04 giugno 2020

4 giugno 2020 Festa della Liberazione di Roma. Le 4 ragazze dei GAP

Le 4 ragazze dei GAP.
Schede a cura del Coordinamento donne dell'ANPI provinciale di Roma


Lucia Ottobrini



Infanzia e scelta antifascista
Lucia Ottobrini nasce a Roma nell’ottobre del 1924. La città di Mulhouse, in Alsazia, fa dà cornice ai suoi primi 15 anni che trascorre con la famiglia emigrata per motivi di lavoro. Seconda di nove figli cresce in un ambiente povero, circondata da minatori ed operai; un contesto che le insegna in fretta il significato della miseria, dello sfruttamento e delle ingiustizie sociali. Tra solidi legami affettivi e in un clima di tolleranza religiosa, avviene la formazione di Lucia che sposa la fede ebraica e, in un ambiente cosmopolita e multietnico, impara il francese e il tedesco.
L’avvio della Seconda guerra mondiale e gli esiti delle persecuzioni ebraiche spingono la famiglia Ottobrini a rientrare in Italia nel 1940, ormai smembrata e ridotta in miseria. La portata degli eventi è tale da condizionare la scelta antifascista di Lucia, che in seguito ricorderà: "Fu il fatto di aver passato la prima parte della mia esistenza in un ambiente proletario e i miei trascorsi in Francia, che fecero maturare in me la coscienza di stare dalla parte degli operai e del popolo". Di nuovo a Roma, la famiglia Ottobrini non sfugge alla povertà e alla fame che attanaglia la borgata di Primavalle. Il padre rifiuta la tessera del partito fascista e Lucia, con un impiego all’Ufficio Valori del Tesoro, contribuisce come può all’economia familiare.
L’8 settembre e la Resistenza
Sono gli inizi del 1943 e l’incontro con Mario Fiorentini, intellettuale comunista ed ebreo da parte paterna, determina una svolta nella vita di Lucia. Fiorentini la introduce negli ambienti intellettuali e antifascisti della città per poi divenire compagno di battaglia e di vita. "Ci chiamano la coppia di volpi argentate", racconterà Mario, perché, "insieme abbiamo quattro medaglie d'argento al valor militare", oltre che cinque passaporti e diversi nomi di copertura.
Mario e Lucia formano la prima coppia di gappisti di Roma. A condividere la scelta resistenziale saranno poi Rosario Bentivegna e Carla Capponi; Franco Calamandrei e Maria Teresa Regard. I continui incontri e la collaborazione in armi non fanno che consolidare la coesione interna al gruppo femminile delle gappiste romane.
Con primi incarichi civili, Lucia Ottobrini entra nella Resistenza all’indomani dell’8 settembre. Raccoglie indumenti, medicine e cibo per i prigionieri politici. Ma è già nell’ottobre che prende parte attiva nella lotta armata. E' vicecomandante del Gap Centrale “Antonio Gramsci”, di cui Mario Fiorentini ne è il comandante. Con i nomi di battaglia “Maria” e “Leda”, si infiltra tra i reparti nazisti; nasconde armi in casa, partecipa a numerose azioni di copertura, di sabotaggio, di attacco a militari ed ufficiali nazifascisti.
Dopo l’attacco in Via Rasella e il tradimento di Guglielmo Blasi i GAP centrali subirono un’importante serie di arresti e vennero smantellati. I gappisti rimasti vennero inviati fuori Roma. È il maggio del 1944, Lucia e Mario assunsero il comando di una grande formazione che operava in una vasta zona sulla Tiburtina, Monte Gennaro, Tivoli e Castel Madama. Priva di ogni mezzo di trasporto Lucia si occupa fra l’altro dei collegamenti con Roma coprendo a piedi lunghissimi tragitti. In seguito, con il grado di capitano, è incaricata di difendere una centrale idroelettrica dagli attacchi tedeschi. Farà saltare in aria un camion di militari.

La Liberazione
Lucia Ottobrini non ama ricordare le “brutte” storie di guerra; riconosce con essa solamente la morte, il freddo e la fame.
“Con gli anni me lo sono chiesta tante volte. Ma ero io quella che sparava a sangue freddo? Che lasciava che un uomo, anche se un nemico, un tedesco, morisse per la strada sotto la pioggia? Spesso mi sento come se la Lucia di quegli anni fosse stata un’altra. E invece no, quella ero io. E il coraggio per fare certe cose si doveva avere per forza.

Dopo la Liberazione di Roma, le viene conferita la medaglia d’argento al valore militare. Il Ministro della Difesa d’allora, Paolo Emilio Taviani, al cospetto di Lucia chiese: “Lei è la vedova del decorato?”. “No! – replicò – la decorata sono io”. 


Carla Capponi

Infanzia e scelta antifascista
Carla Capponi nasce nel dicembre del 1918 a Roma. La sua è una famiglia colta ed antifascista della piccola borghesia. Trascorre un’infanzia spensierata e protetta, lontana dalla vita di regime, che i genitori contestano e disprezzano. Conclusi gli studi liceali si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza ma nel 1940, con la morte del padre, è costretta a lasciare l’Università ed accettare un posto da dattilografa. Ormai è una ragazza consapevolmente antifascista, impegnata come segretaria presso l’ufficio informazioni del Partito comunista clandestino.
La prima forma di partecipazione civile matura con i bombardamenti del quartiere San Lorenzo. “Fui impegnata senza sosta in quell’inferno”, ricorda Carla, che soccorre feriti e assiste sfollati. La sua militanza attiva, però, ha inizio con la sfiducia di Mussolini e la scelta di ospitare in casa le riunioni di un gruppo di giovani comunisti. La casa signorile sul Foro Traiano, che l’aveva isolata per lungo tempo dalla realtà fascista, si andava trasformando in uno dei centri più significativi di direzione e coordinamento della Resistenza romana.
L’8 settembre e la Resistenza
Il 9 settembre, Porta San Paolo è scenario di guerra e Roma è “città aperta” anche per i fuggiaschi del disciolto esercito regio. Nei giorni successivi Carla nasconde e soccorre i combattenti, assiste soldati allo sbando, ospita riunioni clandestine dell’antifascismo e si occupa dell’organizzazione del gruppo femminile. “Adele Bei si presentò alla mia porta […]. Visitò l’appartamento e scelse per le riunioni la sala da pranzo, con la disinvoltura di una signora che affitta un appartamento”.
Con la formazione dei Gap, nelle vesti di Elena, entra nel gruppo centrale diretto da Rosario Bentivegna, con il quale si sposerà poco dopo la Liberazione. “Credimi io mi sono ribellata […]. Non volevo sposarmi, non volevo sposarmi, non volevo sposarmi”. Carla si ribella e non accetta ruoli secondari, come quando ruba un’arma a un giovane milite in un autobus affollato, opponendosi al rifiuto dei compagni di averne una. “Con aria trionfale, poggiando la rivoltella sul tavolo, mostrai il mio primo trofeo”.
Il fermo immagine dello sparo che uccide Teresa Gullace, immortalato nel celebre film di Rossellini, rimanda anche alla storia di Carla che, sulla scena, d’impulso afferra la pistola e la punta contro il soldato tedesco. La gappista Marisa Musu interviene e nel tumulto le toglie l’arma e le infila nella tasca la sua tessera del Partito. Quel gesto assicura a Carla il rapido rilascio.  
Nella lotta romana senza quartiere, Elena è protagonista, armi in pugno, di numerose azioni gappiste e atti di sabotaggio. Nel marzo ’44, “un mese maledetto”, è tra gli esecutori dell’attentato di Via Rasella. “Questo attacco […] a differenza di tutti gli altri che avevamo compiuto a Roma, più di 40 azioni e attacchi contro i tedeschi, era stato quello che ci ha più turbato, più sconvolto”. La situazione nella capitale è grave, Carla scampa con una fuga all’arresto e nell’aprile raggiunge la formazione partigiana attiva nelle retrovie tedesche, a sud della provincia romana.
La Liberazione
Il 4 giugno Roma è liberata. “Seguì ininterrotto il rito del ritrovarsi, dell’abbracciarsi e sorprendersi di essere ancora vivi […]. D’improvviso qualcuno mi chiamò “compagna” […]. Era la prima volta che qualcuno mi diceva “compagna” […] quella parola mi dava la misura e il senso della libertà conquistata”.
“Con le armi in pugno, prima fra le prime, partecipava a diecine di azioni distinguendosi in modo superbo per la fredda decisione contro l’avversario e per spirito di sacrificio verso i compagni in pericolo”, così recita la motivazione con cui viene conferita a Carla Capponi, una partigiana combattente con il grado di capitano, la Medaglia d’oro al valore militare.  


Marisa Musu


Infanzia e scelta antifascista
Marisa Musu nasce a Roma nell’aprile del 1925 da una famiglia antifascista di origini sarde. La mamma è una militante repubblicana e assieme al padre saranno tra i fondatori del Partito d’Azione. L’educazione familiare le trasmette i valori di libertà e democrazia e i genitori osteggiano apertamente la politica del regime. Marisa compie la sua scelta ancora bambina: “Io so che nel momento in cui mi si è posto il problema, a 8 anni non compiuti, se tradire i miei e salvarmi o morire per non tradire: ho scelto questa seconda cosa”.
Nel 1942, è una giovane studentessa del Liceo Mamiani ed è già avvenuta in lei una piena presa di coscienza politica. Entra nell’organizzazione clandestina del Partito comunista e interessata all’azione, ricopre da subito il ruolo di staffetta.
Marisa cresce nel quartiere Prati, frequenta coetanei provenienti dall’élite intellettuale antifascista ed ha una vera passione per le armi giocattolo. È una grande lettrice delle avventure di pistoleri, che entrano a fondo nel suo immaginario, determinando così la sua partecipazione alla Resistenza armata: “Io dico sempre, sono passata ai GAP da Bufalo Bill”. “Non ti dico come sono stata contenta la prima volta che finalmente mi hanno messo in mano una Beretta 765 e mi hanno insegnato a montana e smontarla”.
L’8 settembre e la Resistenza
L’inizio della Resistenza la vede impegnata nella battaglia di Porta San Paolo e segna l’ingresso di Marisa nella formazione gappista guidata da Franco Calamandrei. Il suo nome di battaglia è Rosa ed è la più giovane del gruppo. Partecipa a varie azioni di copertura, armata di bombe, come accade a Via Rasella nel marzo ‘44. Ma è in occasione dell’arresto di Carla Capponi che si distingue per astuzia e prontezza salvando la compagna dal fermo.
È l’aprile del 1944 ed è il turno di Rosa fare i conti con la polizia fascista. Nel suo arresto intercede la fortuna: i commissari sono in contatto col Comitato di Liberazione Nazione; la fanno passare per una comune rapinatrice. Viene condotta al carcere femminile e condannata a morte. Rosa si finge così malata, prende tempo, si fa trasportare all’Ospedale Santo Spirito, dove riesce a fuggire con l’aiuto di alcuni medici antifascisti. “La paura, prima dell'azione non credo che ci fosse […] Il senso della morte, sì. M'avevano preso, m'avevano condannato a morte; una volta che eri stato catturato, che pensavi d'essere ucciso […] avevi la netta sensazione che la tua vita si spezzava”.
Marisa aspetta la Liberazione di Roma in piena clandestinità.
La Liberazione
Roma è libera nel giugno ’44 e Marisa sente di doversi affrancare dalla lotta armata, di guardare oltre e non tornarci più. Dai mesi di Resistenza ne esce sola e sfinita dalla precarietà di quella vita. Cresce in lei il desiderio di cancellare violenze e terrore. Con la politica e la militanza fra le donne delle borgate popolari afferra il bello della città. “Roma io l'ho amata moltissimo non durante la resistenza ma subito dopo, quando ho scoperto questa Roma straordinaria, incredibile per me affascinante […]; piena di volontà di vivere, di cambiare, di uscire dall'ignoranza - una grande città”.
Alla fine della guerra Rosa è insignita della Medaglia d'argento al valor militare. Tornata ad essere Marisa, ricorderà molti anni dopo, con un’immagine simbolica: “La pistola è andata a finire nel cassetto”. Non per questo smise di essere una combattente: nel PCI, del quale fu anche membra del Comitato Centrale, come giornallista e nell'ANPI.


Maria Teresa Regard

Infanzia e scelta antifascista
Maria Teresa Regard nasce a Roma nel gennaio del 1924 da una famiglia piccolo borghese di origini elvetiche. Trascorre l’infanzia a Napoli, dove il padre aveva ottenuto la direzione della farmacia dell’ospedale militare cittadino. La famiglia non si identifica da subito nell’antifascismo, ma posizioni social-liberali e di rifiuto al regime favoriscono l’autonomia di pensiero di Maria Teresa. Sono le Leggi Razziali, che colpiscono i compagni di classe, a generare il lei un crescente interesse per la politica, che la vede precocemente iscriversi ad un gruppo comunista di matrice trotzkista. “Io ero piccola […] però vidi che amici miei ebrei venivano allontanati da scuola e questo mi diede talmente fastidio che entrai in questo gruppo”.
Il rientro a Roma, nel ’37, è seguito da importanti cambiamenti. La morte improvvisa del padre, gli studi liceali, che termina in fretta per contribuire al bilancio familiare, l’incalzare della guerra, i bombardamenti e le discriminazioni di genere, modellano la sua personalità e contribuiscono a rafforzare una presa di coscienza politica, maturata nel 1941 con l’ingresso nel Partito comunista.
La formazione di Maria Teresa prosegue con l’iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia, dove entra in contatto con figure note dell’antifascismo romano, creando attorno a sé una rete clandestina che le apre le porte della militanza partitica e della lotta resistenziale.
L’8 settembre e la Resistenza
Maria Teresa Regard è già attiva nei mesi che precedono l’8 settembre; il comunicato dell’Armistizio non fa che sugellare la sua scelta. Spinta dall'amor di patria, porta ordini e cibo ai combattenti di Porta San Paolo, non possiede un’arma, ma è così che ha inizio la sua partecipazione alla guerra clandestina per la Liberazione di Roma. Assieme alle amiche, Marisa Musu e Carla Capponi, entra nei Gruppi di Azione Patriottica. Per i gappisti è Piera. Viene assegnata al gruppo di Franco Calamandrei: il comandante e compagno di azioni che diventerà suo marito alla fine dell’occupazione nazifascista.
Le lezioni di studio e di preparazione agli attacchi, guidano Maria Teresa alle prime azioni nel dicembre del ‘43. Partecipa ad attentati a mano armata, dispone bombe, accende esplosivi. La ricerca di chiodi a tre punte, per atti di sabotaggio, le costa l’arresto il 30 gennaio del ’44 e la detenzione nelle carceri di Via Tasso. “Dallo spioncino della mia cella vedevo persone straziate. Ancora incoscienti venivano riportate in cella di peso perché incapaci di camminare. Le urla, il dolore, l’angoscia: era sempre buio. Non cambiavano mai l’aria. […] Io, dopo dieci giorni venni rimessa in libertà”.
Al suo rilascio prevale diffidenza tra i suoi compagni: pensano li abbia traditi e temono pedinamenti. I rapporti nei Gap si incrinano per poi rinsaldarsi; la Liberazione della città è vicina, ma sarà una delazione a costringere Regard e Calamandrei a nascondersi senza più possibilità organizzative.


La Liberazione
La Liberazione di Roma restituisce a Maria Teresa gli spazi della vita privata e pubblica, dalla famiglia al lavoro, ma anche il ricordo indelebile del primo sparo: “Avevo sparato su un uomo. […] Ma la mia guerra era legittima, e soprattutto non l’avevo voluta io, né gli uomini della mia parte. [...] so per certo, ormai, che di fronte ai nemici colpiti non c’è soldato che non abbia maledetto la guerra”.
Universitaria partigiana, resistente entusiasta e infaticabile, il testo che accompagna l’assegnazione della Medaglia d’argento al Valor Militare aggiunge: “Tratta in arresto e tradotta nelle prigioni di Via Tasso, teneva, durante i ripetuti interrogatori, contegno virile ed esemplare…”. “"Virile" l'ho cancellato - gli ho detto, sentite, levate "virile" perché proprio non lo reggo”. 

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