03 aprile 2012

Rosario Bentivegna


Rosario Bentivegna è morto il 2 aprile.
Con lui se ne va una delle più luminose figure dell’antifascismo di Roma e d’Italia.
Studente in medicina venne arrestato per attività antifascista nel 1941, divenendo poi Comandante dei Gruppi Armati Patriottici (GAP) “Carlo Pisacane” del Pci a Roma fino alla liberazione della capitale nel giugno 1944.
Proseguì il suo impegno antifascista ed internazionalista in Jugoslavia, dove venne inviato come vice-commissario politico delle Brigate Garibaldi in Montenegro.
Insignito della medaglia di bronzo e della medaglia d’argento al Valor Militare dal Presidente del Consiglio De Gasperi, tornò alla vita civile in qualità di medico del lavoro impegnato nella salvaguardia delle condizioni di salute dei lavoratori.
Rosario Bentivegna non ha mai amato essere definito un eroe, ha sempre rifuggito quella retorica celebrativa con la quale a suo giudizio la Resistenza veniva cristallizzata come un monumento “di quelli che poi si dimenticano”. Ha sempre preferito raccontare la Lotta di Liberazione nella sua dimensione umana, soffermandosi sui tormenti, sulle sofferenze, sui drammi interiori e sui dubbi, ma anche sugli entusiasmi giovanili e sulle ingenuità di quelle donne e quegli uomini che, come lui, avevano fatto la scelta dolorosa e carica dell’etica della responsabilità di impugnare le armi nella lotta al fascismo internazionale.
Uomo profondamente colto e dotato di una straordinaria carica di sensibilità lascia in eredità il rigore e la coerenza di una lotta per la libertà, la democrazia e l’uguaglianza che ne ha segnato in modo indelebile il cammino umano e politico.
Nel suo ultimo libro “Senza fare di necessità virtù” aveva rivendicato una volta di più la giustezza della scelta della lotta armata contro il nazifascismo assumendosi in prima persona la responsabilità delle azioni armate contro gli occupanti nazisti ed i collaboratori fascisti. “Io a Via Rasella ci sono stato perché ci volevo stare – ha scritto Bentivegna- ci sono sempre rimasto e ci sono ancora”.
Questo il testamento civile di un uomo che aveva “scelto di essere un comunista e un combattente nel 1938 perché voleva la pace e la giustizia sociale, perché voleva essere libero e vivere nella democrazia”.

Domani mattina 4 aprile alle 10,30 sarà aperta al pubblico la camera ardente allestita presso la "Sala della Pace” della Provincia di Roma.

-Il comunicato dell'Anpi nazionale
-Le dichiarazioni di Rendina, Pacifici, Zingaretti e Nassi
-Il ricordo di Mario Avagliano su "Il Messaggero"
-Intervista a Michela Ponzani su via Rasella

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