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19 luglio 2025

19 luglio 1992: la strage di via D'Amelio

19 luglio 1992: la strage di via D'Amelio. Un attentato mafioso - terroristico in cui morirono il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, che al momento dell'esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta.



Già componente del pool Antimafia e procuratore di Marsala, da aggiunto a Palermo raccoglie il testimone dell'amico Giovanni Falcone. Due giorni prima della strage di Capaci rilascia un'intervista a due giornalisti francesi in cui vengono fatti i nomi di Vittorio Mangano, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Dopo la morte di Falcone, la vita di Borsellino cambia: “Devo fare presto, non ho più tempo”, dice più volte, durante gli ultimi 57 giorni di vita. Anche se non ne ha formalmente il potere, Borsellino si dedica completamente alle indagini su Capaci. Interroga collaboratori di giustizia come Gaspare Mutolo che accuserà Bruno Contrada, all'epoca numero 3 del Sisde, di essere colluso con Cosa Nostra; incontra investigatori come Mario Mori e Giuseppe De Donno all'interno della caserma Carini di Palermo: secondo i carabinieri il magistrato voleva parlare del dossier investigativo su Mafia e appalti. Nello stesso periodo Borsellino partecipa a riunioni di coordinamento con magistrati di Caltanissetta per discutere delle indagini su Capaci e valutare le dichiarazioni di confidenti come Alberto Lo Cicero, che anni dopo riferirà della presenza del neofascista Stefano Delle Chiaie in Sicilia nei giorni della strage. Sempre Lo Cicero spiega di aver incontrato Guido Lo Porto, a casa del suo capo, Mariano Tullio Troia, boss e simpatizzante dell'estrema destra. Parlamentare del Msi e futuro sottosegretario del primo governo Berlusconi, Lo Porto è un vecchio amico e compagno di scuola di Borsellino.

In quei giorni il magistrato annota ogni spunto, riflessione e ipotesi investigativa su un'agenda di pelle rossa dei carabinieri: nelle ultime fasi della sua vita non se ne separerà mai. Quell’agenda scompare subito dopo la strage di via d’Amelio. Il 25 giugno, Borsellino tiene quello che sarà ricordato come il suo ultimo discorso pubblico: “In questo momento oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto tante sue confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, devo per prima cosa riassemblarli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili”, dice alla biblioteca comunale del capoluogo siciliano. È in quei giorni che, parlando con due giovani colleghi, si sfoga arrivando alle lacrime: “Non posso credere che un amico mi abbia tradito”. Due settimane dopo, invece, crolla con la moglie: ”Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni è punciutu”, ha raccontato Agnese Piraino Leto. Subranni era all'epoca al vertice del Ros dei carabinieri e punciuto vuol dire affiliato a Cosa nostra: l’indagine per concorso esterno a suo carico sarà poi archiviata nel 2012. Il 30 giugno del 1992, invece, Borsellino incontra il giornalista Gianluca Di Feo, che è arrivato da Milano per chiedere informazione su un giro di riciclaggio legato a Tangentopoli. “Sono tanti gli imprenditori in grado di riciclare 10 milioni di lire, ma se devi riciclare 10 miliardi di lire gli imprenditori che possono farlo si contano sulle dita di una mano e uno di quelli che avrebbe questa capacità è Silvio Berlusconi. Bisogna guardare a figure come Berlusconi, che avrebbe le capacità economiche per fare questo tipo di operazioni”, dice il magistrato.

Domenica 19 luglio Borsellino si sveglia all'alba, deve sentire la figlia Fiammetta che è in vacanza con amici di famiglia in Thailandia. Poi alle 7 del mattino squilla il telefono. “No, la partita è aperta”, urla Borsellino, prima di sbattere la cornetta del telefono. Alla moglie spiega che era Pietro Giammanco, il suo capo: gli ha telefonato per annunciargli che vuole finalmente assegnargli la delega per indagare sui fatti di mafia della provincia di Palermo. “Ma perché tanta fretta?” dice Agnese, consapevole che il marito chiede quell'incarico da mesi. “Lo sai che mi ha detto? Così la partita è chiusa”, continua Borsellino. Poi la famiglia si sposterà nella casa di Villagrazia di Carini per una domenica in riva al mare: un bagno, un pranzo con gli amici, il Tour de France in tv, poi il riposo. Ma Borsellino non chiude occhio: la moglie troverà ben cinque sigarette nel posacenere della camera da letto. “Devo andare a prendere mia madre e portarla dal dottore”, spiega ai presenti, salutandoli con molto trasporto. Tre auto blindate si avviano verso via Mariano d'Amelio, dove abita la madre di Borsellino. Manca un minuto alle 17 quando una Fiat 126 imbottita di esplosivo uccide il magistrato e i poliziotti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sopravvive solo Antonio Vullo.


Vedi anche:

https://www.micromega.net/via-damelio-33-anni-dopo-perche-non-fu-una-strage-isolata

https://www.onuitalia.it/perche-e-attuale-il-pensiero-di-paolo-borsellino/

https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/anniversari/borsellino-25-anni-fa/


Il 25 giugno 1992 Paolo Borsellino interviene ad un dibattito organizzato dalla rivista MicroMega presso l'atrio della Biblioteca Comunale di Palermo;sarà il suo ultimo intervento pubblico. Il video è frutto del lavoro del giornalista Pippo Ardini, scomparso l'8 dicembre 2009.