12 marzo 2010

Agli iscritti all’A.N.P.I. e ai cittadini di Roma, città medaglia d’oro della Resistenza e della Guerra di Liberazione. Una nota di Massimo Rendina

Quanto accade nel nostro Paese e nel nostro ambito territoriale, dovuto alla protervia e alle offese al senso, anche il più elementare, della democrazia, la nostra partecipazione alla protesta popolare nei confronti del regime a forte e crescente connotazione parafascista, i nostri incontri nei circoli e sezioni per discutere e intraprendere azioni comuni,ci inducono a riflettere sulla Resistenza per trarne indicazioni che sostengano le nostre scelte e diano significato alle  nostre attività e iniziative,
E’ pur vero che dalla Guerra di Liberazione è trascorso abbondantemente il mezzo secolo, ma se è anche vero che la democrazia prese realmente corpo nel mondo dai movimenti antifascisti, antinazisti e antimperalisti (giapponesi) –anche le grandi  nazioni democratiche non erano sino alla Liberazione compiutamente democratiche, gli Stati Uniti  per via della separazione razziale, Francia e Gran Bretagna per via del colonialismo, la stragrande maggioranza delle nazioni sottoposte a regimi autoritari- è necessario rifarsi a quei momenti di esaltazione delle libertà fondamentali che avrebbero dovuto farne custodi e promotrici le Nazioni Unite, specie dopo la fine della Guerra Fredda è l’autodissolvimento dell’ impero sovietico. Analisi che andrebbe ripresa con onestà intellettuale anche dai nostri partiti di Sinistra, ma che noi rimandiamo in altra sede, riandando qui solo alle origini della democrazia in Italia reperibili appunto nell’ Antifascismo e nella Resistenza.
Crediamo che nella Resistenza italiana -indissolubilmente connessa con l’ Antifascismo che qualificò il movimento inizialmente spontaneo- vadano accolti due aspetti , l’ individuale e il collettivo, non sufficientemente approfonditi anche perché la situazione culturale della Resistenza era soggetta, come abbiamo detto più volte, alla reticenza dei partiti preoccupati che il confronto portasse a fratture nel C.L.N. la cui unità politica e militare era  presupposto dell’ efficienza della guerriglia partigiana.


Ora, sebbene con ritardo, appare impellente, proprio in presenza di gravi minacce al sistema democratico da parte della maggioranza al governo, riandare al valore propedeutico della Resistenza per la sua opposizione culturale alla concezione fascista che considerava la persona quale prestito volontario di se stessa allo Stato, sino ad annullarsi come persona: teorizzazione della “mistica fascista” mediante la quale l’uomo avrebbe dovuto essere plasmato dall’ “educazione fascista” mitizzante la figura del duce. Aderire e partecipare alla Resistenza significò pertanto  riconquistarsi la qualità umana dando significato morale al termine  libertà (per i cattolici anche religioso), libertà non solo elemento essenziale politico ma sviluppo dell’ autocoscienza esistenziale partecipativa di un’ azione militare collettiva che richiamava alla solidarietà estrema tra i combattenti come dimostrano i numerosi episodi di sacrificio della vita per consentire agli  altri di salvarsi.
Resistenza e Liberazione assumono quindi il valore morale  che combacia con quello patriottico trascendendo il significato puramente semantico considerando la patria  una società di uomini liberi che hanno compiuto storicamente l’ itinerario dell’ unità nazionale per darsi una comune identità, che resterebbe sterile senza la solidarietà.
I Costituenti hanno interpretato il senso etico della Resistenza, scavando anche tra i sentimenti inespressi ricavandone la metacultura resistenziale, conciliando anche le visioni sociali tra liberali, cattolici, comunisti, socialisti, azionisti che anche alle menti più illuminate apparivano inconciliabili. Una guida irrinunciabile alla convivenza civile, ma non da considerare come un fine raggiunto esaustivo, sul quale adagiare la nostra pigrizia mentale bensì come l’ inizio della ricerca di una nuova cultura atta a superare le remore insite nel sistema di gestione democratica attuale, pretesto demagogico della vantata tempestiva  efficienza decisionale berlusconiana, sia violando la Costituzione sia riducendo il Parlamento alla subalternità di ratificatore di decreti legge.  
Ritornando alla Resistenza, il fatto che un numero esiguo di donne e uomini, partigiani in armi abbia potuto, anche se aiutati dalla stragrande maggioranza della popolazione, ma in condizione di inferiorità opporsi validamente alla potente macchina di guerra nazifascista, dando un contributo notevole alla vittoria alleata e salvando dalla distruzione, nelle giornate insurrezionali, manufatti, fabbriche, centrali elettriche, strutture portuali,  si spiega  con  l’eticità della Resistenza dovuta alla sua condivisione da parte di concezioni  ideologiche tanto differenti, oltre che all’ intelligenza (unificante del corpo militare) dei vertici ciellenisti.  Tale richiamo storico, da approfondire nei nostri circoli e sezioni, ci sembra indispensabile, rapportandolo al presente, sia come collante tra le forze di opposizione sia per indurre tanti cittadini a superare l’indifferenza fatalistica nei confronti della politica, e a rifiutare le mistificazioni  di chi, al potere, lo usa  in modo autoritario e sostanzialmente antisociale. Con un avvertimento: trascurare il patrimonio etico resistenziale porta a sottovalutare, in quanto fonte della nostra  democrazia, l’amoralità pubblica dilagante, i fenomeni di corruzione che denunciano la complicità tra malavita e politica, e non affrontare adeguatamente la sottocultura televisiva che crea falsi modelli sovrapponendo l’evasione dell’ intrattenimento fine a se stesso, o in funzione consumistica, alla stessa realtà in cui il crescere delle ingiustizie sociali e gli obblighi al loro rimedio vengono trascurati per non turbare l’ottimismo che, mediante le falsificazioni sistematiche, serve alla maggioranza al governo per assicurarsi il consenso.

Massimo Rendina


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