Le 4 ragazze dei GAP.
Schede a cura del Coordinamento donne dell'ANPI provinciale di Roma
Lucia Ottobrini
Infanzia
e scelta antifascista
Lucia Ottobrini nasce a Roma
nell’ottobre del 1924. La città di Mulhouse, in Alsazia, fa dà cornice ai suoi
primi 15 anni che trascorre con la famiglia emigrata per motivi di lavoro.
Seconda di nove figli cresce in un ambiente povero, circondata da minatori ed
operai; un contesto che le insegna in fretta il significato della miseria, dello
sfruttamento e delle ingiustizie sociali. Tra solidi legami affettivi e in un
clima di tolleranza religiosa, avviene la formazione di Lucia che sposa la fede
ebraica e, in un ambiente cosmopolita e multietnico, impara il francese e il
tedesco.
L’avvio della Seconda guerra mondiale
e gli esiti delle persecuzioni ebraiche spingono la famiglia Ottobrini a
rientrare in Italia nel 1940, ormai smembrata e ridotta in miseria. La portata
degli eventi è tale da condizionare la scelta antifascista di Lucia, che in
seguito ricorderà: "Fu il fatto di aver passato la prima parte della mia
esistenza in un ambiente proletario e i miei trascorsi in Francia, che fecero
maturare in me la coscienza di stare dalla parte degli operai e del
popolo". Di nuovo a Roma, la famiglia Ottobrini non sfugge alla povertà e
alla fame che attanaglia la borgata di Primavalle. Il padre rifiuta la tessera
del partito fascista e Lucia, con un impiego all’Ufficio Valori del Tesoro, contribuisce
come può all’economia familiare.
L’8 settembre e la
Resistenza
Sono gli inizi del 1943 e
l’incontro con Mario Fiorentini, intellettuale comunista ed ebreo da parte paterna, determina
una svolta nella vita di Lucia. Fiorentini la introduce negli ambienti
intellettuali e antifascisti della città per poi divenire compagno di battaglia
e di vita. "Ci chiamano la coppia di volpi argentate", racconterà
Mario, perché, "insieme abbiamo quattro medaglie d'argento al valor
militare", oltre che cinque passaporti e diversi nomi di copertura.
Mario e Lucia formano la prima
coppia di gappisti di Roma. A condividere la scelta resistenziale saranno poi
Rosario Bentivegna e Carla Capponi; Franco Calamandrei e Maria Teresa Regard. I
continui incontri e la collaborazione in armi non fanno che consolidare la
coesione interna al gruppo femminile delle gappiste romane.
Con primi incarichi civili, Lucia
Ottobrini entra nella Resistenza all’indomani dell’8 settembre. Raccoglie
indumenti, medicine e cibo per i prigionieri politici. Ma è già nell’ottobre
che prende parte attiva nella lotta armata. E' vicecomandante del Gap
Centrale “Antonio Gramsci”, di cui Mario Fiorentini ne è il comandante. Con i
nomi di battaglia “Maria” e “Leda”, si infiltra tra i reparti nazisti; nasconde
armi in casa, partecipa a numerose azioni di copertura, di sabotaggio, di
attacco a militari ed ufficiali nazifascisti.
Dopo l’attacco in Via Rasella e
il tradimento di Guglielmo Blasi i GAP centrali subirono un’importante serie di
arresti e vennero smantellati. I gappisti rimasti vennero inviati fuori Roma. È
il maggio del 1944, Lucia e Mario assunsero il comando di una
grande formazione che operava in una vasta zona sulla Tiburtina, Monte Gennaro,
Tivoli e Castel Madama. Priva di ogni mezzo di trasporto Lucia si occupa fra l’altro
dei collegamenti con Roma coprendo a piedi lunghissimi tragitti. In seguito,
con il grado di capitano, è incaricata di difendere una centrale idroelettrica
dagli attacchi tedeschi. Farà saltare in aria un camion di militari.
La
Liberazione
Lucia Ottobrini non ama ricordare
le “brutte” storie di guerra; riconosce con essa solamente la morte, il freddo
e la fame.
“Con gli anni me lo sono chiesta
tante volte. Ma ero io quella che sparava a sangue freddo? Che lasciava che un
uomo, anche se un nemico, un tedesco, morisse per la strada sotto la pioggia?
Spesso mi sento come se la Lucia di quegli anni fosse stata un’altra. E invece
no, quella ero io. E il coraggio per fare certe cose si doveva avere per forza.
Dopo la Liberazione di Roma, le
viene conferita la medaglia d’argento al valore militare. Il Ministro della
Difesa d’allora, Paolo Emilio Taviani, al cospetto di Lucia chiese: “Lei è la
vedova del decorato?”. “No! – replicò – la decorata sono io”.
Carla Capponi
Infanzia
e scelta antifascista
Carla Capponi nasce nel dicembre
del 1918 a Roma. La sua è una famiglia colta ed antifascista della piccola
borghesia. Trascorre un’infanzia spensierata e protetta, lontana dalla vita di
regime, che i genitori contestano e disprezzano. Conclusi gli studi liceali si
iscrive alla facoltà di Giurisprudenza ma nel 1940, con la morte del padre, è
costretta a lasciare l’Università ed accettare un posto da dattilografa. Ormai
è una ragazza consapevolmente antifascista, impegnata come segretaria presso l’ufficio
informazioni del Partito comunista clandestino.
La prima forma di partecipazione
civile matura con i bombardamenti del quartiere San Lorenzo. “Fui impegnata
senza sosta in quell’inferno”, ricorda Carla, che soccorre feriti e assiste
sfollati. La sua militanza attiva, però, ha inizio con la sfiducia di Mussolini
e la scelta di ospitare in casa le riunioni di un gruppo di giovani comunisti. La
casa signorile sul Foro Traiano, che l’aveva isolata per lungo tempo dalla
realtà fascista, si andava trasformando in uno dei centri più significativi di
direzione e coordinamento della Resistenza romana.
L’8
settembre e la Resistenza
Il 9 settembre, Porta San Paolo è
scenario di guerra e Roma è “città aperta” anche per i fuggiaschi del disciolto
esercito regio. Nei giorni successivi Carla nasconde e soccorre i
combattenti, assiste soldati allo sbando, ospita riunioni clandestine
dell’antifascismo e si occupa dell’organizzazione del gruppo femminile. “Adele
Bei si presentò alla mia porta […]. Visitò l’appartamento e scelse per le
riunioni la sala da pranzo, con la disinvoltura di una signora che affitta un
appartamento”.
Con la formazione dei Gap, nelle
vesti di Elena, entra nel gruppo centrale diretto da Rosario Bentivegna, con il
quale si sposerà poco dopo la Liberazione. “Credimi io mi sono ribellata […].
Non volevo sposarmi, non volevo sposarmi, non volevo sposarmi”. Carla si
ribella e non accetta ruoli secondari, come quando ruba un’arma a un giovane
milite in un autobus affollato, opponendosi al rifiuto dei compagni di averne
una. “Con aria trionfale, poggiando la rivoltella sul tavolo, mostrai il mio
primo trofeo”.
Il fermo immagine dello sparo che
uccide Teresa Gullace, immortalato nel celebre film di Rossellini, rimanda
anche alla storia di Carla che, sulla scena, d’impulso afferra la pistola e la
punta contro il soldato tedesco. La gappista Marisa Musu interviene e nel
tumulto le toglie l’arma e le infila nella tasca la sua tessera del Partito.
Quel gesto assicura a Carla il rapido rilascio.
Nella lotta romana senza
quartiere, Elena è protagonista, armi in pugno, di numerose azioni gappiste e atti
di sabotaggio. Nel marzo ’44, “un mese maledetto”, è tra gli esecutori
dell’attentato di Via Rasella. “Questo attacco […] a
differenza di tutti gli altri che avevamo compiuto a Roma, più di 40 azioni e
attacchi contro i tedeschi, era stato quello che ci ha più turbato, più
sconvolto”. La situazione nella capitale è grave, Carla scampa con una fuga
all’arresto e nell’aprile raggiunge la formazione partigiana attiva nelle
retrovie tedesche, a sud della provincia romana.
La
Liberazione
Il 4 giugno Roma è liberata.
“Seguì ininterrotto il rito del ritrovarsi, dell’abbracciarsi e sorprendersi di
essere ancora vivi […]. D’improvviso qualcuno mi chiamò “compagna” […]. Era la
prima volta che qualcuno mi diceva “compagna” […] quella parola mi dava la
misura e il senso della libertà conquistata”.
“Con le armi in pugno, prima fra
le prime, partecipava a diecine di azioni distinguendosi in modo superbo per la
fredda decisione contro l’avversario e per spirito di sacrificio verso i
compagni in pericolo”, così recita la motivazione con cui viene conferita a Carla
Capponi, una partigiana combattente con il grado di capitano, la Medaglia d’oro
al valore militare.
Marisa Musu
Infanzia e scelta
antifascista
Marisa Musu nasce a Roma
nell’aprile del 1925 da una famiglia antifascista di origini sarde. La mamma è
una militante repubblicana e assieme al padre saranno tra i fondatori del
Partito d’Azione. L’educazione familiare le trasmette i valori di libertà e
democrazia e i genitori osteggiano apertamente la politica del regime. Marisa
compie la sua scelta ancora bambina: “Io so che nel momento in cui mi si è
posto il problema, a 8 anni non compiuti, se tradire i miei e salvarmi o morire
per non tradire: ho scelto questa seconda cosa”.
Nel 1942, è una giovane
studentessa del Liceo Mamiani ed è già avvenuta in lei una piena presa di
coscienza politica. Entra nell’organizzazione clandestina del Partito comunista
e interessata all’azione, ricopre da subito il ruolo di staffetta.
Marisa cresce nel quartiere
Prati, frequenta coetanei provenienti dall’élite intellettuale antifascista ed ha
una vera passione per le armi giocattolo. È una grande lettrice delle avventure
di pistoleri, che entrano a fondo nel suo immaginario, determinando così la sua
partecipazione alla Resistenza armata: “Io dico sempre, sono passata ai GAP da
Bufalo Bill”. “Non ti dico come sono stata contenta la prima volta che
finalmente mi hanno messo in mano una Beretta 765 e mi hanno insegnato a
montana e smontarla”.
L’8
settembre e la Resistenza
L’inizio della Resistenza la vede
impegnata nella battaglia di Porta San Paolo e segna l’ingresso di Marisa nella
formazione gappista guidata da Franco Calamandrei. Il suo nome di battaglia è
Rosa ed è la più giovane del gruppo. Partecipa a varie azioni di copertura,
armata di bombe, come accade a Via Rasella nel marzo ‘44. Ma è in occasione
dell’arresto di Carla Capponi che si distingue per astuzia e prontezza salvando
la compagna dal fermo.
È l’aprile del 1944 ed è il turno
di Rosa fare i conti con la polizia fascista. Nel suo arresto intercede la fortuna:
i commissari sono in contatto col Comitato di Liberazione Nazione; la fanno
passare per una comune rapinatrice. Viene condotta al carcere femminile e
condannata a morte. Rosa si finge così malata, prende tempo, si fa trasportare
all’Ospedale Santo Spirito, dove riesce a fuggire con l’aiuto di alcuni medici
antifascisti. “La paura, prima dell'azione non credo che ci fosse […] Il senso
della morte, sì. M'avevano preso, m'avevano condannato a morte; una volta che
eri stato catturato, che pensavi d'essere ucciso […] avevi la netta sensazione
che la tua vita si spezzava”.
Marisa aspetta la Liberazione di
Roma in piena clandestinità.
La Liberazione
Roma è libera nel giugno ’44 e
Marisa sente di doversi affrancare dalla lotta armata, di guardare oltre e non
tornarci più. Dai mesi di Resistenza ne esce sola e sfinita dalla precarietà di
quella vita. Cresce in lei il desiderio di cancellare violenze e terrore. Con
la politica e la militanza fra le donne delle borgate popolari afferra il bello
della città. “Roma io l'ho amata moltissimo non durante la resistenza ma subito
dopo, quando ho scoperto questa Roma straordinaria, incredibile per me
affascinante […]; piena di volontà di vivere, di cambiare, di uscire
dall'ignoranza - una grande città”.
Alla fine della guerra Rosa è
insignita della Medaglia d'argento al valor militare. Tornata ad essere Marisa, ricorderà molti anni dopo, con
un’immagine simbolica: “La pistola è andata a finire nel cassetto”. Non per questo smise di essere una combattente: nel PCI, del quale fu anche membra del Comitato Centrale, come giornallista e nell'ANPI.
Maria Teresa Regard
Infanzia e scelta
antifascista
Maria Teresa Regard nasce a Roma
nel gennaio del 1924 da una famiglia piccolo borghese di origini elvetiche.
Trascorre l’infanzia a Napoli, dove il padre aveva ottenuto la direzione della
farmacia dell’ospedale militare cittadino. La famiglia non si identifica da
subito nell’antifascismo, ma posizioni social-liberali e di rifiuto al regime favoriscono
l’autonomia di pensiero di Maria Teresa. Sono le Leggi Razziali, che colpiscono
i compagni di classe, a generare il lei un crescente interesse per la politica,
che la vede precocemente iscriversi ad un gruppo comunista di matrice
trotzkista. “Io ero piccola […] però vidi che amici miei ebrei venivano
allontanati da scuola e questo mi diede talmente fastidio che entrai in questo
gruppo”.
Il rientro a Roma, nel ’37, è
seguito da importanti cambiamenti. La morte improvvisa del padre, gli studi
liceali, che termina in fretta per contribuire al bilancio familiare,
l’incalzare della guerra, i bombardamenti e le discriminazioni di genere,
modellano la sua personalità e contribuiscono a rafforzare una presa di
coscienza politica, maturata nel 1941 con l’ingresso nel Partito comunista.
La formazione di Maria Teresa
prosegue con l’iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia, dove entra in contatto
con figure note dell’antifascismo romano, creando attorno a sé una rete
clandestina che le apre le porte della militanza partitica e della lotta
resistenziale.
L’8 settembre e la
Resistenza
Maria Teresa Regard è già attiva
nei mesi che precedono l’8 settembre; il comunicato dell’Armistizio non fa che sugellare
la sua scelta. Spinta dall'amor di patria, porta ordini e cibo ai combattenti
di Porta San Paolo, non possiede un’arma, ma è così che ha inizio la sua partecipazione
alla guerra clandestina per la Liberazione di Roma. Assieme alle amiche, Marisa
Musu e Carla Capponi, entra nei Gruppi di Azione Patriottica. Per i gappisti è
Piera. Viene assegnata al gruppo di Franco Calamandrei: il comandante e
compagno di azioni che diventerà suo marito alla fine dell’occupazione
nazifascista.
Le lezioni di studio e di
preparazione agli attacchi, guidano Maria Teresa alle prime azioni nel dicembre
del ‘43. Partecipa ad attentati a mano armata, dispone bombe, accende esplosivi.
La ricerca di chiodi a tre punte, per atti di sabotaggio, le costa l’arresto il
30 gennaio del ’44 e la detenzione nelle carceri di Via Tasso. “Dallo spioncino
della mia cella vedevo persone straziate. Ancora incoscienti venivano riportate
in cella di peso perché incapaci di camminare. Le urla, il dolore, l’angoscia:
era sempre buio. Non cambiavano mai l’aria. […] Io, dopo dieci giorni venni
rimessa in libertà”.
Al suo rilascio prevale
diffidenza tra i suoi compagni: pensano li abbia traditi e temono pedinamenti. I
rapporti nei Gap si incrinano per poi rinsaldarsi; la Liberazione della città è
vicina, ma sarà una delazione a costringere Regard e Calamandrei a nascondersi
senza più possibilità organizzative.
La Liberazione
La Liberazione di Roma
restituisce a Maria Teresa gli spazi della vita privata e pubblica, dalla
famiglia al lavoro, ma anche il ricordo indelebile del primo sparo: “Avevo
sparato su un uomo. […] Ma la mia guerra era legittima, e soprattutto non
l’avevo voluta io, né gli uomini della mia parte. [...] so per certo, ormai,
che di fronte ai nemici colpiti non c’è soldato che non abbia maledetto la
guerra”.
Universitaria partigiana,
resistente entusiasta e infaticabile, il testo che accompagna l’assegnazione
della Medaglia d’argento al Valor Militare aggiunge: “Tratta in arresto e
tradotta nelle prigioni di Via Tasso, teneva, durante i ripetuti interrogatori,
contegno virile ed esemplare…”. “"Virile" l'ho cancellato - gli ho
detto, sentite, levate "virile" perché proprio non lo reggo”.