I militari italiani, prontamente disarmati dalle truppe tedesche di stanza in Italia, nelle isole, nella penisola balcanica e in Grecia, furono deportati nei lager disseminati tra la Germania e la Polonia, spesso costretti a contribuire come lavoratori coatti allo sforzo bellico tedesco in condizioni di durissime privazioni, sottoposti agli abusi degli alleati di un tempo, ridotti alla fame piΓΉ nera ed esposti sia al rigido clima dell'Europa continentale che al rischio costante dei bombardamenti alleati. Il governo di SalΓ² e lo stesso Mussolini non si adoperarono mai significativamente per alleviarne le precarie condizioni di vita, ma tentarono invano di reclutare tra gli IMI un numero di uomini sufficiente a permettere la formazione di nuove divisioni da inquadrare nell'Esercito Nazionale Repubblicano: si calcola che meno del 20% degli internati scelse di aderire alla Repubblica di SalΓ² e che, tra di essi, una quota considerevole disertΓ² al ritorno in Italia per unirsi alle formazioni partigiane.
Fedeli al proprio rifiuto della guerra e del fascismo, la stragrande maggioranza degli internati preferì la reclusione alla prospettiva di riprendere le armi per Mussolini: più di 60.000 uomini non fecero ritorno, mentre molti di più furono quanti ebbero a subire traumi fisici e psicologici in maniera permanente.