28 dicembre 2017

Il 28 dicembre del 1943 Mario Fiorentini attacca, da solo, il carcere di Regina Coeli

Il 28 dicembre del 1943 Mario Fiorentini attacca, da solo, il carcere di Regina Coeli. 
Il suo racconto tratto dal libro
SETTE MESI DI GUERRIGLIA URBANA, 2015, Odradek edizioni s.r.l.


CAP. V
  
UN CICLISTA A PONTE MAZZINI.
  
1. Attacco al carcere di Regina Coeli

Dopo pochi giorni l'attacco al cinema Barberini del 18 dicembre mi incontrai con Antonello Trombadori che mi disse: guarda che in carcere ci sono Pertini e Saragat, noi vogliamo far sentire a Regina Coeli che fuori ci siamo noi, perciò prepara un'azione. Allora andai a via della Lun­gara e studiai l'azione. Immediatamente mi resi conto delle difficoltà dovute soprattutto ai ponti sul Tevere. Ne parlai con i compagni e decidemmo che a fare l'azione dovevamo essere in sette, tre coppie più un ciclista.
Incontrai di nuovo Antonello dopo qualche giorno per comunicargli che avevo parlato con i miei compagni e che avevamo preparato l'at­tacco. Veramente più che un attacco si trattava di una battaglia. Antonello rimase trasecolato. Lui pensava che noi saremmo andati in alto alle spalle del carcere, nascosti, e avremmo buttato una bombetta. Per cui quando gli spiegai la dinamica dell'azione rimase stupefatto. In quel momento non sapeva bene cosa fare, perché si trovava di fronte a delle persone che avevano superato largamente il suo modo di vedere la guerriglia urbana. Comunque sia noi abbiamo preparato l'azione: Sasà era d'accordo, Franco Di Lernia pure, tutti e sette eravamo d'accordo.
Erano i giorni delle feste natalizie ma a Roma c'era poco da festeggiare. Da mangiare non si trovava più niente se non alla borsa nera a prezzi esorbitanti. Anche il carbone era razionato e nelle case faceva un gran freddo. Inoltre c'era la paura per i rastrellamenti dei tedeschi, per cui gli uomini erano chiusi in casa e uscivano il meno possibile. Roma era diventata un gigantesco nascondiglio per ebrei, militari, renitenti alla leva e partigiani. Quel Natale del ’43 lo ricordo come il più triste della mia vita, ma bisognava reagire alla tristezza e allo sconforto. Attaccare i tedeschi era l'unico modo che avevamo per reagire a quella cappa di piombo che avvolgeva Roma.  Lo dovevamo agli ebrei deportati e a quelli scampati costretti a vivere come topi; lo dovevamo ai carabinieri e alle loro famiglie che vivevano in una disperante incertezza sulla sorte dei loro cari; lo dovevamo al nostro paese calpestato dalla violenza nazifascista. Non c'è dubbio: noi dovevamo essere d'esempio, perché era l'unico modo che avevamo per riscattarci dalla débacle dell'8 settembre. Per cui in quei giorni noi gappisti chiusi nei nostri rifugi pensavamo a come compiere l'azione a Regina Coeli.
Passati alcuni giorni incontrai di nuovo Antonello e gli dissi che avevo ripensato alla dinamica dell'azione. Il mio parere era che non si poteva fare in sette ma che l'avrei fatta da solo, perché era un'azione troppo rischiosa, così nel caso io fossi morto l'organizzazione sarebbe rimasta in piedi e avrebbe continuato la lotta. Al contrario se fossimo caduti tutti e sette, e questo rischio era reale perché si trattava di attaccare una guarnigione di tedeschi, i GAP sarebbero finiti. Questa mia valutazione nasceva dal fatto che noi non sapevamo esattamente quanti eravamo. Non sapevamo che c'era Franco Calamandrei con il suo GAP perché non ci incontravamo mai, non ci vedevamo, e per fortuna nessuno conosceva il nome di Lucia, conoscevano 'Maria' ma non sapevano chi era. Questa segretezza ci ha salvati quando Guglielmo Blasi ha tradito.
Con Antonello non ci fu nessun problema, era d'accordo con la mia decisione di fare l'azione da solo. Era logica e giusta. Antonello diceva sempre che queste azioni erano un salto nel buio. Ma il problema si presentò con Sasà e con Franco Di Lernia, perché loro volevano che l'azione si facesse tutti insieme. E come potevi fermare Sasà, lui voleva stare sempre al mio fianco, non mi avrebbe mai abbandonato. Di Lernia era un ragazzo di 19 anni, robusto, forte, che io tirai fuori dal Liceo e feci entrare nei GAP.
Dopo una accesa discussione decidemmo che l'azione l'avrei fatta da solo la mattina del28 dicembre. Studiammo attentamente le coperture e decidemmo che al di là di Ponte Mazzini si sarebbero appostati Lucia e Franco Di Lernia, mentre su via della Lungara mi avrebbero coperto Carla e Sasà. In un primo tempo pensammo di impiegare nell'azione anche Rinaldo Ricci e Maria Antonietta Macciocchi ma poi non se ne fece nulla. Carla, che aveva il compito di portare lo 'spezzone', lo caricò sulla mia bicicletta e con Sasà andarono via in direzione di Ponte Principe Amedeo di Savoia.
Arrivai di fronte a Regina Coeli. Malgrado fosse inverno sudavo. Ero solo e davanti a me avevo un drappello di tedeschi armati fino ai denti. Lì il Lungotevere è rialzato rispetto a via della Lungara. Scesi dalla bicicletta e dall'alto gettai lo 'spezzone' sul camion dei tedeschi. Salii di nuovo in bicicletta e scappai lungo Ponte Mazzini. I tedeschi dalle finestre del carcere mi spararono contro varie raffiche di mitra. Chinato sul manubrio sentivo le pallottole fischiare tutt'intorno. Pedalavo come un ossesso e arrivai alla fine del ponte a tutta velocità proprio mentre tran­sitava la circolare nera che riuscii a schivare passandogli davanti. Non so come ho fatto, se è stato l'istinto di sopravvivenza o la paura, ma in una frazione di secondo, proprio mentre avevo davanti la carrozza del tram, riuscii a schivarla. Superate le rotaie mi trovai in mezzo ad un mercatino che attraversai a tutta velocità schivando le bancarelle e imboccai via dei Banchi Vecchi. Come previsto dal piano, lì c'erano ad attendermi Lucia e Franco Di Lernia con un impermeabile bianco. Io sarei dovuto entrare in un portoncino, lasciare la bicicletta, mettermi l'impermeabile e togliermi il cappello e gli occhiali neutri. Però passai talmente veloce che nemmeno li vidi e tirai dritto. La paura in quel momento mi aveva fatto perdere l'abituale freddezza: pensavo solo a pedalare il più velocemente possibile.
Attraversai Corso Vittorio Emanuele e arrivai a Sant'Agostino dove c'era la libreria antiquaria di Fernando Bertoni. Fernando per un certo periodo è stato comandante della Quarta Zona in sostituzione di Mario Leporatti che andò a combattere nel viterbese; anche Gastone Manacorda svolse questo ruolo. Arrivai nella libreria che si trovava proprio davanti alla chiesa. Il locale all'interno aveva una botola dove noi nascondemmo alcuni dei moschetti di Carboni che in seguito distribuimmo ai partigiani. Entrai senza dire una parola. Ero cadaverico. Fernando naturalmente capì la situazione, prese la bicicletta e la nascose nella botola. Mi sedetti sempre in silenzio. Fernando mi prese un bicchiere d'acqua. Lo bevvi e uscii. Lui in un suo libro scriverà che io ero bianco come un lenzuolo.
Uscito dalla libreria mi recai da Delia, la sorella di Lucia, che faceva la commessa in piazza di Spagna. Successivamente Delia mi disse che Carla e Sasà erano andati piangendo da lei per avere mie notizie, erano molto preoccupati perché dopo che avevo attaccato i tedeschi loro sentirono gli spari, e non vedendo la mia testa lungo Ponte Mazzini perché stavo piegato sulla bicicletta, temettero che fossi stato colpito. Delia gli disse: guardate che Mario è appena andato via.
Questi erano i valori ed i legami che ci tenevano uniti. Sasà per me era come un fratello. Carla e Lucia sono rimaste legate per tutta la vita da una solida amicizia. Sbaglia sia chi pensa che fossimo eroi, sia chi pensa che fossimo violenti bombaroli: la verità è che sapevamo commuoverci e anche piangere, ma la storia ci aveva messo nella condizione di avere una sola scelta, quella di combattere contro la barbarie nazifascista.
L'azione a Regina Coeli i tedeschi non la poterono nascondere. Dopo l'azione della settimana prima al Cinema Barberini il comando tedesco affisse un avviso che vietava l'uso delle biciclette dopo le 19. Perché noi attaccammo la sera alle 23. A Regina Coeli invece attaccammo alle11,50, e allora le vietarono completamente.
Alle14 incontrai Enzo Russo che mi disse: sai la radio ha appena detto che non si può più andare in bicicletta perché è stata fatta un'azione contro i tedeschi. Alle14! Perciò quell'azione ebbe un effetto straordinario.
Adesso un ricercatore, Carlo Costa, ha rintracciato un mattinale della polizia dove si racconta che a me hanno sparato sette colpi di pistola, che avevo un vestito verde, che l'azione è stata fatta alle 12. Quindi era già presente nel mattinale della polizia.


http://www.odradek.it/Schedelibri/settemesidiguerriglia.html

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