponte sull'Aniene, sotto il sole della primavera romana. Lui giace sul tavolo di marmo, con la bandiera sulla faccia, e all'angolo delle Quattro Fontane è fermo un carro armato Patton, primo di una fila di altri tanks. Un soldato altissimo, magro, è a terra davanti al primo carro, mastica qualcosa. Tra la gente che lo guarda c'è il giornalista e scrittore Paolo Monelli, che gli chiede: "Where do you come from?", da dove vieni, e quello risponde "From Texas", dal Texas. A Porta Maggiore, intanto, un gigantesco MP americano, in piedi su una jeep, dirige il traffico delle autocolonne della Quinta Armata che salgono dalla Casilina, smistandole su varie direzioni con larghi movimenti del manganello lungo e bianco. Si chiama Jim Delavay, è un indiano apache del Nuovo Messico.

Qui potete scaricare il file Pdf con l'estratto dal libro di Cesare De Simone


Per approfondire la storia di Ugo Forno:

www.ugoforno.it


http://www.anpi.it/donne-e-uomini/1255/ugo-forno

Felice Cipriani "Ugo Forno. Il partigiano bambino", ed. Diarkos
https://www.diarkos.it/index.php?r=catalog%2Fview&id=10

Ugo Forno, un eroe di 12 anni

Non ha pensato alla sua vita: quando ha capito che bisognava intervenire per il bene di tutti, non ha esitato, arrivando al sacrificio estremo. La storia di un giovanissimo eroe è raccontata in “Ugo Forno. Il partigiano bambino”, scritto dal biografo ufficiale Felice Cipriani, edito da Diarkos (scheda in allegato). 

“Dotato di intelligenza vivace e pronta, piena di amor proprio, ha saputo conseguire un brillante risultato. Profilo vivace, intelligente, viene a scuola con entusiasmo. È felice se può dimostrare che sa. Pieno di buona volontà, un po' troppo irrequieto, ma buono e generoso”. 
Queste sono le parole dell'insegnante di Ugo Forno per la promozione alla III classe. Classe che, nonostante il suo amore per la scuola, non frequenterà perché Ugo Forno morirà da eroe a soli 12 anni, il 5 giugno 1944, in una delle ultime azioni della Resistenza romana. Una storia che può far riflettere tanti ragazzi di oggi, che hanno come solo riferimenti personaggi di reality show o delle piattaforme social. 

Nel libro Ugo Forno. Il partigiano bambino (edito da Diarkos), Felice Cipriani, giornalista, biografo ufficiale di Forno e coordinatore dell'associazione a lui dedicata, racconta la storia del piccolo grande eroe, tracciando un vivido spaccato di quegli anni di guerra e privazioni. 
L'autore racconta una Roma che ora può sembrare inverosimile, in cui i ragazzini giocavano nei campi vicino alle case, in cui all'esultanza per l'armistizio dell'8 settembre del 1943, subentrano la paura e le privazioni di una dura battaglia per scacciare le truppe tedesche dalla Capitale. 
Ugo Forno è solo una ragazzino, ma si rende conto del momento storico che sta vivendo e sente forte l'impegno dei genitori per nascondere i soldati italiani dalle ritorsioni delle truppe nemiche, anche a rischio della loro vita. 

Così quel 5 giugno del 1944, quando capisce che è arrivato il momento di entrare in azione, Ugo Forno non ha esitazioni. Le truppe Alleate stanno entrando a Roma. Il dodicenne vede i tedeschi che stanno posizionando l'esplosivo sul ponte dell'Aniene per farlo saltare. Si tratta di una via di comunicazione essenziale per l'avanzata degli Alleati: bisogna impedire quel sabotaggio. Ugo Forno lancia l'allarme, imbraccia le armi nascoste in una grotta e, insieme a un piccolo gruppo di contadini, comincia a sparare, costringendo i tedeschi a rinunciare all'impresa. Ma nel combattimento una scheggia sollevata da un colpo di mortaio lo colpirà al cuore, uccidendolo. 
Il corpo del dodicenne è stato avvolto nel Tricolore italiano, perché tutti i presenti hanno fin da subito testimoniato l'eroico coraggio di Ugo Forno. Un piccolo eroe che per lungo tempo è stato dimenticato, se consideriamo che la Medaglia d'Oro alla Memoria gli è stata conferita solo nel 2013.
L'obiettivo del libro di Cipriani è proprio quello di far conoscere la storia di Ugo Forno, soprattutto alle nuove generazioni, che tanto hanno bisogno di esempi positivi. 

02 giugno 2021

Monumento ai deportati del Quadraro di nuovo vandalizzato: lo restaureremo nuovamente. Manifestazione il 4 giugno: Roma resiste ora e sempre!

I teppisti hanno nuovamente danneggiato il monumento ai deportati del Quadraro, appena restaurato dall'ANPI con la collaborazione del Settimo Municipio di Roma e per il quale il prossimo 4 giugno era prevista l'inaugurazione.

Il comitato dell'ANPI di Roma, l'ANED di Roma e l'assessora alla Cultura del VII Municipio Elena De Santis condannano il vile atto che testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, il totale disprezzo per la Storia del popolo romano, il tentativo di minare la memoria della brutale efferatezza e del totale disprezzo per la vita umana da parte dei nazifascisti, la più totale mancanza del rispetto dovuto alle centinaia e centinaia di innocenti rastrellati dai nazisti di Kappler e deportati nei campi di lavoro dai quali pochi fecero ritorno. 

Nel chiedere alle autorità di pubblica sicurezza il più grande impegno ad individuare e sanzionare gli autori di tanta grave viltà, rassicuriamo la cittadinanza che restaureremo nuovamente il monumento simbolo della lotta antifascista contro la tirannia e la ferocia di un nemico impotente contro la fierezza del popolo del Quadraro e di Roma.

L'ignobile vandalismo ci impedisce la prevista inaugurazione, ma ci incontriamo comunque per ricordare che Roma resiste, ora e sempre. 

Appuntamento il 4 giugno, alle ore 19,00 al Parco XVII Aprile. Invitiamo la cittadinanza a partecipare.


Il presidente dell'ANPI provinciale di Roma Fabrizio De Sanctis

L'assessora alle politiche educative e scolastiche, culturali, sportive e giovanili del Municipio VII di Roma Capitale Elena De Santis

Il presidente dell'ANED di Roma Aldo Pavia

Alla manifestazione ha aderito anche l'AICVAS (ASSOCIAZIONE ITALIANA COMBATTENTI VOLONTARI ANTIFASCISTI DI SPAGNA).