17 marzo 2025

17 marzo 1944: Maurizio Giglio è arrestato dalla polizia fascista



Nato a Parigi nel 1920, il giovane Giglio trascorse gli anni della propria giovinezza a Roma, dove coronò gli studi con la laurea in Giurisprudenza, per poi entrare nella Scuola Ufficiali di Ancona. Arruolatosi volontario nel 1939, fu ferito in combattimento sulle montagne della Grecia. Dopo un breve periodo di servizio presso la Commissione d'armistizio a Torino, chiese e ottenne di essere nuovamente trasferito al servizio attivo, venendo così assegnato all'81° Reggimento fanteria di stanza nella capitale. Il 10 settembre 1943 combatté contro i tedeschi a Porta San Paolo assieme ai suoi soldati.

Abbandonata Roma pochi giorni dopo l'occupazione nazifascista, attraverso un rocambolesco viaggio che da Sulmona lo portò a Benevento, ove incontrò le avanguardie della V Armata statunitense, e infine a Napoli, Giglio si rese disponibile a collaborare con l'Office of Strategic Service (OSS) in veste di agente informativo; dopo essersi recato a Bari per mettere al corrente i vertici del governo italiano di quanto aveva avuto modo di osservare a Roma, fece ritorno a Napoli e da lì passò nuovamente la linea del fronte, stabilendosi infine a Roma.

Nella capitale, Giglio si arruolò nella Polizia Ausiliaria Repubblicana al fine di non destare sospetti e godere della massima libertà d'azione, specie durante le ore del coprifuoco. In poco tempo, il giovane tenente riuscì ad allestire un servizio d'informazione clandestino, noto come "Radio Vittoria", grazie al quale divenne in grado di procacciarsi e trasmettere quotidianamente ai comandi alleati notizie relative all'attività militare di tedeschi e fascisti nella città occupata, adoperandosi in oltre per individuare località della costa tirrenica in cui permettere lo sbarco di motosiluranti alleate he potessero trasportare nell'Italia liberata esponenti politici e militari del fronte antifascista. Strinse numerosi contatti con i responsabili del servizio d'informazione dell'organizzazione militare clandestina socialista, tra cui Giuliano Vassalli, e con Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, comandante del Fronte Militare Clandestino di Resistenza (FMCR). Nella propria attività si valse della preziosa collaborazione di altri agenti al servizio degli Alleati, tra i quali lo statunitense Peter Tompkins, giunto a Roma alla vigilia dello sbarco di Anzio, con il quale Giglio condivise per un certo periodo il proprio rifugio.

L'arresto di Ettore Bonocore, suo collaboratore, ad opera dei fascisti della banda Koch costrinse Giglio a mettere al sicuro la ricetrasmittente e altri documenti compromettenti, nascosti su un barcone galleggiante ormeggiato lungo il Tevere: li cadde in una trappola tesagli da Koch e dal questore Caruso. Arrestato e tradotto alla Pensione Oltremare in via Principe Amedeo, fu sottoposto a estenuanti torture perché rivelasse i nomi dei componenti dell'organizzazione clandestina, ma assunse su di sé l'intera responsabilità, salvando con il silenzio i propri compagni. Ridotto in fin di vita, fu trasportato a Regina Coeli il 23 marzo, venendo prelevato il giorno successivo per essere assassinato alle Fosse Ardeatine. 

A Maurizio Giglio è stata conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare.

16 marzo 2025

28 marzo 2025: L’ANGELO DI BUENOS AIRES. Storia di Filippo Di Benedetto -

 


Venerdì 28 marzo, ore 17.00
Casa della Memoria e della Storia, Via San Francesco di Sales 5, Roma

L’ANGELO DI BUENOS AIRES Storia di Filippo Di Benedetto
presentazione del documentario di Enrico Blatti

Saranno presenti:
Claudio Di Benedetto (figlio di Filippo Di Benedetto)
Renzo Russo (sindaco di Saracena)
Biagio Diana (vicesindaco di Saracena)
Enrico Calamai (ex Diplomatico)
Enrico Blatti (regista e Presidente ANPI III Municipio)

Per ANPI Provinciale Roma interverrà la Presidente:
Marina Pierlorenzi

20 marzo 2025: Enrico Calamai - una vita per i diritti umani



Giovedì 20 marzo, ore 17.00
Casa della Memoria e della Storia, Via San Francesco di Sales 5, Roma

ENRICO CALAMAI Una vita per i diritti umani
presentazione del documentario di Enrico Blatti

Saranno presenti:  
Enrico Calamai (ex Diplomatico)
Enrico Blatti (regista e Presidente ANPI III Municipio)

Per la presidenza di ANPI Provinciale Roma interverrà:
Marco Noccioli

14 marzo 2025

Il 14 marzo 1883 moriva Karl Marx


   

 Il 14 marzo 1883 moriva il  filosofo, economista, politologo, storico, giornalista e politico tedesco Karl Marx, il cui pensiero ha profondamente influenzato la storia del '900.
    Scriveva di lui Antonio Gramsci nel centenario della nascita: "(…) Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia una visione originale della storia, ma, perché il frammentario, l’incompiuto l’immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza. La consapevolezza sua personale può diventare di tutti, è già diventata di molti: per questo fatto egli non è solo uno studioso, è un uomo d’azione; è grande e fecondo nell’azione come nel pensiero, i suoi libri hanno trasformato il mondo, cosí come hanno trasformato il pensiero (…)" - Antonio Gramsci il nostro Marx - Grido del Popolo - 4 maggio 1918

https://www.infoaut.org/storia-di-classe/4-maggio-1918-gramsci-il-nostro-marx




13 marzo 2025

25 marzo 2025, sul canale Youtube dell'ANPI provinciale di Roma: incontro formativo sui referendum con Betty Leone


25 marzo 2025, ore 17:30 in diretta (e in differita) sul canale Youtube dell'ANPI provinciale di Roma:
incontro formativo sui referendum con 
Betty Leone, vicepresidente nazionale ANPI e coordinatrice del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali

11 marzo 2025

Tra l'11 e il 13 marzo 1938 la Germania nazista invase e annesse l'Austria sotto gli occhi dell'Europa

    Tra l’11 e il 13 marzo 1938, la Germania nazista annesse la confinante Austria. Questo evento è passato alla storia con il nome di “Anschluss” (annessione, unione).
Con l’annessione dell’Austria, i nazisti violarono i trattati di Versailles e di Saint-Germain del 1919 che proibivano espressamente l’unificazione di Austria e Germania, e fu il primo atto di espansione territoriale commesso dalla Germania nazista. Un primo tentativo di annessione dell'Austria c'era stato nel 1934 ma era fallito per l'opposizione dell'Italia fascista che temeva un forte stato tedesco ai diretti confini e le possibili mire ai territori ora italiani che erano stati sotto il dominio austriaco.
    Nel 1938 la situazione in Europa era profondamente mutata: La politica francese e quella inglese parevano orientarsi deliberatamente verso un appeasement con la Germania e l’Italia, dopo l'aggressione all'Etiopia e le sanzioni da parte della Società delle Nazioni per volere di Francia ed Inghilterra, guardava ad un avvicinamento alla Germania nazista. Questa situazione lasciò mano libera a Hitler. 
    Nelle settimane successive all’annessione i nazisti imprigionarono gli oppositori politici, che insieme agli ebrei austriaci furono in larga parte deportati nei campi di concentramento. Fu organizzato un referendum sull’annessione per il 10 aprile, e l’Anschluss fu approvata dal 99,7% dei votanti: le procedure furono ampiamente controllate dai nazisti, e ad ampie fette della popolazione fu impedito di votare. Né Regno Unito né Francia presero posizioni dure contro l’annessione. Si calcola che oltre 60mila ebrei austriaci morirono nella Shoah, e proprio sul suolo austriaco venne aperto il campo di concentramento di Mauthausen, dove si stima siano morte tra le 200 e le 300mila persone. Anche migliaia di rom e sinti austriaci furono discriminati e deportati. La Cecoslovacchia, ora circondata da tre fronti dalla Germania, fu annessa nei mesi successivi: prima con i Sudeti, i territori nel nord ovest abitati da molti tedeschi, e poi con il resto del paese nel 1939. Il primo settembre 1939, con l’invasione della Polonia, sarebbe cominciata ufficialmente la Seconda guerra mondiale.



Reparti d'assalto nazisti montano la guardia all'esterno di un negozio di proprietà di Ebrei, in Austria, poco dopo l'annessione del paese da parte della Germania. La scritta sui vetri recita: "Porco Ebreo, che le tue mani possano marcire e cadere!" Vienna, Austria, marzo 1938.







10 marzo 2025

10 marzo 1944: in Via Tomacelli i GAP sbaragliano la formazione fascista "Onore e Combattimento"




    
Nei mesi di febbraio e marzo 1944, quando a Roma diviene ormai chiaro che l'avanzata delle truppe alleate si è arrestata alle falde di Montecassino e sulle spiagge di Anzio e la prospettiva della liberazione della capitale si fa sempre più lontana, le truppe tedesche riprendono con rinnovato vigore i rastrellamenti nei quartieri popolari con l'obiettivo di inviare manodopera in Germania per contribuire allo sforzo bellico nelle fabbriche del Reich. Roma, posta nelle immediate retrovie del fronte e rappresentando in tal senso tanto un nodo logistico di fondamentale importanza per i rifornimenti di uomini e mezzi quanto località di riposo per le truppe provenienti dalla prima linea, diviene una città militarizzata, ove i tedeschi e i fascisti tentano di imporre arbitrariamente il proprio ordine avocando a sé il monopolio della forza.           All'illegittimità dell'ordine nazifascista e del suo terrore, i GAP rispondono con la scelta, spesso sofferta e umanamente problematizzante, della guerriglia armata, che nel marzo 1944 si concretizza nel sostegno e nell'organizzazione da parte dei partigiani di manifestazioni dimostrative popolari e nell'attacco diretto contro sedi e rappresentanti del potere nazifascista.
    Il 10 marzo 1944, le camicie nere commemorano presso il teatro Adriano, in piazza Cavour, l'anniversario della morte di Giuseppe Mazzini: i gappisti, decisi a punire l'appropriazione da parte dei fascisti della figura di Mazzini, si preparano all'attacco. Terminata l'orazione conclusiva, i partecipanti sfilano in corteo sino al centro della capitale: in testa alla colonna marciano gli allievi ufficiali del costituendo battaglione "Onore e Combattimento", circa 200 elementi vestiti di uniformi nuove di zecca e armati fino ai denti, «macabri alberi della cuccagna», come li ebbe a definire nelle sue memorie Rosario Bentivegna. Ad attenderli in via Tomacelli vi è un commando dei GAP composto da Mario Fiorentini, Rosario Bentivegna, Franco Ferri e Francesco Curreli, appostati all'altezza del piccolo mercato che si apre tra via Tomacelli e via dell'Arancio: tra la folla sono mescolati Carlo Salinari e Marisa Musu. 
    All'arrivo del corteo fascista, uno dei quattro gappisti si avventa con la pistola spianata contro un milite della PAI posto a protezione del corteo, mettendolo in fuga: gli altri tre, seguendo Mario Fiorentini che dirige l'azione, scagliano contro i fascisti bombe di mortaio Brixia opportunamente modificate, dileguandosi poi fulmineamente nel dedalo di vicoli del rione. La spavalderia fascista, che un attimo prima si era manifestata nelle strofe "All'armi siam fascisti, terror dei comunisti!", si dissolve all'istante: il corteo ripiega alla spicciolata verso ponte Cavour, lasciando sul terreno nove caduti. Dopo l'attacco dei GAP, i tedeschi impediranno ai fascisti di tenere pubbliche dimostrazioni all'interno della città. L'azione di via Tomacelli rappresenterà il banco di prova per il successivo attacco di via Rasella, tra le più efficaci azioni di guerriglia urbana mai compiute dal movimento partigiano dell'intera Europa occupata.







10 marzo 1944: la battaglia di Poggio Bustone: i partigiani della brigata Gramsci battono duramente i circa 200 fascisti della GNR intenti a compiere una retata nel paese

    

Il 10 marzo 1944 circa 200 fascisti della GNR giungono a Poggio Bustone per effettuare una retata punitiva di partigiani e di renitenti alla leva della RSI. 24 uomini della “Brigata Gramsci”, avvisati dalla popolazione scendono dal loro rifugio ingaggiando per più di tre ore, nonostante la sproporzione di forze, una dura battaglia con le milizie fasciste. Anche la gente del luogo fa la sua parte, armata alla meglio di forconi e bastoni. Il bilancio dello scontro, 14 morti, tra cui lo stesso questore Pannaria, e 30 feriti è alla fine per i fascisti decisamente pesante.
Poggio Bustone diviene un simbolo formidabile: è il primo territorio del centro nord liberato. «Questa azione segna l’apice della capacità offensiva della Resistenza nel reatino".


All'alba del 10 marzo le sentinelle del battaglione “Calcagnetti” della brigata “Gramsci”, appostate al di sopra del paese sulla dorsale del monte Rosato, vedono giungere dalla frazione pianeggiante Borgo San Pietro circa duecento militi che, lasciati gli automezzi (si parla di cinque torpedoni, successivamente resi inservibili dalla squadra di Mario Filipponi “Fulmine”), salgono a piedi a cingere l'abitato chiudendone le vie di fuga. La precipitosa corsa ad avvisare i compagni più vicini, a Cepparo (Rivodutri), appena rientrati dopo il disarmo notturno del presidio GNR di Cantalice, coincide con la burrascosa sveglia che subiscono gli abitanti. Le case vengono percorse una ad una tirando fuori tutti i maschi in età di leva, bastonando le madri che provano a trattenerli, proseguendo poi con gli adulti e addirittura gli anziani. Il motivo della spedizione, condotta in prima persona dal questore di Rieti Antonio Pannaria, con l'ausilio del capitano Mario Tandurri della GNR e del vice commissario di PS Vincenzo Trotta, è duplice: stroncare la renitenza, pressoché totale nel Comune per le classi 1923-1924, e punire una popolazione rea del supporto ai partigiani; va tenuto conto anche della volontà di rappresaglia contro i continui disarmi di presidi e distaccamenti della GNR in questa parte del Reatino, in atto sin da fine febbraio (il presidio di Poggio Bustone è caduto il 4 marzo). Tutti vengono concentrati sulla piazzetta e il questore, lista alla mano, chiama cinquantotto di loro (non è dato sapere con certezza se si tratti solo dei renitenti, solo dei ricercati per motivi politici, o l'intero gruppo), obbligati a presentarsi entro dieci minuti pena la distruzione del paese. In questi frangenti si consuma l'uccisione di Supenio Mostarda, colpito mentre cerca di scappare, e della sorella (secondo alcune fonti cugina, secondo qualcuna addirittura fidanzata) Domenica, liberatasi dal blocco dei militi per correre a soccorrerlo. Inizia a questo punto la seconda fase, la vera e propria battaglia, con l'arrivo dei partigiani del “Calcagnetti” guidati da “Lupo” e Vero Zagaglioni “Francesco”, venticinque al massimo, che sconvolge i piani del questore e fa sbandare i suoi uomini, che colti letteralmente di sorpresa iniziano anche a scappare. I partigiani, divisi in tre gruppi, hanno a loro volta sbarrato le vie d'uscita e ai fascisti non resta che concentrare il combattimento fra le vie del paese. La gente si arma alla meglio, anche con forconi e bastoni, e dà un contributo di straordinaria importanza che induce, dopo qualche ora, i militi a sgombrare il campo. Ad esempio il partigiano Giuseppe Desideri si Poggio Bustone (26/01/1924 – 27/05/2006) si salva proprio perché sua madre colpisce mortalmente con un forcone il milite che sta per scaricargli addosso una raffica di mitra. Lo scontro è duro, a tratti brutale e vendicativo da parte di tutti i protagonisti, sebbene l'incongruenza fra le testimonianze e le reticenze di molti non consentano ricostruzioni esaustive. Ciò soprattutto in relazione all'eliminazione dell'ultima sacca di resistenza, rappresentata dall'abitazione dove sono asserragliati il questore, i due funzionari e altri tre militi. Il merito principale viene unanimemente attribuito al ternano Enzo Cerroni “Uragano” e ad Emo Battisti, giovane studente di Poggio, partigiano della “Gramsci” rientrato in paese il giorno precedente per visitare i genitori. È sulle modalità dell'uccisione dei cinque fascisti che mancano sufficienti certezze, inducendo taluni anche a sollevare valutazioni di ordine morale in merito alla condotta dei partigiani in questa occasione. In concomitanza con la cessazione del fuoco giungono anche i rinforzi, in un ritardo giustificabile con la distanza da coprire, circa cinquanta partigiani con in testa Armando Fossatelli “Gim” e Saturno Di Giuli “Miro”. Prevedendo correttamente il pronto arrivo dei tedeschi, tutti piegano rapidamente in direzione di Leonessa (dopo avere liberato alcuni dei ragazzi rastrellati la mattina e rinchiusi in un locale), facendo tuttavia in tempo a vedere arrivare verso le ore 16 una colonna della Wehrmacht, composta sia di mezzi blindati che bandiere della Croce Rossa, che non risulta avere compiuto ulteriori danni o ritorsioni contro la popolazione in quella giornata. Alla fine i fascisti contano in totale sedici vittime fra le loro fila.






09 marzo 2025

9 marzo 1944: nei pressi di Palestrina, in uno scontro a fuoco con i nazisti, muoiono tre partigiani sovietici che operavano con le bande partigiane locali

    Nella zona di Roma operarono vari ex prigionieri di guerra sovietici evasi dai campi di prigionia ed unitisi ai partigiani.
    Il 9 marzo 1944 alcuni di questi partigiani sovietici, "dopo tanti trasferimenti e attacchi, sono accampati a Colle Ruzzano. All’alba del 9, alcuni contadini della zona di Castruccio salgono per avvertire che in una capanna ci sono alcuni moschetti che possono essere prelevati. Si decide di inviare in missione Wassilij Skorokjodov e Nicolaj Demiacenko. Alle 11 del mattino i due non erano ancora tornati. Si sentono improvvisamente crepitare raffiche di mitra. Subito sei o sette partigiani, tra cui: Boris, Pietro Iglikhin, Mikail Kasskiev, Anatolij Kurepin e Dante Bertini si accingono a raggiungere la località da dove provengono gli spari. Passando per una località detta Fontana Ona, una zona tra Gallicano e Poli, trovano Wassilij riverso a terra, trivellato di colpi, già morto. Di Nicolaj neppure una traccia. Cercano e lo trovano tra i cespugli, ferito gravemente a una gamba da una raffica di mitra. Un gruppo numeroso di tedeschi li aveva attaccati di sorpresa. Si affrettano per caricarsi Nicolaj sulle spalle, in ordine sparso risalgono verso la base di Colle Ruzzano, ma è già troppo tardi. Ecco sbucare da ogni parte i nazisti. Si accende una furiosa battaglia. Nicolaj è colpito di nuovo e muore. Anche Anatolij che chiude il gruppo è ucciso dai tedeschi. Il resto dei partigiani, dopo duro combattimento, riesce a sganciarsi. Molti sono i corpi dei tedeschi uccisi, ma oramai i tre partigiani sovietici morti si sono dovuti lasciare in mano al nemico. Per 3 giorni i nazisti rifiutano di dare la sepoltura a quei poveri corpi straziati. Poi finalmente, si riesce a strappare il consenso. Così presso Fontana Ona tre fosse vengono scavate e tre povere bare fatte di tavole messe insieme dagli stessi contadini vi vengono calate. Esse raccolgono i giovani corpi dei tre eroici soldati venuti a morire tra la nostra gente. Dopo la Liberazione le spoglie dei tre partigiani sovietici furono riesumate e tumulate nel cimitero di Palestrina dove loro sacrificio è ricordato da una lapide".

Oggi al cimitero di Palestrina abbiamo reso omaggio ai tre partigiani sovietici caduti in combattimento contro i tedeschi il 9 marzo 1944. Nicolaj, Anatolij, Vasilij, non vi dimenticheremo.
LA MEMORIA NON MUORE 🌹🇮🇹 ANPI Palestrina






08 marzo 2025

8 marzo di lotta e sorellanza per un mondo opposto a quello che si sta delineando


    

L'8 marzo quest'anno cade in una terribile fase di guerra, riarmo, lacerazioni, repentini e profondi cambiamenti nel mondo, contraddizioni che spaccano il fronte "progressista" il cui orizzonte dovrebbe essere la ricerca di pace, il disarmo, la difesa e il rilancio delle organizzazioni internazionali volte a scongiurare i conflitti e a ricercare il benessere materiale, sociale e culturale e la salute di tutte le popolazioni. Sappiamo invece che in questa fase, questi "beni" primari sono in discussione e le prime a farne le spese sono le donne e le loro conquiste raggiunte con le unghie e con il sangue. Esse sono messe in discussione da un paternalismo che si sente forte e senza più alcun limite, al governo delle superpotenze che possono ormai fare e disfare qualsiasi cosa, cambiare i nomi geografici, minacciare conquiste territoriali, licenziare in massa, aprire guerre commerciali, attaccare i diritti fondamentali dell'umanità, propugnare catastrofici riarmi (anche quando a farlo sono donne, come la presidente della commissione europea, esse sono omologate agli interessi di un megamachismo universale).
    In questa situazione stringiamo i denti come siamo abituate a fare, e nel solco delle partigiane e dei partigiani che non demorsero neanche nei momenti più bui, quando sembrava che la morsa nazifascista avrebbe stritolato qualsiasi parvenza di civiltà e di umanità, e seppero uscirne vittoriose e vittoriosi.
    Viva l'8 marzo, di lotta, di sorellanza, per un mondo opposto a quello che si sta delineando.

Il Coordinamento donne dell'ANPI provinciale di Roma

07 marzo 2025

7 marzo 1944: vengono fucilati a Forte Bravetta 10 eroici partigiani. Il sacrificio di Giorgio Labò, artificiere dei GAP centrali

Alle prime ore dell'alba del 7 marzo 1944 un plotone di militi della PAI (Polizia dell'Africa Italiana) fucila 10 partigiani, prelevati dalle carceri di Via Tasso, a seguito della morte di un tedesco avvenuta durante un attacco partigiano in Piazza dei Mirti, nel popolare quartiere di Centocelle. Caddero sotto il piombo fascista:

Antonio Bussi, gappista e militante del PCI clandestino;

Concetto Fioravanti, militante del Movimento Comunista d'Italia (Bandiera Rossa);

Vincenzo Gentile, gappista del GAP Centrale "Pisacane";

Giorgio Labò, artificiere dei GAP centrali;

Paul Leo Lauffer, ebreo, militante del Partito d'Azione a Montesacro;

Francesco Lipartiti, carabiniere appartenente al Fronte Militare Clandestino di Resistenza;

Mario Mechelli, militante del Movimento Comunista d'Italia;

Antonio Nardi, militante del Movimento Comunista d'Italia;

Augusto Pasini, militante del Partito d'Azione;

Guido Rattoppatore, appartenente al GAP comunista della IV zona.

Antonio Nardi, cui è oggi intitolata la sezione ANPI dei Vigili del Fuoco, svolgeva attività di propaganda antifascista in seno al Movimento Comunista d'Italia, ben radicato tra i Vigili del Fuoco di Roma al punto da disporre di una propria squadra presso la sede di Ostiense in Via Marmorata. Nel dicembre 1943, mentre si trovava in servizio presso la sede centrale di Via Genova, ove era molto noto e apprezzato per le sue doti di autista e meccanico, venne tratto in arresto e imprigionato; dopo un processo farsa, terminò la propria esistenza a Forte Bravetta.



Quando i militi della PAI aprirono la sponda del camion che trasportava a Forte Bravetta i dieci antifascisti destinati alla fucilazione, il penultimo condannato dovette essere scortato a braccia sino al luogo dell'esecuzione: era il venticinquenne Giorgio Labò, che nel carcere di Via Tasso era stato tenuto legato mani e piedi per diciotto giorni e sottoposto a inenarrabili torture affinché rivelasse nomi e indirizzi dei compagni di lotta.
Nato a Modena il 29 maggio 1919, figlio di Mario, architetto originario di Genova, e di Enrica Elisa Morpurgo, ebrea triestina, ad appena un anno di età si trasferisce con la famiglia a Genova, dove compie gli studi frequentando l'Istituto Colombo per poi iscriversi alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Genova: dopo appena un anno passerà alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Negli anni dell'adolescenza e della giovinezza, prima nel salotto di casa Labò a Genova e poi negli ambienti dell'avanguardia milanese, ha l'occasione di conoscere e frequentare personalità di primo piano della scena culturale e artistica italiana del periodo come l'architetto Gio Ponti, lo scultore Francesco Messina, i poeti Camillo Sbarbaro e Alfonso Gatto, lo scrittore Vasco Pratolini, il pittore Renato Guttuso.
Alla notizia dell' armistizio, Labò abbandonò la compagnia del genio minatori in cui era stato inquadrato a seguito della chiamata di leva e si unì alle prime bande che si andavano formando nell'alto Lazio, venendo infine reclutato dai GAP centrali del Partito Comunista di Roma che ne apprezzarono la dimestichezza con gli esplosivi acquisita durante i mesi del servizio militare: assieme al chimico Gianfranco Mattei, mise a punto con precisione sempre maggiore gli ordigni utilizzati dai gappisti nel corso delle azioni di guerriglia contro i nazifascisti. Arrestati entrambi a seguito dell'irruzione della Gestapo nei locali adibiti a santabarbara dei GAP centrali, in Via Giulia 23/A, il 7 febbraio 1944 Mattei si impiccò con la cintura dei pantaloni nella cella di Via Tasso ove era detenuto, per evitare di rivelare dettagli vitali sull'organizzazione resistenziale sotto tortura, mentre Labò fu fucilato a Forte Bravetta il 7 marzo successivo assieme ad altri nove appartenenti alla Resistenza romana.

L'ANPI provinciale di Roma non parteciperà alla Manifestazione "per l'Europa" del 15 marzo p.v.

L'ANPI PROVINCIALE DI ROMA NON PARTECIPERÀ ALLA MANIFESTAZIONE DEL 15 MARZO


La presidenza dell'ANPI provinciale di Roma guarda all'idea e al progetto politico di unità dell'Europa  raccogliendo da sempre l'eredità del Manifesto di Ventotene, ossia dell'unità continentale dei popoli  fondata sulla Pace, la Democrazia e il Lavoro, la solidarietà e l'antifascismo. Per queste ragioni e secondo questo lascito l'ANPI è radicalmente contraria al piano di riarmo dello spazio comune europeo presentato dai rappresentanti e dai vertici politici delle attuali istituzioni UE. Un piano che presuppone e disegna la conversione in una economia di guerra dei nostri assetti sociali e Costituzionali in un quadro di contestuale riduzione delle risorse e di tagli allo stato sociale che non potranno che acuire i termini generali della crisi che attraversa già ora in modo profondo le nostre società e le classi del lavoro. Un impoverimento programmato delle cittadine e dei cittadini a beneficio dell'industria delle armi e di un capitalismo predatorio che tende alla guerra come risoluzione delle proprie criticità e contraddizioni interne. Consideriamo gravi le responsabilità delle classi dirigenti europee in ordine alla totale assenza in questi anni di un minimo tentativo di azione diplomatica e di intervento politico rivolto alla composizione dei conflitti e al ripristino di una azione finalizzata alla cessazione della guerra in Ucraina combattuta su suolo europeo attraverso le armi della Nato. Considerata la debolezza e la assenza totale di questi riferimenti e termini politici all'interno della piattaforma con cui è stata convocata la manifestazione "per l'Europa" del 15 marzo p.v., l'ANPI di Roma (facendo riferimento ai contenuti del dibattito interno maturato nel proprio organismo dirigente, il Comitato Provinciale) ritiene coerente la scelta di non invitare le proprie iscritte e i propri iscritti e simpatizzanti a parteciparvi se non a titolo esclusivamente personale e senza bandiere e fazzoletti dell'Associazione.

"Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai".
Sandro Pertini, partigiano, Presidente della Repubblica, Medaglia d'Oro della Resistenza

L'Ufficio di Presidenza dell'ANPI provinciale di Roma






05 marzo 2025

La rivoluzione delle donne nella Siria del post Assad - 10 marzo 2025 alla Casa della Memoria e della Storia


La rivoluzione delle donne nella Siria del post Assad - 10 marzo 2025 alla Casa della Memoria e della Storia

Con Giovanni Russo Spena, Alessia Manzi, Simonetta Crisci, un'attivista della Rete "Woman defend Rojava". Coordina Anna Balzarro

5-8 marzo 1943: appena dopo Stalingrado, sono gli scioperi del marzo '43 a segnare l'inizio della fine del ventennio fascista




«Gli scioperi del marzo 1943, insieme con la vittoria alleata, hanno ormai assunto nella comune considerazione storica, il ruolo di fattore determinante la crisi del 25 luglio. Essi rappresentano l’episodio più grandioso e significativo della tenace lotta che i partiti antifascisti hanno svolto contro la tirannide di Mussolini e la dimostrazione più eloquente del distacco che è sempre esistito fra il fascismo e le forze sane del nostro Paese" (Umberto Massola).


Gli scioperi del marzo 1943 
di Gabriele Polo (Il Manifesto, 5 marzo 2003)
Il 5 marzo 1943 la sirena della fabbrica, che suonava regolarmente ogni mattina alle dieci, rimase silenziosa: il segnale che doveva far partire il primo sciopero dopo diciotto anni di niente era stato disinnescato dalla direzione. Qualcuno aveva avvertito la Fiat. All'officina 19 di Mirafiori, Leo Lanfranco - manutentore specializzato, reduce dal confino e assunto nonostante il suo curriculum di comunista perché «sapeva dominare il ferro» - decise di muoversi lo stesso, lasciò la macchina, fece un gesto con le mani e tutta l'officina si fermò. Il piccolo corteo si mosse in direzione delle presse raccogliendo qua e là l'adesione di altri operai. Non era un blocco massiccio, ma era la prima volta. Da quel giorno le fabbriche di Torino cominciarono a fermarsi, con un crescendo che fece impazzire questura e partito fascista, fino al blocco totale del 12 marzo e all'estensione dello sciopero a Milano, all'Emilia, al Veneto. Un marzo di fuoco. Appena dopo Stalingrado, prima del 25 luglio, molto prima dell'8 settembre, sono gli scioperi del marzo `43 a segnare l'inizio della fine del ventennio fascista. Scioperi contro la guerra, contro la fame, contro il regime; quando la borghesia italiana è ancora muta, i partiti antifascisti solo l'ombra di quel che erano e ridotti alla dimensione di gruppetti clandestini, gli intellettuali combattuti tra fedeltà alla patria e disaffezione per l'uomo del destino; quando le fabbriche sono militarizzate e scioperare può costare il tribunale speciale, l'accusa di tradimento, la galera, e, poi, la deportazione, la prospettiva del lager. Il 5 marzo del `43 è la data del «risveglio operaio», il riannodarsi del filo rosso spezzato nel `22 e reciso - sembrava definitivamente - con la guerra di Spagna. Il vero inizio della Resistenza.

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Ripudia intolleranza, razzismo e antisemitismo.
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