10 febbraio 2025

La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo"

La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.








09 febbraio 2025

9 febbraio 1849: proclamazione della gloriosa Repubblica Romana





Proclamata il 9 febbraio 1849 da uomini liberi, animati dal desiderio di un’Italia repubblicana, si concluse tragicamente il 4 luglio, segnando il definitivo spostamento verso posizioni moderate e monarchiche del movimento risorgimentale.
 
Il frutto più significativo di quell’esperienza, sia pur breve, ma che vide concretizzarsi l’ideale mazziniano di repubblica quale «sistema che deve sviluppare la libertà, l’eguaglianza, l’associazione e per conseguenza ogni pacifico sviluppo di idee, quando anche differisse in qualche parte dal nostro», fu la Costituzione votata all’unanimità il 1° luglio 1849 e promulgata il 3 luglio, nella quale erano sanciti il suffragio universale, la libertà di pensiero, di religione, di associazione, l’abolizione di ogni tribunale speciale, della censura preventiva e della pena di morte.
 
Soltanto un secolo più tardi tali principi trovarono finalmente attuazione nella Costituzione della Repubblica Italiana (approvata il 22 dicembre 1947, promulgata il 27 dicembre, entrata in vigore il 1° gennaio 1948), la quale sancisce nel suo terzo articolo che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».


vedi anche:




"Cent'anni dopo", un film documentario sulla storia del PCI commentata da Aldo Tortorella, a cui rendiamo omaggio

Ci piace rendere omaggio al partigiano Alessio recentissimamente scomparso, riproponendo la visione del film-documentario sulla storia del Partito Comunista Italiano "Cent'anni dopo"
di Monica Maurer e Milena Fiore.
La storia del PCI narrata da un commentatore più che autorevole: ALDO TORTORELLA. 
La vicenda del partito di massa - con i suoi militanti, la presenza capillare delle sezioni, il giornale diffuso in decine di migliaia di copie, le feste dell'Unità, il lavoro politico tra gli emigrati - viene dunque riletta, evidenziandone il ruolo nelle occupazioni delle terre, nelle mobilitazioni operaie e nelle lotte per la democrazia e la pace, ma anche nel confronto col '68 studentesco e col movimento femminista. Ne emerge il radicamento crescente del PCI nella società italiana, che culmina nei successi elettorali del 1975-76, scontrandosi però con forti controspinte reazionarie ed eversive e coi processi di ristrutturazione degli anni Ottanta, che contribuiscono a determinare la crisi del partito.




08 febbraio 2025

Massimo Rendina, il "Comandante Max", moriva l'8 febbraio 2015 all'età di 95 anni.

Massimo Rendina, «Max», da Federico e Maria Manara, nacque il 4 gennaio 1920 a Mestre (VE). 


Durante il fascismo visse a Venezia e dopo la maturità si trasferì a Bologna per gli studi universitari alla facoltà di giurisprudenza.



Nel capoluogo emiliano iniziò la carriera giornalistica: giovanissimo iniziò a scrivere per Il Popolo del Friuli, collaborando poi con il Resto del Carlino; suo collega era Enzo Biagi. In quel periodo fece parte anche di una compagnia teatrale amatoriale. 







Allo scoppio della guerra si arruolò divenendo sottotenente dei bersaglieri e venne inviato in Russia con lo CSIR. Rimpatriato per una licenza di convalescenza, nel dicembre 1942 divenne condirettore insieme a Eugenio Facchini (anch'egli reduce dal fronte russo) del mensile Architrave, rivista del GUF (Gruppo Universitario Fascista) bolognese. 

Nelle intenzioni dei gerarchi fascisti bolognesi i due reduci avrebbero dovuto dare un tono più fascista al giornale, considerato un foglio della fronda. Pio Marsilli e Vittorio Chesi, il direttore e il condirettore della gestione precedente, erano stati destituiti d’autorità e proposti per il confino di polizia, perché considerati antifascisti. Ma i due nuovi giornalisti diedero al giornale un contenuto e un tono di aperta contestazione del regime e della guerra.
Nella nota Motivo ideale, siglata M.R. (Massimo Rendina) si legge: «Ormai la retorica illusione di una vittoria facile e di una guerra lampo è sprofondata nell’abisso del passato». La nostra «è sempre stata, sin dal primo colpo di cannone, una guerra difensiva» e «Ora soltanto il conflitto appare definitivamente difensivo nella sua intima essenza e si trasmuta in una lotta integrale, assoluta, di vita o di morte, estranea ad ogni altro pensiero che non sia di sopravvivere alla distruzione di tutto il mondo» (Architrave, 31 gennaio 1943).
Nello stesso numero, in una nota dal titolo Indagine sulla Russia, parlando dell’esperienza fatta sul fronte orientale, si chiese: «a) come mai il popolo russo, che non è convinto della bolscevizzazione, la tollera come un gioco, resiste, non si ribella, combatte con valore?; b) come mai dopo un’improvvisa e stupefacente disfatta militare, creduta da tutto il mondo irreparabile, ha opposto un’accanita resistenza e proprio sul principio dell’ultimo atto del grande dramma riconquistando parte delle posizioni perdute con un successo che ha del soprannaturale?». «Noi non crediamo - proseguiva - in una serie di astute ed avvedute manovre da parte del governo rosso: le ragioni sono piuttosto da ricercarsi nel sistema organizzativo e nelle vicende naturali della guerra che vedono l’alternarsi della fortuna, da una parte e dalla altra dei combattenti». Concludeva che se i russi «hanno sorpreso chiunque, la situazione delle armate tedesche non va considerata assolutamente nel campo del “disastroso”».

Partigiani comandati da Massimo Rendina














Dopo il 25 luglio 1943 tornò a lavorare a Il Resto del Carlino
Quando, dopo l’8 settembre 1943, al giornale fu nominato un direttore repubblichino, intervenne all'assemblea dei redattori per annunciare pubblicamente che non avrebbe collaborato con la RSI. Abbandonò il giornale e si trasferì in Piemonte, a Torino, dove conobbe Corrado Bonfantini, aderì alla Resistenza e partecipò alla Lotta di Liberazione con il nome di battaglia di Max il giornalista. Militò prima nella 19ma brigata Giambone Garibaldi con funzione di capo di Stato Maggiore e successivamente nella 103ma brigata Nannetti della 1a divisione Garibaldi, della quale fu prima comandante e poi capo di Stato Maggiore. Prese parte alla liberazione di Torino. Nell'autunno 1944 venne ferito nelle campagne torinesi e salvato da alcuni contadini. Fu in seguito riconosciuto invalido di guerra e riconosciuto partigiano combattente dal 1 novembre 1943 al 7 maggio 1945.

Leggi il resto sulla pagina del nostro blog a lui dedicata: 

07 febbraio 2025

Aldo Tortorella, il partigiano "Alessio" ci ha lasciato




Ci ha lasciato il compagno Aldo Tortorella. 

Col nome di battaglia Alessio partecipò alla Resistenza in Lombardia e in Liguria nelle file del Fonte della Gioventù organizzando la lotta armata e la propaganda a Genova, soprattutto nelle zone operaie. 

Autorevole dirigente del PCI di cui fu presidente negli ultimi due anni di esistenza del partito, deputato della Repubblica dal 1972 al 1994, fu anche direttore de "L’Unità" dal 1970 al 1975 e della rivista "Critica Marxista" dal 1992 ad oggi. 

Presidente onorario dell’ANPI nazionale, lo ricordiamo con affetto e profonda stima. Ha lasciato nelle compagne e nei compagni dell’ANPI di Roma un segno indelebile e un ricordo che rimarrà scolpito nelle piazze del 25 aprile. 

Intellettuale di rara statura, dirigente di grande cultura, era un compagno dotato di una straordinaria capacità comunicativa capace di coinvolgere ed entusiasmare le giovani generazioni. 

Non ti dimenticheremo caro Aldo. Le tue parole, i tuoi insegnamenti, il tuo impegno portato avanti con tenacia e determinazione fino all’ultimo nonostante l’età, saranno per noi la bussola per continuare nella battaglia per una società migliore, basata sulla pace e l'amicizia tra i popoli, sulla libertà, sulla giustizia sociale. 

Ti sia lieve la terra.

La camera ardente di Aldo Tortorella è allestita nella Sala Aldo Moro di Montecitorio. Sarà possibile rendere omaggio al feretro dalle 10 alle 17 (7 febbraio 2025). Ingresso dal portone principale di Piazza Montecitorio.

il funerale di Aldo Tortorella si svolgerà alle ore 9 di domani 8 febbraio al Tempietto Egizio al Verano.






Se vuoi la pace prepara la pace_Aldo Tortorella


Il discorso di ALDO Tortorella al 25 aprile 2019 di Porta San Paolo a Roma:



Aldo Tortorella al 25 aprile 2019 a Roma



Aldo Tortorella al 25 aprile 2019 a Roma



Aldo Tortorella con Marina Pierlorenzi al 25 aprile 2019 a Roma


11 febbraio 2025 alla Casa della Memoria e della Storia: "Il Colonialismo in Italia dall'età liberale al periodo fascista". Seminario per gli iscritti e le iscritte all'ANPI

Riprendono i seminari dell'ANPI di Roma rivolti agli iscritti e alle iscritte delle sezioni. Gli incontri rappresentano un momento di formazione e una opportunità di crescita per le persone e per le sezioni, una occasione di incontro e i confronto sulle tematiche che più ci coinvolgono.




11 febbraio 2025 ore 16,30 alla Casa della Memoria e della Storia. Seminario riservato agli iscritti e alle iscritte all'ANPI. In collaborazione con la Rete Yekatit 12-19 febbraio.
Il seminario potrà essere seguita anche in diretta e in differita sul Canale Youtube dell'ANPI provinciale di Roma:

7 febbraio 1944: il sacrificio di Gianfranco Mattei




Nato a Milano l'11 dicembre 1916, primogenito di sette fratelli, Gianfranco Mattei proveniva da un'agiata famiglia borghese di origine ebraica: il padre Ugo, avvocato di orientamento liberale e imprenditore, fu spesso ostacolato dal regime nelle proprie attività in ragione del proprio fiero sentimento antifascista e dovette cambiare mestiere, trasferendosi con tutta la famiglia in una villa di Bagno a Ripoli e reinventandosi operaio marmista. Compiuti gli studi in chimica presso l'Università di Firenze, il giovane Gianfranco divenne nel 1938 docente di chimica analitica quantitativa presso l'Istituto di chimica industriale del Politecnico di Milano e assistente del già celebre professor Giulio Natta. Negli stessi anni, pur frequentando il corso allievi ufficiali a Pavia, si avvicinò con la sorella Teresa agli ambienti dell'antifascismo lombardo e fu successivamente chiamato alle armi con lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
All'indomani dell'armistizio, fuggito da Milano, si unì alle formazione partigiane operanti nella zona di Lecco e della Valfurva, trasferendosi infine a Roma, dove prese contatto con i GAP centrali. Assieme allo studente di architettura Giorgio Labò, fu incaricato dai dirigenti dell'organizzazione comunista clandestina di confezionare gli ordigni esplosivi da utilizzare nelle azioni di guerriglia nella capitale: i due, assieme ad altri addetti alla "santabarbara" dei GAP, risiedevano nell'appartamento situato al secondo piano del palazzetto al civico 25A di Via Giulia, protetti da una falsa identità. Arrestati il 1° febbraio 1944 a seguito dell'irruzione della polizia tedesca nello stabili, furono rinchiusi a Via Tasso. 
«Questo comunista Mattei è terribile, terribilmente silenzioso» - diceva di lui Kappler, secondo la testimonianza della gappista Maria Teresa Regard - «ma ora useremo il tenente Priebke, che saprà farlo parlare con mezzi chimici e fisici». Per timore di rivelare informazioni sull'organizzazione clandestina ed esporre al pericolo i propri compagni, nella notte tra il 6 e il 7 febbraio si impiccò con la cintura dei pantaloni nella propria cella, dopo aver lasciato un ultimo messaggio alla famiglia sul retro di un assegno bancario.



05 febbraio 2025

Il 5 febbraio 1944, Leone Ginzburg moriva nel carcere di Regina Coeli per le percosse subite dalle SS durante un interrogatorio.

Il 5 febbraio 1944, Leone Ginzburg moriva nel carcere romano di Regina Coeli dopo essere stato brutalmente pestato dalle SS durante un interrogatorio.
Nato a Odessa nel 1909 da una famiglia ebraica, figlio di Fëdor Nikolaevic e Vera Griliches, Leone era nato da una breve relazione tra Vera e l'italiano Renzo Segré ma era stato successivamente riconosciuto dal marito della madre, il quale gli aveva trasmesso il proprio cognome. Dopo un'infanzia trascorsa tra Roma e Viareggio, eccettuata due brevi parentesi negli anni dell'adolescenza in cui la famiglia Ginzburg aveva vissuto prima a Torino e poi a Berlino, Leone si stabilì definitivamente con il padre, la madre e i propri fratelli maggiori, Marussa e Nicola, a Torino, dove frequentò il liceo classico "Massimo D'Azeglio" tra il 1924 e il 1927, dove ebbe quali compagni di studi Giorgio Agosti, Norberto Bobbio e Sion Segre. Sono questi gli anni in cui il giovane Ginzburg diede prova della propria vivacità intellettuale, dedicandosi alla traduzione di alcuni classici della letteratura russa e alla stesura di saggi di argomento letterario. Decisivo fu per la maturazione di una salda coscienza antifascista l'incontro con i docenti Umberto Cosmo, Zino Zini e Franco Antonicelli.
Iscrittosi a Giurisprudenza ma successivamente passato a Lettere, si laureò nel 1931 con una tesi su Maupassant e ottenne nel 1932 la libera docenza in letteratura russa presso l'ateneo torinese; negli stessi anni si avvicinò a vari intellettuali antifascisti riuniti attorno all'editore Giulio Einaudi, tra cui Cesare Pavese, Vittorio Foa, il compagno di scuola Norberto Bobbio e Carlo Levi, e fu attivo nel movimento di Giustizia e Libertà. Nel 1934, il proprio rifiuto di prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista richiesto ai docenti universitari lo privò della cattedra; nello stesso anno, fu arrestato dall'OVRA e condannato al carcere, venendo liberato nel 1936 e proseguendo la propria attività intellettuale e l'impegno politico antifascista. Si unì in matrimonio nel 1938 con Natalia Levi, dalla quale ebbe quattro figli, Carlo, Andrea e Alessandra.
Nuovamente arrestato nel 1940, fu inviato al confino nella località abruzzese di Pizzoli, ove rimase sino al 25 luglio 1943 per poi trasferirsi a Roma. Dopo l'8 settembre fu tra i principali animatori del movimento resistenziale clandestino del Partito d'Azione, divenendo direttore dell'edizione romana del quotidiano clandestino "Italia libera". Arrestato il 19 novembre 1943 assieme ad altri redattori nella sede della tipografia clandestina di via Basento, 55 a seguito di una retata della polizia fascista, venne recluso a Regina Coeli e duramente torturato dalle SS, le quali cercarono di estorcergli informazioni circa l'organizzazione clandestina del Partito d'Azione nella capitale, ma non parlò. Morì di arresto cardiaco a seguito delle violenze subite, ad appena 35 anni, il 5 febbraio 1944.



04 febbraio 2025

Nella notte tra il 3 il 4 febbraio 1944, gli uomini della banda Koch fecero irruzione nei locali dell'abbazia di San Paolo fuori le Mura



Fucilazione di Pietro Koch il 4 giugno 1945

Nella notte tra il 3 il 4 febbraio 1944, gli uomini della banda Koch fecero irruzione nei locali dell'abbazia di San Paolo fuori le Mura. Guidati da Pietro Koch in persona, affiancato da due commissari di polizia e dal segretario della Federazione romana del Partito Fascista Repubblicano, Giuseppe Pizzirani, 120 fascisti penetrano nell'abbazia con la complicità di un monaco benedettino attivo all'interno della formazione, don Epaminonda Ildefonso Troya, procedendo all'arresto di 67 persone che tra quelle mura avevano trovato rifugio all'indomani dell'8 settembre; tra di essi, nove ebrei, diversi renitenti alla leva, alcuni sottufficiali del Regio Esercito e il generale di divisione aerea Adriano Monti. 
Non era la prima volta che Koch e i suoi sgherri compivano retate all'interno di sedi prottette dallo status di extraterritorialità: il 12 dicembre era riuscito a scovare il generale Mario Caracciolo di Feroleto, nascosto nel convento francescano situato nelle vicinanze delle Catacombe di San Sebastiano, sull'Appia Antica, mentre il 21 dicembre 1943 un'analoga operazione condotta all'interno dell'isolato comprendente il Pontificio Seminario Lombardo, Il Pontificio Istituto di Studi Orientali e il Collegium Russicum aveva portato all'arresto di 18 tra ebrei e antifascisti ivi rifugiatisi, compreso il dirigente sindacale comunista Giovanni Roveda. 
Attiva a Roma a partire dal dicembre del 1943 con la denominazione ufficiale di "Reparto Speciale di Polizia Repubblicana" e guidata dall'ex ufficiale dei granatieri Pietro Koch, la banda agì alle dirette dipendenze della Questura e del comando SS di Roma, pur godendo nel proprio operato di ampio margine di autonomia. I circa settanta membri della formazione, tra cui alcune donne, si resero responsabili di violenze e torture efferatissime a danno di ebrei, antifascisti e partigiani da loro trattenuti in stato di arresto prima nei locali della pensione Oltremare in Via Principe Amedeo, 1 e successivamente in quelli della pensione Jaccarino, in Via Romagna, 38; molti di essi finiranno nei lager o alle Fosse Ardeatine. La banda Koch seguì poi le sorti del proprio capo, proseguendo la propria attività a Milano sino al termine del conflitto, quando Pietro Koch fu arrestato, processato e condannato alla pena capitale, sentenza eseguita mediante fucilazione sugli spalti di Forte Bravetta il 4 giugno 1945. Altri componenti della banda, scampati alle violenze dei giorni immediatamente successivi al 25 aprile, furono condannati a pene detentive e progressivamente scarcerati a seguito dei vari provvedimenti di amnistia del dopoguerra.

La Conferenza di Jalta (4-11 febbraio 1945)

 La Conferenza di Jalta fu il vertice tenutosi dal 4 all'11 febbraio 1945 nei pressi di Jalta, in Crimea, durante la Seconda Guerra Mondiale. Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin, capi rispettivamente dei governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell'Unione Sovietica, vi presero alcune decisioni importanti sul proseguimento del conflitto, sull'assetto futuro dell'Europa, e sull'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
La conferenza ebbe luogo in un momento in cui la situazione politico-strategica era fortemente favorevole all'Unione Sovietica, con l'Armata Rossa giunta a un'ottantina di chilometri da Berlino, mentre gli Alleati si trovavano fermi sul confine occidentale della Germania a oltre 700 chilometri dalla capitale tedesca; in Italia il fronte era bloccato da mesi sulla linea Gotica.

Lo svolgimento della conferenza e le decisioni politico-diplomatiche che furono raggiunte hanno dato luogo ad accese controversie in sede di analisi storiografica e di polemica politica internazionale. Per alcuni è considerata l'origine della Guerra Fredda e della divisione dell'Europa in blocchi contrapposti a causa soprattutto dell'aggressivo espansionismo sovietico. Secondo altri rappresentò invece l'ultimo momento di leale collaborazione tra le tre grandi potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, i cui risultati sarebbero stati vanificati soprattutto a causa di una serie di decisioni prese dagli occidentali e di situazioni verificatesi nei mesi seguenti del 1945.

Gli accordi raggiunti a Jalta inclusero:
- una dichiarazione in cui si incoraggiava lo svolgimento di elezioni democratiche nell'Europa liberata dai nazisti;
- l'idea di istituire una nuova organizzazione mondiale, le Nazioni Unite (ONU) e del Consiglio di sicurezza;
- il disarmo e la smilitarizzazione della Germania. Le tre potenze vincitrici più la Francia (non invitata alla Conferenza) avrebbero controllato ciascuna una zona di occupazione. Lo smembramento della Germania sarebbe dovuto essere provvisorio. Furono fissate in 22 miliardi di dollari le riparazioni dovute;
- l'insediamento in Polonia di un "governo democratico provvisorio", che avrebbe dovuto condurre a libere elezioni;
- riguardo alla Jugoslavia, fu approvato l'accordo fra Tito e Šubašić (capo del governo monarchico in esilio), che prevedeva la fusione fra il governo comunista e quello in esilio;
- i sovietici avrebbero dichiarato guerra al Giappone entro tre mesi dalla sconfitta della Germania; in cambio avrebbero ricevuto alcune isole strategiche e avrebbero visti riconosciuti i loro interessi nei porti cinesi di Port Arthur e Dalian;



03 febbraio 2025

31 gennaio 2025: A Roma il Municipio II e la Rete dei Numeri Pari inaugurano la Casa della Solidarietà “Stefano Rodotà” a San Lorenzo

 

San Lorenzo, inaugurata la casa della solidarietà

1 febbraio 2025

Inaugurazione Casa Solidarieta`.JPG

 

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In via degli Equi 15, nel cuore di San Lorenzo, ha aperto le porte la “Casa della Solidarietà Stefano Rodotà” in un bene confiscato alla criminalità organizzata che Roma Capitale, tramite l'assessorato al Patrimonio, ha consegnato al II Municipio. Nel corso dell'inaugurazione, tenutasi ieri, è stato presentato il calendario delle attività culturali e degli sportelli che saranno accessibili gratuitamente all’interno dello spazio. 

"Questo luogo rappresenta non solo l’eredità intellettuale e morale di principi e valori che Stefano Rodotà ha sempre sostenuto per una società più giusta, ma testimonia anche il nostro impegno nel promuovere la valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata destinandoli alla legalità e all’inclusione; – ha dichiarato Tobia Zevi – la “Casa della Solidarietà” è il frutto dell’impegno di Roma Capitale insieme alle altre istituzioni coinvolte e di tante persone e associazioni che hanno lavorato instancabilmente per rendere possibile questo progetto. Nel ringraziare la Presidente Del Bello, riconfermo la nostra determinazione nel voler valorizzare il patrimonio pubblico come bene comune al servizio di tutti i cittadini, di oggi e di domani".

La “Casa della solidarietà” garantirà servizi, formazione e laboratori gratuiti alle fasce della popolazione che oggi sono più esposte o che già subiscono il ricatto mafioso sul territorio: persone impoverite; che vivono in condizioni di disagio sociale e/o culturale; a rischio esclusione sociale o che subiscono già una condizione di esclusione.

"Il quartiere di San Lorenzo, in un bene confiscato alla criminalità organizzata, ha un nuovo spazio pubblico condiviso da realtà sociali impegnate quotidianamente a contrastare disuguaglianze, mafie e a promuovere equità, inclusione, diritti e democrazia – ha dichiarato Francesca Del Bello, Presidente Municipio II - la città di Roma ha la sua prima Casa della Solidarietà intitolata a Stefano Rodotà ed è stato un onore inaugurarla alla presenza di Don Luigi Ciotti e di Tobia Zevi. L’obiettivo della Casa è quello di essere un punto di riferimento, sempre aperto, per i tanti cittadini e le tante cittadine del quartiere di San Lorenzo".

Realtà che animeranno la Casa: ANPI Roma; Ass. Salviamo la Costituzione; Auser Lazio; Baobab Experience; Casa internazionale delle Donne; Fai Agisa - antiusura e antiracket; Fondazione Gianni Minà; Gea - scuola di ecologia integrale per giovani ecoattivist*; Observo Onlus; Rete #NoBavaglio; Rete Tutela Roma Sud; Transform! Italia; Teatro della Dodicesima; Unione Inquilini.

"Nella Casa costruiremo il futuro impegnandoci ogni giorno nel quotidiano rispondendo ai bisogni delle persone, mettendo insieme diversità per ricostruire la speranza - dichiara Giuseppe De Marzo, coordinatore della Rete dei Numeri Pari - non si tratta solo semplicemente di migliorare la vite delle persone, ma di cercare una strada nuova e diversa per riappropriarsi dei diritti sociali rimettendo al centro la partecipazione, la gratuità e la solidarietà".

Sono intervenuti, inoltre, all’inaugurazione: don Luigi Ciotti – Libera, Gaetano Azzariti - Salviamo la Costituzione, Alice Basiglini - Baobab Experience, Marino Bisso - Rete #NoBavaglio; Mario De Vergottini - Fai Agisa antiusura e antiracket; don Mattia Ferrari - Mediterranea saving humans; Loredana Macchietti - Fondazione Gianni Minà; Silvia Paoluzzi - Unione Inquilini; Marina Pierlorenzi - Anpi Roma; Carla Rodotà - moglie di Stefano Rodotà; Elisa Sermarini - Scuola Gea.

https://www.comune.roma.it/web/it/notizia/municipio02-san-lorenzo-inaugurata-la-casa-della-solidariet.page




Appuntamento venerdì 31 gennaio alle ore 16:30 nel bene confiscato in via degli Equi n°15
La Casa della Solidarietà Stefano Rodotà è un progetto in coprogettazione tra il Municipio II e la Rete dei Numeri Pari e nasce dall’impegno per trasformare un bene confiscato alla criminalità organizzata in un luogo di promozione dei diritti sociali, di ascolto, condivisione e speranza, aperto a tutte e tutti. La sua missione è quella di fornire servizi, formazioni e laboratori gratuiti alle fasce della popolazione che oggi sono più esposte o che già subiscono il ricatto mafioso sul territorio: persone impoverite; che vivono in condizioni di disagio sociale e/o culturale; a rischio esclusione sociale o che subiscono già una condizione di esclusione. Mette insieme realtà sociali impegnate a promuovere giustizia sociale, ambientale ed ecologica, consapevoli che nell’attuale fase storica nessun@ ce la fa da sol@ e solo la cooperazione massimizza il risultato.
Stefano Rodotà, a cui la Casa della Solidarietà è dedicata, è stato uno dei più autorevoli e originali giuristi italiani ed europei, protagonista di importanti battaglie in difesa dei diritti e della Costituzione, tra gli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, da sempre al fianco dei movimenti e delle realtà sociali impegnate per la giustizia sociale.
Attraverso la solidarietà, l’impegno, il mutuo aiuto, la formazione e la memoria, la Casa della Solidarietà Stefano Rodotà ha come obiettivo far vivere concretamente i valori della Costituzione. Per questo ospita attività, servizi, sportelli, laboratori, formazioni e proiezioni finalizzate a combattere le mafie e la cultura mafiosa nelle diverse forme di violenza di cui sono portatrici: violenza economica, patriarcale e postcoloniale.
Realtà che animeranno la Casa della solidarietà: ANPI Roma; Ass. Salviamo la Costituzione; Auser Lazio; Baobab Experience; Casa internazionale delle Donne; Fai Agisa – antiusura e antiracket; Fondazione Gianni Minà; Gea – scuola di ecologia integrale per giovani ecoattivist*; Observo Onlus; Rete #NoBavaglio; Rete Tutela Roma Sud; Transform! Italia; Teatro della Dodicesima; Unione Inquilini.
L’appuntamento per l’inaugurazione dalla Casa della Solidarietà è per venerdì 31 gennaio alle ore 16:30 presso via degli Equi n°15. In questa occasione sarà presentato il calendario delle attività culturali e degli sportelli che saranno disponibili gratuitamente all’interno dello spazio. Durante l’inaugurazione interverranno: Gaetano Azzariti – Salviamo la Costituzione, Alice Basiglini – Baobab Experience,  Marino Bisso – Rete #NoBavaglio; don Luigi Ciotti – Libera; Giuseppe De Marzo – Rete dei Numeri Pari; Mario De Vergottini – Fai Agisa antiusura e antiracket; Francesca Del Bello – Presidente Municipio II; don Mattia Ferrari – Mediterranea saving humans; Roberto Gualtieri – Sindaco di Roma; Loredana Macchietti – Fondazione Gianni Minà; Silvia Paoluzzi – Unione Inquilini; Marina Pierlorenzi – Anpi Roma; Carla Rodotà – moglie di Stefano Rodotà; Elisa Sermarini – Scuola Gea; Tobia Zevi – Assessore al Patrimonio e alle Politiche Abitative.


Per informazioni: info@numeripari.org

www.numeripari.org

3473935956


02 febbraio 2025

2 febbraio 1943: vittoria dell'Armata Rossa a Stalingrado




Con la resa delle ultime sacche di resistenza tedesche nella zona delle fabbriche Trattori, "Barricate" e "Ottobre Rosso" giunge al termine l'Operazione Anello, l'offensiva finale sferrata dall'Armata Rossa contro la 6ª Armata tedesca intrappolata dal 23 novembre nella "kessel" di Stalingrado. Nei sette mesi in cui infuriò la battaglia l'Unione Sovietica pagò un pesantissimo tributo di sangue, il cui ammontare si attesta a circa 478.000 tra morti e dispersi e 650.000 feriti, mentre le forze dell'Asse videro completamente distrutte quasi cinquanta divisioni con un numero di morti, feriti, dispersi e prigionieri difficilmente quantificabile. Con la vittoria di Stalingrado le sorti della guerra volsero a favore degli Alleati e prese avvio la riscossa dell'Unione Sovietica sulle potenze dell'Asse, destinata a concludersi a Berlino nell'aprile del 1945.

Per approfondire, su Patria Indipendente lo scritto dello storico Francesco Soverina:

Come l’acciaio resiste la città

https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/storia/stalingrado-come-lacciaio-resiste-la-citta/


2 febbraio 1944: vengono fucilati 11 partigiani del Movimento Comunista d'Italia (Bandiera Rossa)

 Il 2 febbraio 1944, a Forte Bravetta, furono fucilati undici partigiani appartenenti al Movimento Comunista d’Italia. L’esecuzione fu affidata dal Comando tedesco a un plotone di militi della Polizia Africa italiana (PAI).
Romolo Iacopini, Enzio Malatesta, Filiberto Zolito, Bitler Branko, Gino Rossi, Ettore Arena, Quirino Sbardella, Augusto Paroli, Benvenuto Badiali,Carlo Merli, Ottavio Cirulli i loro nomi.
Il Mcd’I, noto come Bandiera Rossa, dal nome del periodico che diffondevano, fin dal 1941 fu una delle formazioni più attive della Resistenza romana e dimostrò una consistenza organizzativa e una capacità di azione militare almeno pari a quella dello stesso PCI, anche se risultò più permeabile a spie e informatori dei nazifascisti. Ufficialmente, nei nove mesi di occupazione, ebbe 186 morti, 137 arrestati e deportati e 1183 combattenti riconosciuti.

Nel mese di dicembre 1943 Bandiera Rossa si era resa protagonista di un’iniziativa clamorosa: avevano platealmente diffuso volantini in vari cinema e teatri di Roma che denunciavano i delitti commessi dalla banda Bardi/Pollastrini da poco sciolta dalle autorità tedesche.

Davanti al cinema Principe furono arrestati Romolo Iacopini, Augusto Paroli, Ricciotti de Lellis e Amerigo Onofri. Guerrino Sbardella riuscì al momento a fuggire ma venne arrestato dalle SS la sera stessa nella sua abitazione; il 9 fu arrestato Ettore Arena.

L’11 dicembre furono arrestati in casa di Enzio Malatesta, dove stanno meditando un attentato contro automezzi tedeschi a Capannelle, lo stesso Malatesta, Carlo Merli, Ottavio Cirulli e Gino Rossi e, nei giorni successivi, Rolando Paolorossi e Filiberto Zolito. Successivamente furono catturati dalle SS Branko Bitler, Benvenuto Badiali e Herta Katerina Hebering.

Il 2 febbraio 1944 vengono fucilati a Forte Bravetta.

Brevi biografie dei partigiani fucilati, in ordine alfabetico:


Ettore Arena - Nato a Catanzaro il 17 gennaio 1923, morto a Roma il 2 febbraio 1944, tornitore, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Giovanissimo si trasferisce in Germania per lavoro ma viene espulso. Nel 1942 è internato a Pisticci. In servizio come allievo elettricista nella Marina militare, si trovava a Venezia al momento dell'armistizio. Sfuggito alla cattura da parte dei tedeschi, riuscì fortunosamente a giungere a Roma, dove risiedevano i suoi famigliari. Nella capitale, prese parte alla resistenza armata militando, sin dall'ottobre 1943, nelle file del movimento "Bandiera Rossa" diventando membro del Comitato Romano della formazione e intimo collaboratore di Romolo Iacopini. In particolare è incaricato di custodire delle armi, che nasconde in un punto del greto del Tevere. Ettore Arena al momento dell’arresto nel dicembre 1943, si trova al caffè Picarozzi in piazza Esedra, assieme ad alti tre compagni con i quali discute sulla scelta della persona che dovrà sostituire Iacopini che è stato arrestato. Un mese dopo fu processato da un tribunale di guerra tedesco. Condannato a morte con altri coimputati, il giovane fu fucilato con loro a Forte Bravetta.

 

Ettore Arena

Branko Bitler, 38 anni, sposato, del Comitato esecutivo di Bandiera Rossa, è un impresario teatrale di origine croata. Ospita nel proprio appartamento vari prigionieri inglesi, si occupa dei contatti con gli alleati e fa parte del Comando militare per le bande esterne. Durante il processo che lo vede imputato, grida ai giudici che combatte assieme al popolo italiano per gli stessi ideali per i quali ha combattuto nel proprio paese.

 

Ottavio Cirulli 37 anni, calzolaio, di Foggia durante il fascismo è costretto all’esilio in Russia, per non essere confinato. Dopo un breve periodo torna però a Roma ed entra in Bandiera Rossa già subito dopo il 25 luglio.


Ottavio Cirulli


 

Romolo Iacopini - Operaio specializzato, di 45 anni. Nato a Roma il 9 febbraio 1898 da Nazzareno e da Maria Rischione. Fin da ragazzo aveva coltivato la passione della metallurgia, specializzandosi in caldaie a vapore e motori a scoppio. Combatté nella prima guerra mondiale e fu ferito in battaglia. Alla fine del conflitto si specializzò in apparecchi di precisione e fu assunto alla Scalera Film di Cinecittà. Comunista, dopo l'occupazione tedesca della capitale diventò capo di Bandiera Rossa nella V zona (quartiere Trionfale). Insieme ad altri esponenti socialisti e comunisti, organizzò un gruppo di alcune centinaia di partigiani, nascondendo prigionieri inglesi, compiendo colpi di mano contro convogli tedeschi (ad es. fa saltare alla stazione del Littorio un vagone carico di armi), sottraendo armi e munizioni ai nazifascisti, diffondendo stampa clandestina. Il suo coraggio e il suo spirito di sacrificio gli fecero guadagnare l'appellativo di "Comandante di Trionfale". Pochi giorni prima dell’arresto, fu avvertito della presenza di delatori all'interno del suo gruppo, e in particolare di un tale Biagio Roddi. Il 6 dicembre del '43, quando fu organizzata una distribuzione "generale" di volantini in tutti i cinema romani, le SS andarono a cercarlo a casa, in via Leone IV, guidate proprio da Roddi. Iacopini, accortosi del pericolo, avvertì i compagni che si trovavano nel vicino Cinema Principe, salvando loro la vita, ma fu arrestato insieme ad Augusto Latini. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, vi rimase per oltre un mese, subendo 24 interrogatori e la tortura. Trasferito a Regina Coeli, il 28 gennaio fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco e condannato a morte. Fu fucilato il 2 febbraio del ‘44 a Forte Bravetta insieme a Ettore Arena, Enzio Malatesta, Carlo Merli, Gino Rossi, Guerrino Sbardella e altri cinque partigiani.


Romolo Iacopini


 

Enzio Malatesta - Nato ad Apuania (Massa Carrara) il 22 ottobre 1914, fucilato a Roma il 2 febbraio 1944, giornalista, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.

Figlio di Alberto Malatesta, ex deputato socialista di Novara. Prima insegnante al liceo Parini di Milano poi direttore della rivista “Cinema e teatro”, all’inizio del conflitto diventa giornalista e redattore capo del “Giornale d’Italia”. Già dal 1942 Malatesta tenta di organizzare, sull’esempio jugoslavo, bande partigiane nella provincia di Roma. La sua casa di piazza Cairoli è un punto d’incontro per tutti gli antifascisti. Durante i “45 giorni” e poi dopo l’8 settembre, avvicina ufficiali dell’esercito rimasti sbandati e intenzionati a combattere. Nei primi di ottobre entra a far parte del Comitato Esecutivo di Bandiera Rossa.

Ha il compito di organizzare e mantenere in contatto le cosiddette Bande Esterne che agiscono nelle zone settentrionali di Roma e nel Lazio e di aiutare i prigionieri inglesi evasi: la sua attività costituisce un anello importante nei rapporti tra il movimento e parte del Cln, in particolare i socialisti.

Catturato dalle SS tedesche l'11 dicembre 1943 ed accusato di aver organizzato formazioni armate, si assunse coraggiosamente ogni responsabilità, scagionando i compagni. Processato, fu condannato a morte e portato di fronte al plotone di esecuzione a Forte Bravetta.


Enzio Malatesta


 

Carlo Merli - Nato a Milano il 2 gennaio 1913, fucilato a Roma il 2 febbraio 1944, giornalista.

Aderente al "Movimento Comunista d'Italia-Bandiera Rossa", nei primi di ottobre diviene componente del Comitato esecutivo e del Comando militare per le bande esterne. Merli fu arrestato dai tedeschi a Roma l'11 dicembre 1943. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, il giornalista fu poi condotto davanti a un tribunale nazista che lo condannò a morte per "partecipazione a banda armata". Merli fu fucilato a Forte Bravetta insieme al suo amico Enzio Malatesta.

 

Augusto Paroli era un operaio dei Monopoli di Stato e sin dal Settembre del 1943, oltre a cooperare con i Compagni di Valle Aurelia, affiancò Romolo Inchini nella lotta antifascista. Augusto Paroli coordina il lavoro delle staffette e custodisce un deposito d’armi. Il 6 Dicembre, dopo aver lanciato dei manifestini antifascisti nei cinema Imperiale, Bernini e Barberini, fu arrestato su segnalazione di una spia. Morì a Forte Bravetta, con altri dieci Compagni di Bandiera Rossa, il 2 febbraio 1944.

 

Gino Rossi, “Bixio” - medaglia d’oro al Valor Militare. Architetto, sposato, tenente colonnello dell’esercito, si unisce al Mcd’I, assieme ai soldati che riesce a trattenere dallo sbandamento dell’8 settembre e che organizza sul Monte Circeo. Fornisce all’esercito anglo-americano un piano operativo per l’occupazione delle regioni del Lazio e dell’Abruzzo e tenta di organizzare un centro di resistenza a Borgo Vodice, ma senza successo. Entra a far parte del Comitato Esecutivo di Bandiera Rossa. Viene arrestato ad Albano, i primi di novembre, mentre si reca a Roma per incontrarsi con Malatesta.

 

Guerrino Sbardella - Nato a Colonna (Roma) il 4 gennaio 1916, fucilato a Roma il 2 febbraio 1944, tipografo.

Padre di due figli, quando le truppe tedesche occuparono la Capitale, partecipò ad azioni di sabotaggio organizzate dalle bande di "Bandiera Rossa" (di cui era caposettore per la zona di Torpignattara), combatté con i GAP nel quartiere Trionfale e organizzò un deposito d'armi a Villa Certosa. Il 6 dicembre del '43, Sbardella fu fermato dai fascisti mentre lanciava manifestini "sovversivi" dal loggione del cinema "Principe". Riuscì a fuggire, con l'aiuto dei compagni che erano con lui in appoggio, ma giunto a casa, quella stessa notte, fu arrestato dalle SS su segnalazione di alcuni delatori. Rinchiuso nel carcere di via Tasso e seviziato, Sbardella fu poi trasferito a Regina Coeli. Condannato a morte il 28 gennaio del '44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta, insieme ad altri dieci patrioti, tra i quali Ezio Malatesta ed Ettore Arena.

 

Filiberto Zolito - romano, calzolaio di 49 anni, sposato, usa la cantina della sua abitazione per nascondere le armi del Movimento. Al momento dell’arresto, il 15 dicembre 1943, vengono rinvenute nella sua abitazione due rivoltelle, una scorta di munizioni e una bomba a mano.

A via della Lupa è stata eretta una lapide a suo ricordo.





Su Bandiera Rossa:


 

01 febbraio 2025

1 febbraio 1944: arresto di Giorgio Labò e Gianfranco Mattei, gli artificieri dei GAP, a Via Giulia



Giorgio Labò

Gianfranco Mattei



Nei mesi di ottobre e novembre del 1943, la crescita politica e organizzativa dell'organizzazione militare clandestina del PCI romano si concretizzò nella costruzione delle due reti parallele dei GAP centrali, facenti capo rispettivamente a Carlo Salinari e Franco Calamandrei: è in questo contesto che fu scelta l'abitazione di via Giulia, 23A presa in affitto da Gino Mangiavacchi sotto lo pseudonimo di Giorgio Mancinelli, quale deposito di armi delle squadre operanti nel centro di Roma. Addestrato come sabotatore, artificiere e esperto di armamenti presso un centro alleato in Africa del Nord e successivamente sbarcato in territorio occupato, Mangiavacchi collabora alla modifica delle bombe di mortaio Brixia in bombe a mano e alla confezione di ordigni esplosivi assieme al valente chimico Gianfranco Mattei, in precedenza assistente di Giulio Natta e titolare della cattedra di Chimica analitica quantitativa al Politecnico di Milano, e all'architetto Giorgio Labò, già avvezzo all'uso del materiale esplosivo in quanto ex sergente del Genio Minatori. Nell'assidua opera di perfezionamento quantitativo e qualitativo degli esplosivi, Labò e Mattei confezionarono - tra gli altri - l'ordigno con cui Carla Capponi attaccò il 25 gennaio 1944 il posto di ristoro tedesco della Stazione Temini, in via Marsala, infliggendo gravi perdite alle forze occupanti, nel quadro di una generale intensificazione dell'attività delle formazioni armate a seguito dello sbarco alleato di Anzio.
Guidati dal delatore Giovanni Amidei (nome probabilmente falso), il pomeriggio del 1 febbraio 1944 gli agenti della Gestapo fecero irruzione nel laboratorio e trassero in arresto Labò e Mattei, che furono prontamente tradotti a via Tasso. Mattei, timoroso di rivelare sotto tortura i nomi dei propri compagni, si impiccò nella propria cella nella notte tra il 6 e il 7 febbraio; Labò non rivelò nulla e fu fucilato il 7 marzo a Forte Bravetta, sorretto a braccia in quanto incapace di reggersi in piedi a causa delle torture subite.



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