Nel pomeriggio del 24 luglio 1943, in una Roma ancora scossa dalla scia di distruzione del devastante bombardamento del 19 luglio e a poche settimane dallo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, è convocato a Palazzo Venezia, dopo un intervallo di ben quattro anni, il Gran consiglio del fascismo, l'organo supremo del regime. Durante la riunione, Dino Grandi, Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, propone all'ordine del giorno la sfiducia verso l'operato di Mussolini e l'attribuzione al Gran Consiglio, al Re e al Parlamento delle funzioni che il duce aveva avocato a sé: approvato dalla maggioranza dei presenti a tarda notte dopo lunghe discussioni, il provvedimento diviene immediatamente operativo e costringe il duce alle dimissioni, atto successivamente formalizzato al cospetto del re il giorno successivo, a Villa Savoia. Mussolini è posto in stato d'arresto ed è trasferito come prigioniero nel rifugio di Campo Imperatore, in Abruzzo, mentre il maresciallo Badoglio è nominato capo del governo. Il regime fascista termina così di esistere, ventuno anni dopo la marcia su Roma.
All'annuncio della notizia, diffusa dalla radio quella sera stessa alle 22:45, in tutta Italia la popolazione si abbandona ai festeggiamenti, credendo che con la caduta del fascismo sia giunta anche la tanto agognata fine della guerra: l'euforia iniziale verrà presto spenta dall'annuncio del maresciallo Badoglio, il quale dichiara che la guerra prosegue al fianco degli alleati tedeschi. Lo stesso Badoglio, peraltro, darà ordine all'esercito di reprimere nel sangue le manifestazioni popolari che vengono in quei giorni organizzate, specialmente ad opera degli antifascisti usciti dalle carceri del regime e già impegnati nella riorganizzazione dei rispettivi partiti di appartenenza: è quanto accade a Bari e a Reggio Emilia, alle Officine Meccaniche Reggiane.