17 dicembre
2016 – Attivo degli iscritti ANPI Provinciale di Roma –
Relazione
introduttiva del Presidente Fabrizio De
Sanctis
Carissime
compagne e carissimi compagni,
iniziamo
questo attivo degli iscritti che abbiamo voluto convocare per confrontarci
pienamente all'interno dell'associazione, per una prima riflessione comune alla
luce dell'esito del referendum costituzionale del 4.12 scorso che ha segnato
una fase importante e forse decisiva della vita politica del paese. Le
conclusioni del dibattito saranno tratte dal presidente nazionale, il compagno
Carlo Smuraglia, che ringraziamo per essere oggi con noi al termine di una lunghissima
campagna referendaria, che ha visto impegnata a fondo l'associazione e che l'ha
visto impegnato - come ha lui stesso dichiarato - con lo stesso impegno di
quand'era partigiano.
Come dicevo
l'associazione è stata impegnata a fondo, conformemente all'orientamento
congressuale appena formatosi, assunto pressoché all'unanimità, per sventare
quello che avevamo definito uno stravolgimento della Costituzione. Il disegno
di riforma costituzionale sonoramente bocciato dal voto, unitamente alla legge
elettorale per la Camera - che è tuttora in vigore sul presupposto della
vittoria del Si -, col miraggio della governabilità, indebolivano la democrazia
parlamentare e con essa l'equilibrio e la divisione tra i poteri dello Stato,
stravolgendo così le istituzioni repubblicane che sono invece di costante
ostacolo ad ogni eventuale avventura dirigista, elitista, plebiscitaria,
autoritaria del potere, quando non anche ovviamente fascista.
La Costituzione
d'altra parte si cambia quando cambia la Storia, quando si ribaltano i canoni e
i presupposti del vivere comune, quando si affermano una diversa forma di Stato
e di governo. Ebbene nonostante di fronte l'avessero voluto forze molto
potenti, poiché tutto il mondo dei potentati finanziari era schierato per la
riforma, la pagina dell'antifascismo, della Resistenza e della Guerra di
Liberazione è ancora bene aperta e non può essere sfogliata all'indietro. Per
la seconda volta in dieci anni il popolo italiano, con una partecipazione ed un
risultato schiacciante che ha sorpreso tutti gli osservatori, ha difeso e
rinnovato il proprio attaccamento alla Costituzione che proclama la Repubblica fondata
sul lavoro e che non permette a nessuno di dirigere da solo l'intera vita
politica ed economica della nazione.
Come
presidente del comitato provinciale di Roma debbo ringraziare tutte le sezioni
e i compagni che si sono spesi generosamente in questi lunghi 9 mesi, in tutta
la provincia, fin dalla raccolta delle firme, nelle piazze e nei posti di
lavoro e di studio, in una campagna difficile, senza risorse e contro la
stragrande maggioranza dei mezzi di informazione, fino alla grande
manifestazione nazionale del Brancaccio. Credo veramente che abbiamo battuto un
colpo per il futuro dell'Anpi, prendendo la giusta decisione di mobilitarci a
difesa della Costituzione e rinnovando così concretamente l'impegno a far
vivere l'associazione nel terzo millennio. Non prendere posizione avrebbe
danneggiato gravemente l'associazione, condannandola ad una memoria retorica ed
autocelebrativa, ad una progressiva marginalizzazione dalla società e ad uno
svuotamento della sua stessa forza.
Sia detto
per inciso che tra le molte cose che ci dice questo voto vi è il ruolo non più
decisivo, o immediatamente decisivo, dei mezzi di comunicazione di massa nella
formazione del convincimento delle grandi masse su un quesito referendario.
La stessa
crisi di egemonia, potremmo chiamarla da altro punto di vista, si è registrata
recentemente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, con i voti sull'Europa e sul
presidente Usa, che hanno stravolto i pronostici disattendendo la pressoché
unanime pressione mediatica. Come se vi fosse un rigetto dei mass media, che
non sono più credibili, che raccontano realtà troppo distanti da quelle
vissute, di vite spesso immerse o sopraffatte da una crisi economica ancora
durissima e priva di prospettive di sbocco.
All'informazione
contraria si sono affiancati sondaggi che si sono rivelati del tutto
inattendibili nel pronosticare e diffondere l'idea di una rimonta del Si e di
un sostanziale pareggio, quando il No nelle urne ha invece staccato di venti
punti il Si.
La campagna
è stata difficile anche sui posti di lavoro, dove non sempre abbiamo avuto la
collaborazione dei responsabili o nelle università, dove addirittura si è
cercato di impedire le nostre iniziative, clamorosamente alla Terza università,
dove era però presente il compagno Ferdinando Imposimato, come si sono presto
accorte le autorità accademiche.
Non possiamo
neanche tacere nell'analizzare la vittoria al Referendum, gli errori dei sostenitori del si, in primo luogo del
Presidente del Consiglio, che ha intrapreso personalmente la campagna
referendaria chiarendo urbi et orbi
che in caso di sconfitta si sarebbe dimesso e avrebbe cessato l'attività
politica. Questo oggettivamente è stato un autogol clamoroso. Nelle slide di
propaganda del Si non figuravano il jobs
act - la buona scuola - i voucher dal tabaccaio - i provvedimenti salvabanche,
ma si può presumere che siano stati ben presenti nei pensieri di tutti dal
momento in cui il governo ha messo in gioco le sue sorti, appendendole al
risultato del referendum. E poco hanno potuto le promesse mirabolanti, dal
ponte sullo stretto di Messina alle fritture del governatore campano, passando per
la guarigione dei malati di cancro. Figure come quelle di Briatore o di Marchionne
poi, quest'ultimo già condannato per violazione della Costituzione, non
potevano ispirare fiducia ad un paese stressato dalla crisi.
Incuranti
delle sorti del governo non abbiamo partecipato a manifestazioni orientate dall'obiettivo
tattico immediato della caduta del governo, siamo stati tuttavia in prima fila
per il volume delle iniziative che abbiamo sviluppato e che abbiamo concorso a
realizzare e per le aspettative di intervento sollecitate dalla società civile.
Questi ultimi 9 mesi sono stati per la gran parte delle nostre sezioni
incessanti, come incessante è la serie di iniziative susseguitesi a Roma e in Provincia,
come dal nord al sud Italia. Abbiamo dato tutto quello che eravamo in
condizioni di dare, andando anche oltre qualche volta, per slancio di generosità
dei militanti.
Nel
riscontrare l'attivismo di questi mesi credo doveroso un nostro pensiero di
gratitudine, che nel congresso non è stato adeguatamente espresso, al mai
sufficientemente compianto e amato presidente comandante Massimo Rendina, come
primo artefice dell'Anpi di Roma come oggi la conosciamo.
Non possiamo
rivolgere il pensiero a lui imputandogli irrispettosamente intenzioni di voto,
ma di certo possiamo presumere che sarebbe stato felice di constatare che l'associazione
è libera e indipendente, catena di trasmissione di nessuno.
Moltissimi
hanno concorso in modo prezioso al risultato finale di questa straordinaria
battaglia, tra i partiti, i sindacati, i movimenti, i comitati del No,
moltissimi cittadini si sono ritrovati a partecipare. Molte iniziative sono
state fatte con l'Arci e con la Cgil, che ringraziamo per averci spesso
accompagnati in questa campagna.
Dobbiamo rilevare
inoltre che anche i sindacati non confederali si sono impegnati con forza nella
campagna referendaria, con importanti cortei e dibattiti. Così come altre
importanti associazioni, di giuristi e di studenti, tra le altre. Notevole la manifestazione
a Roma la domenica prima del voto di migliaia di giovani a Piazza del Popolo.
A fronte di
tale partecipazione ridurre tutto all'antipatia personale per il presidente del
Consiglio, come egli stesso vorrebbe, è del tutto riduttivo, come è riduttivo
che singoli partiti vogliano attribuirsi il risultato, come pure sta avvenendo
da molte parti. Salvini ha dichiarato che la vittoria al referendum, di cui si
assume protagonista, lo porterà alla vittoria politica e quindi alla
possibilità di riscrivere interamente la Costituzione. Altri nel mentre
rivendicavano la vittoria del No chiedevano elezioni immediate con l'Italicum,
tanto vituperato in campagna referendaria. Molti che pure hanno votato nel 2006
le riforme proposte molto similmente da Berlusconi, oggi esultano per lo
scampato pericolo.
Il dibattito
seguito al risultato tende infatti ad oscurare il vero protagonista del
referendum che è il popolo italiano, che
con la propria partecipazione ha sconfitto una riforma ostile proprio alla
partecipazione, fissando il quorum dei votanti al 65% degli aventi diritto -
percentuale altissima per un referendum - di ben 13 punti superiore alla
partecipazione nel 2006 che si fermò al 52%.
Dobbiamo
vedere anzitutto che in questa ondata di partecipazione popolare c'è anche
gente nostra che ha votato si, una parte di pensionati e lavoratori che hanno
votato si per paura delle destre e per la sentita necessità di un cambiamento.
Paure che lo stesso fronte del Si ha avvertito e tentato di cavalcare quando si
è proposto come avversario delle destre e come occasione irripetibile del
cambiamento. A questa parte di persone dobbiamo parlare oggi per un impegno
comune per l'attuazione - finalmente - del dettato costituzionale, in un regime
di giustizia sociale come preteso dai padri costituenti, che rappresenti un
antidoto concreto a tentazioni plebiscitarie o razziste e un'alternativa
credibile ed auspicabile allo stato delle cose.
La grande partecipazione
al voto popolare, il netto rifiuto del quesito referendario - schiacciante,
ripeto, con 20 punti di distacco sul Si, l'ancor più netto rifiuto della
riforma da parte dei giovani con oltre l'80% di no e la libertà espressa dai
condizionamenti mediatici, ci inducono a interrogarci sul loro significato e
suscitano anche qualche fiduciosa speranza nel futuro.
Viene in primo piano tuttavia la composizione
sociale del voto, le
differenze rilevate dagli analisti - plasticamente - tra ricchi e poveri, con
un sud Italia schierato compattamente contro la riforma, con solo 12 province in
tutta Italia per il si, con ondate di No a Napoli, a Bari in Sardegna e in Sicilia.
Con leggere prevalenze del Si a Milano Firenze Bologna. Notevole che nei cento
Comuni con più disoccupati abbia vinto il no, mentre nei cento Comuni con meno disoccupati
abbia vinto il si. Dove la disoccupazione
supera il 15% il no prende più della media, più del 60%. Dove il reddito resta
sotto i 14mila € prevale il no oltre il 60%.
L'incidenza
di questi dati ce li ricorda l'Istat, secondo i cui ultimi dati vi sono sei
milioni di lavoratori poveri, il 30% per cento delle famiglie italiane sulla soglia
e oltre della povertà.
I salari
italiani, tenuto conto del potere di acquisto, sono i più bassi d'Europa.
Dati che ci
parlano di un paese che pare avere necessità di altre riforme, di aumentare i
salari, di finirla con la precarietà del lavoro e con la disoccupazione, di
costruire case, di liberarsi dalle mafie.
Solo i
pensionati premiano il si col 61%, un dato che bisogna approfondire
accuratamente.
Il no
prevale nelle periferie mentre il si prevale, o soccombe meno, solo nei
quartieri benestanti, come ad es. al centro di Roma o a Posillipo.
Notevole il risultato dei giovani sotto i 34 anni, all'81% di no. Gli
studenti col 79%, i laureati in media col 61%, i diplomati oltre la media al
65% e i licenziati alle medie sotto la media al 53% di no, comunque nettamente
maggioranza. L'istruzione non è più sinonimo di ricchezza né di orientamento
del voto.
Roma col no al
59,45% è in media nazionale, tredici municipi sono per il no, in primo
municipio vince il si per un punto percentuale, in secondo per due punti e
mezzo, nel resto dei municipi è una valanga di no. La vittoria più netta è nel
sesto municipio, Torbellamonaca, dove l'affluenza è stata però anche la più
bassa, con oltre il 70% di no. Oltre il 60% di no anche nel quarto, quinto,
decimo, undicesimo e quattordicesimo municipio. Con la provincia, dove si è
andati in generale ancora meglio, la percentuale dei no arriva al 62%. Dovremo
approfondire questi dati per trarne il massimo di indicazioni possibili, ma già
oggi possiamo trarne diverse utili indicazioni per il nostro lavoro.
Più in
generale il nostro lavoro è anche, ed anch'esso fondamentale, nello sviluppo
degli studi sugli anni del Fascismo, della Guerra e della Resistenza,
approfondendone la ricerca dal punto di vista economico, culturale, sociale e
politico, sostenendo gli studi sugli aspetti militari del periodo, sulle
formazioni combattenti e sui reati compiuti dal nemico nazifascista. Dedicando
particolare attenzione alla individuazione biografica e storica dei combattenti
partigiani, in collaborazione con tutte le associazioni similari, a Roma a
partire dal coinvolgimento a pieno
titolo delle associazioni "sorelle" della Casa della Memoria nella
richiesta di medaglia d'Oro per la Resistenza per la città di Roma, accrescendo
l'offerta del Centro Telematico di Storia contemporanea, difendendo e tutelando
la memoria della Resistenza e di chi in essa combatté o per essa diede la vita
e diffondere questa memoria con tutti i mezzi, tradizionali e moderni, tra le
nuove generazioni, nei partiti politici e nelle organizzazioni sindacali,
nell'associazionismo, nelle scuole e nell'università.
Obbedendo al
nostro statuto inoltre continueremo a difendere e tutelare l'integrità ideale e
l'applicazione della Costituzione repubblicana, antifascista, nata dalla
Resistenza. I principi di uguaglianza delle cittadine e dei cittadini, i diritti dei lavoratori, di solidarietà
sociale e di libero sviluppo di ogni presenza umana presente sul territorio
della Repubblica, le libertà di fede e di loro espressione, la libertà di
scelta individuale in campo affettivo e sessuale, la libertà di ricerca
scientifica sono tra gli altri principi che oggi l'evoluzione storica pone
all'ordine del giorno nel nostro paese, tutelati dalla Costituzione, la cui
attuazione ed il cui sviluppo è patrimonio di tutti i cittadini che si
riconoscono in essa.
Sulla strada
dell'attuazione della Costituzione del '48 sta tuttavia il peso del nuovo art.
81, dettato dall'Unione Europea - UE che dopo 25 anni non ha ancora conquistato
la democrazia parlamentare - e che impone alla spesa pubblica il vincolo del
pareggio di bilancio, che non permette cioè allo Stato politiche espansive
della spesa salvo recessione ed eventi eccezionali. Essendo stato approvato nel
2012 da PD e PDL non è stato sottoposto al giudizio popolare, dove è verosimile
immaginare che non avrebbe retto alla verifica del consenso. Anche per questo -
come auspicato dal Congresso Nazionale - è necessario su questo tema riaprire
una pacata ma accurata riflessione, su come l'applicazione di detta norma sia
suscettibile di limitare od impedire la garanzia dei diritti e principi
fondamentali della nostra Costituzione.
Siamo, come
detto, poco o niente interessati alla sorte dei governi, anche quando bocciati
dal voto popolare si ripropongono al paese quasi come niente fosse. Ancor meno
ci occupiamo del destino delle giunte comunali. In questi giorni di crisi a
Roma rileviamo tuttavia che oltre agli arresti clamorosi nel mondo politico,
abbiamo assistito all'arresto di un esponente del "mondo di sopra",
come lo definivano Buzzi e Carminati, di quel mondo cioè che non ha partito, né
di destra né di sinistra né di centro, fatto di imprenditori rapaci che
sfruttano la politica e in definitiva la democrazia per garantire i propri
affari.
Concludendo,
nel paese si apre una nuova stagione di confronto e di dibattito, che vedrà
nella prossima primavera un appuntamento centrale della vita politica nei
referendum sul lavoro. Prima ancora che nel merito dei quesiti è necessario
esprimersi sulla necessità del voto, esaurito l'esame preliminare di Corte
costituzionale e di Cassazione, perché la partecipazione popolare non venga
ancora una volta frustrata da calcolo politico di bottega. Che la necessità di
una nuova legge elettorale non sia leva per impedire ai cittadini di esprimersi
liberamente col proprio voto. Che la nuova legge elettorale sia rispettosa del
voto promuovendo la rappresentanza e la effettiva uguaglianza del voto,
chiudendo l'epoca della democrazia maggioritaria per un'epoca di nuova
partecipazione maggioritaria. Noi ci saremo e faremo la nostra parte.
Roma, 17
dicembre 2016