16 marzo 2018

Ordine del giorno del 15 marzo 2018 del comitato provinciale dell'ANPI di Roma sul prossimo 25 aprile


O.d.g. 15 marzo 2018 dell’A.N.P.I. comitato provinciale di Roma sul prossimo 25 aprile

Per il prossimo 25 aprile, 73° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, il crimine che costò all’umanità 60 milioni di vite, di fronte alle moderne minacce alla pace mondiale, è necessario ricordare che la Lotta di Liberazione ha provocato la maggiore, positiva, “rottura” di tutta l’età moderna della storia italiana, con una strategia ed un indirizzo di fondo che venivano da lontano. La lotta di Liberazione fu un movimento popolare, sostenuto da una grande solidarietà di popolo, coi militari delle tre forze armate che hanno combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti: per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro, con una generosità non sempre conosciuta in altre epoche storiche. Il ricordo di coloro che nella lotta partigiana, nei campi di prigionia, di internamento o di sterminio, si opposero – anche sino al sacrificio della vita – alla dittatura, alla bramosia di conquiste territoriali, a folli ideologie di supremazia della razza, costituisce concreto monito contro ogni tentativo di minare le fondamenta delle libere istituzioni nate dalla Resistenza.

Targa commemorativa a Porta San Paolo

La Resistenza non è patrimonio di questo o quel partito, ma è patrimonio ideale e morale di tutto il popolo italiano. La memoria non è strumento di odio o di vendetta, ma di unità di tutti gli italiani in uno spirito di concordia senza discriminazioni, di tutti coloro che si riconoscono nei valori di pace e di giustizia sociale proclamati dalla Costituzione, di cui cade quest’anno il 70° anniversario dell’entrata in vigore, scritta da quegli stessi uomini e da quelle stesse donne che guidarono il movimento partigiano. Il 25 aprile è quindi anche il momento per una riflessione collettiva e nazionale sulla distanza che separa ancora oggi la nostra società, che affonda le proprie radici in quel passato terribile, da quel disegno collettivo di un ordinamento nuovo ed antitetico al fascismo, al nazismo e all’imperialismo giapponese, improntato a principi di pace tra le nazioni, di libertà dalla dittatura terroristica fascista, di democrazia parlamentare e partecipata, di affermazione della sovranità popolare e dei diritti sociali, la cui conquista e la cui proclamazione distinsero la nuova Repubblica da tutta la storia precedente del nostro paese. Un paese che oggi, pur ancora tenuto insieme dai fondamenti costituzionali, soffre gravemente per la inattuazione dei diritti sociali conquistati dalla Resistenza e dalla Guerra di Liberazione. Pensiamo al lavoro che manca, alle paghe che non bastano, alla insicurezza del lavoro e del posto di lavoro; alle donne ancora oggi discriminate umiliate, offese, uccise da una cultura ed un sistema tuttora largamente maschilista; al razzismo che va nuovamente diffondendo i propri miasmi, fatti di falsi nemici da offrire a una popolazione sempre più impaurita dal futuro; alla concentrazione dei mezzi di informazione e alla crisi di rappresentanza che si esprime nella crisi dei partiti e nella perdurante alta astensione che si registra nelle consultazioni elettorali. Il problema non è solo italiano ma quanto meno continentale, in una Unione Europea che privilegiando la parità dei bilanci all’urgente progresso economico e sociale di gran parte della propria popolazione, vede riemergere dal passato formazioni di estrema destra e a volte dichiaratamente fasciste, presenti pressoché ovunque e non di rado in coalizioni di governo. Una Unione peraltro priva di sistema parlamentare.

Battaglia di Porta S. Paolo del 10 settembre 1943

Nel 2018 cade inoltre l’80° anniversario dell’abominio delle leggi razziali, che vogliamo e dobbiamo ricordare ponendole a monito delle future generazioni, ricordando che il fascismo nacque fin dalle origini nella violenza che si fece istituzione con l’orrore del Tribunale speciale, e che ad esse leggi non si arrivò all’improvviso ma furono preparate, nella legislazione e nella coscienza degli italiani, dalle leggi razziali adottate nelle colonie in Africa, a ricordo del fatto che l’abominio non si produce improvvisamente, ma procede a volte da violazioni che vengono considerate più piccole o più distanti da noi, lasciate correre dai più, ma che portano già in esse tutto il germe della distruzione. Il nostro pensiero va allora alla Libia, dove abbiamo visto realizzare dei veri e propri campi di concentramento e realizzarsi alla luce del sole nuovi mercati di schiavi, in una situazione che la coscienza del nostro paese non può tollerare oltre.
Nel clima di crisi economica che ancora attanaglia gran parte del nostro popolo, al quale gli ancora modesti progressi dei conti nazionali non hanno portato alcun sollievo, ha trovato il suo brodo di coltura un linguaggio violento e razzista che ha raggiunto il suo apice in queste settimane con la strage di Macerata, come con l’omicidio di un immigrato a Firenze scelto “a caso” tra la folla. Vanno rafforzandosi pericolosamente in questo clima e in diversi territori organizzazioni politiche che fanno della violenza e del fascismo la loro bandiera e che senza indugio devono ormai essere sciolte. Ma c’è dell’altro. Non basta chiamare le manifestazioni fasciste col loro nome e agire come le leggi prescrivono, soprattutto ora che questo attivismo ha superato il limite di guardia, non basta confutare la convinzione di taluni prefetti e questori, che rimbalza nell’opinione pubblica che riduce troppo spesso detti fenomeni al frutto di opposti estremismi, quando la violenza fascista ha assunto tutte le caratteristiche destabilizzanti di un tempo che si presume irripetibile, quello dello squadrismo. Occorre chiedersi se gli episodi, che potrebbero moltiplicarsi e dilagare, non facciano parte della strategia politica per rendere ingovernabile il Paese, spingendolo a dotarsi di un sistema “nuovo”, facendo del presidente del Consiglio una sorta di despota, investito di poteri sottratti al Parlamento e al Capo dello Stato. E rifacendosi alla storia troviamo che ritenere il fascismo un fenomeno ricorrente politicamente trascurabile non risponde a verità. Una cosa è affermare che la maggior parte del popolo italiano rifiuta ogni tentazione autoritaria e altra rilevare che dalla Liberazione a oggi le trame fasciste hanno rappresentato nel nostro Paese una costante insidia per le istituzioni democratiche. Pensiamo allo stragismo: banche, treni, stazioni saltate in aria; ai tentativi di golpe, alla P2; ai servizi segreti e ad un’analisi ancora in gran parte da compiere, anche in rapporto a centrali straniere delegate ad impedire con ogni mezzo l’avanzata delle forze popolari in Italia; pensiamo anche al fascismo come mentalità del me ne frego. Intendendo per fascismo non solo quello del ventennio o quello di Salò, ma ogni forma di potere autoritario, liberticida e fortemente condizionante l’autorealizzazione della persona umana. Il fascismo è anche rivelato da atti e comportamenti che non portano marchi di fabbrica. Quali certe forme di razzismo esercitate verso gli emigrati o il disprezzo del Parlamento anche da parte di esponenti politici. 

Gappisti romani dopo la liberazione della città

Paradossalmente la combinazione della mentalità fascista, ovvero autoritaria, con la mentalità più egoistica del liberismo, quella dei trusts finanziari impegnati oggi a fornire anche la classe dirigente politica, con i mezzi di informazione troppo spesso asserviti alla pubblicità e dove domina la politica spettacolo, ove i dibattiti politici assumono maggior rilievo che nei luoghi istituzionali e sono trasformati in intrattenimento, producono un risultato micidiale, suscettibile nel tempo a sostituire il sistema della democrazia parlamentare con una pseudo democrazia retta da un governo elitario, ovvero composto da tecnici e personalità che abbiano avuto successo nella professione e nella vita, valutati per la fortuna accumulata. Si rende allora necessaria una strategia anche istituzionale che sia coerente alla domanda di partecipazione politica che emerge dal Paese, che promuova l’azione fondamentale per l’autonomo e libero sviluppo e per la piena realizzazione di ogni persona umana e che va cercando nuove forme di aggregazione dentro e fuori i canali tradizionali, per dare attuazione e sviluppo proprio a quei principi costituzionali coi quali possano trovare spazio e soddisfazione le istanze di maggiore socializzazione del potere politico generale e di maggiore e reale potere dei lavoratori e di maggiore capacità per le stesse articolazioni elettive dello Stato, dalle Regioni agli Enti locali; perché si sradichi dal paese la piaga della criminalità organizzata. Sarebbe certamente azzardato sostenere che nella Resistenza fosse chiaro in ogni sua prospettiva il disegno politico normativo dell’Italia liberata, ma dagli atti del CLN, dalla memorialistica e dalla storiografia emergono inconfutabili le linee guida, maturate nelle riunioni clandestine ma anche tra i combattenti, per la formazione del nuovo Stato.
A Roma in particolare lavoriamo perché si insista, con un corteo la mattina del 25 aprile dai luoghi simbolo dell’inizio della Resistenza italiana, in un omaggio alla lotta partigiana cittadina, perché venga riconosciuta finalmente, nell’intemperie dell’oggi, il suo valore di primo piano nella Resistenza europea con il conferimento della medaglia d’Oro al Valor Militare alla città di Roma per i fatti della Resistenza.
Per tutti tali motivi il comitato impegna gli organismi dirigenti a lavorare per un 25 aprile incentrato nel riconoscere e riaffermare l’attualità del valore della Liberazione, perché ci si ritrovi largamente per rinnovare la promessa di rispettare i sentimenti e gli impegni che promanano dall’antifascismo e dalla Resistenza e sono proclamati dalla Costituzione, rinnovando, con la necessaria piena attuazione del suo dettato, l’identità nazionale che da quei fatti deriva.

Approvato all'unanimità

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