04 novembre 2014

ANPInews n.139 - 4/11 novembre 2014

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ARGOMENTI
Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

Esiste ancora l’art. 1 della Costituzione (“l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro")?A leggere i Codici e le leggi si direbbe di sì, perché nessuno l’ha abrogato e non risulta inserito nel progetto di riforme costituzionali, che sta seguendo il suo iter in Parlamento.Nella realtà, invece, si direbbe di no, perché una serie di fatti sembra smentirne l’esistenza. Vediamoli:
 
- A Roma, in una manifestazione legittima di lavoratori di Terni che cercano di opporsi alla chiusura (o ridimensionamento) dello stabilimento della Thyssen, attorno al quale gravita l’economia di una intera città, interviene duramente la Polizia, senza apparente giustificazione (quella addotta dalla Polizia è stata rapidamente smentita), e manganella i lavoratori, in modo tale che almeno tre finiscono all’ospedale;

- La più importante legge sul lavoro di questo periodo (il c.d. Jobs Act) approda alla Camera dopo essere stata approvata al Senato col voto di fiducia.
Ci sono molti rilievi e molte critiche, perfino sul piano della costituzionalità (si tratta di una legge delega, che in realtà è molto generica e affida troppa discrezionalità al Governo, contrariamente al disposto dell’art. 76 della Costituzione), ma anche sul merito, perché da varie parti se ne contesta la idoneità a risolvere il problema principale, cioè quello della creazione di nuovi posti di lavoro. Ma si dichiara, da parte governativa, che la legge è “blindata”, non ci saranno – cioè - modifiche e se continuerà una certa dissidenza, si ricorrerà, anche alla Camera, al voto di fiducia.
Così la discussione sarà stroncata e ancora una volta il Governo imporrà la sua volontà al Parlamento, col “ricatto” del voto di fiducia.
Tutto questo in luogo di ciò che occorrerebbe: una discussione seria e partecipata, un confronto serrato sul modo di uscire da una crisi che attanaglia il mondo del lavoro, provocando disoccupazione, precarietà, perdita di professionalità e di dignità delle persone e delle famiglie.

- Viene annunciato un giro del Presidente del Consiglio in alcune importanti città d’Italia, per illustrare agli industriali (raccogliendone possibilmente il plauso) il Jobs Act. Non ci si accontenta, peraltro, di andare nelle sale della Confindustria o delle Associazioni degli industriali, o in sale da convegno, ma si vuole una diversa scenografia: gli incontri debbono avvenire in una fabbrica. Ma poiché nelle fabbriche ci sono gli operai, a Brescia li si mette in ferie. Così il Presidente potrà parlare indisturbato agli industriali, in una sede che fa simbolicamente notizia. Naturalmente, di un giro nelle fabbriche o nelle sedi delle Organizzazioni sindacali, per confrontarsi con i lavoratori sulla legge in questione, non se ne parla nemmeno.

- Continua l’atteggiamento sprezzante del Governo e del suo Presidente nei confronti dei Sindacati e – in particolare – della CGIL. La volgarissima, sciagurata, battuta di una parlamentare europea, appartenente al più rilevante partito governativo, la dice lunga sul clima, perché di tessere “false” per la CGIL e magari anche per altri sindacati, ne avevano parlato, finora, solo i più virulenti giornali della destra. Come mai da una parlamentare europea può uscire una battuta simile? L’unica spiegazione, per non far torto alla suddetta, sta nel “clima”, che si è creato e si sta creando, contro tutto ciò che sa di sindacato (e soprattutto di CGIL, vista come un “nemico” che merita solo battute e ironia).
 
Dunque la risposta dovrebbe essere negativa: l’art. 1 è misteriosamente scomparso nel nulla; non è stato abrogato, ma tacitamente non sembra più in vigore, almeno nella mente di alcuni. Il che è male, oltretutto perché l’art. 138 ( il famoso 138) dice che la Costituzione si può modificare, ma nelle forme previste e certo non tacitamente. Naturalmente, non accetteremo abrogazioni, né esplicite né tacite; e continueremo a pensare che l’art. 1 è sempre li, ad esprimere quale deve essere il fondamento reale della nostra Repubblica, sulla base del quale bisogna uscire, al più presto possibile, dalla crisi, creando attività produttive e posti di lavoro dignitosi e sicuri per alleviare quella che è - e resta – checché ci dicano gli annunci oltranzisti, una vera e propria emergenza sociale. Su questo ci impegneremo a fondo, perché questo è il nostro dovere e la stessa ragione della nostra esistenza come Associazione che fonda la sua identità sui valori costituzionali.

Sono andato ad Alba, nelle Langhe, a “celebrare” l’anniversario dei “23 giorni di Alba” e il 70° della Liberazione. Ad Alba, come in tutto il Cuneese e in buona parte del Piemonte, si respira ancora aria di Resistenza; esistono tuttora, sulla facciata di alcune case, i buchi dei proiettili sparati dai partigiani, mantenuti a ricordo di una guerra ed una guerriglia duramente combattute; resiste ancora lo spirito della Resistenza, soprattutto in luoghi in cui tutto parla di Beppe Fenoglio, dei suoi racconti realistici e – a tratti – commossi, costantemente contrari ad ogni forma di mitizzazione di un fenomeno vissuto da tanti con passione, ardore e spregiudicatezza giovanile.
 
Ma la parte più bella e importante è stata l’inaugurazione di un monumento, voluto e creato da una scuola. Il monumento è significativo e forte ed è collocato in un luogo di grande passaggio, dove in precedenza c’era una caserma, sostituita oggi da due scuole;
ma si è fatto, giustamente, in modo che ci siano, nei pressi, delle targhe che spiegano, in parole semplici ed efficaci, di che cosa si tratta, qual è il significato dell’opera e a chi va il merito di averla ideata e costruita. Quello che viene chiamato “l’albero della memoria” (un metro e settanta per quasi tre metri e mezzo di cemento armato) è il prodotto di un lungo e appassionato lavoro condotto dalla classe 5A , figurativo, del Liceo Artistico Pinot Gallizio di Alba. Venticinque ragazze e ragazzi hanno dedicato a questo lavoro diversi mesi del loro ultimo anno scolastico, sotto la guida della professoressa Marina Pepino.
 
L’hanno ideato e costruito, in ricordo dei soldati del 23° Fanteria, fucilati dai fascisti nel settembre 1943, ma in realtà in memoria di tutta la Resistenza. Un ricordo di vite spezzate, che diventa simbolo di vita, che contrasta e si oppone alla violenza, di grande impatto visivo, ma che colpisce soprattutto per il fatto che è stato ideato, progettato e realizzato da una scuola, da un gruppo di ragazzi e ragazze e dalla loro preziosa insegnante. Certo, c’è stato qualche aiuto da parte di due Presidi, di un bravo artigiano e del Comune; e c’è stato l’appoggio concreto e non solo morale del Presidente dell’ANPI di Alba, Enzo Demaria e di tutta l’ANPI di Alba, che ha provveduto alle spese necessarie; ma questo tipo di impegno della scuola e di quei giovani è quello che dà alimento alle nostre speranze per il futuro. Vedere quei ragazzi attorno al “loro” monumento, felici di averlo realizzato e di presentarlo ai cittadini entusiasti e commossi, era uno spettacolo che ci rivelava tante cose.
I giovani non sono solo quelli che la stampa ama spesso descrivere in modo negativo: sono persone che si stanno formando, in un contesto complesso che raccoglie i distratti e gli indifferenti, ma anche gli impegnati, quelli che si entusiasmano non solo a parole ed operano per una causa giusta, quelli che - in tante occasioni - fanno del volontariato.
Nel caso specifico, per i ragazzi e le ragazze della scuola, si è trattato di un momento di crescita e di formazione; per tutti noi, è stata ed è un’esperienza altamente positiva, un vero insegnamento, da non dimenticare. Per tutti quelli che passeranno davanti al
monumento e leggeranno le targhe esplicative, sarà un contributo al ricordo ed alla
memoria attiva.
Insomma, tutto questo ci indica una strada, ma ci impone anche un obbligo, a cui non possiamo sottrarci, che si esprime in poche ma chiare parole: meno dissertazioni sulle nuove generazioni, più coinvolgimento dei giovani, più fiducia nelle loro capacità e nella loro possibilità di svilupparsi e divenire veri cittadini.
Riflettiamo su questo, traiamone motivo di comportamento e di azione; e certamente gli orizzonti, oggi troppo oscuri, si rischiareranno.

L’asportazione della cancellata del campo di Dachau, con la famosa scritta (“Arbeit macht frei” – Il lavoro rende liberi) non è che uno dei tanti episodi pressoché quotidiani in cui nostalgici, negazionisti, razzisti, filonazisti sfogano il loro odio inestinguibile nei confronti dei “diversi”. Si tratta, però, in questo caso, anche di un atto simbolico (che ha un precedente: quello di Auschwitz) destinato ad avere anche un notevole impatto mediatico(...)
 
Non importa se si tratta di un atto direttamente nazista o razzista oppure, come si è ipotizzato, di un furto destinato a soddisfare le voglie di qualche “amatore” o di qualche gruppo nostalgico: il fatto è gravissimo ugualmente e ci dimostra che bisogna stare in guardia perché costoro non si arrendono mai ed ad essi bisogna contrapporre con forza i valori umani fondamentali, il diritto alla libertà, alla vita, alla dignità, che in quel campo - come in altri – furono calpestati, ad eterna vergogna di chi ha partecipato allo scempio e di chi – sapendo – ha finto di non vedere o, comunque, ha taciuto.
Dobbiamo non solo vigilare, ma rinforzare la nostra campagna in difesa dei valori fondamentali e dei diritti umani, contro ogni forma di fascismo, di nazismo, di odioso razzismo. Siamo i più forti ed abbiamo con noi la nostra Carta Costituzionale, la Carta di Nizza, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Facciamoli valere, in ogni momento, anche della vita quotidiana, senza mai concedere nulla a chi cerca di seminare odio e raccoglierà, spero, una tempesta che lo distruggerà.

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Ripudia intolleranza, razzismo e antisemitismo.
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