Poco dopo le ore 16 di martedì 10 giugno 1924, il deputato socialista Giacomo Matteotti esce dal portone della propria abitazione di Via Giuseppe Pisanelli e si incammina a piedi verso Montecitorio. Alcuni giorni prima, il 30 maggio, aveva pubblicamente denunciato alla Camera i brogli elettorali compiuti dai fascisti in occasione delle elezioni del 6 aprile di quell'anno, attirando su di sé numerose minacce.
Giunto sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, da dove ha intenzione di proseguire verso il centro per poi tagliare verso Montecitorio, Matteotti è aggredito da tre uomini usciti da un'elegante Lancia Lambda posteggiata poco più avanti. Al volante c'è un uomo che li aspetta. L'automobile appartiene a Filippo Filippelli, direttore del giornale filofascista "Il Corriere Italiano" , mentre i quattro uomini appartengono alla polizia politica fascista: sono Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malachia e Amleto Poveromo. Loro diretti superiori sono il capo ufficio stampa della Presidenza del Consiglio Cesare Rossi e il segretario amministrativo del Partito Nazionale Fascista Cesare Rossi; mandante del delitto è lo stesso Mussolini, che in un celebre discorso del 3 gennaio 1925 assunse la responsabilità politica del fatto.
Pur riuscendo ad atterrare uno degli aggressori, Matteotti è caricato a forza nel retro della macchina, che parte in direzione della Via Flaminia. Durante la colluttazione sviluppatasi all'interno del veicolo, Matteotti riesce a lanciare fuori dal finestrino il proprio tesserino di deputato, ma viene ferito da un violento colpo di pugnale sotto l'ascella, all'altezza del cuore, e muore di agonia dopo poche ore. Dopo aver lungamente girovagato per la campagna romana, i quattro seppelliscono il corpo di Matteotti nella Macchia della Pratarella, non lontano dall'abitato di Riano. Il suo corpo verrà rinvenuto soltanto il successivo 16 agosto.