29 settembre 2019

4 ottobre 2019: L'agguato. Presentazione del libro



5 settembre 1944. I partigiani della Brigata Buricchi ricevono l’ordine dal CLN di scendere a Prato perché le truppe alleate sono alle porte. Ormai a pochi chilometri dalla città, vengono attaccati dai tedeschi. Il grosso della Brigata riesce a sfuggire all'agguato, ma una trentina di uomini, quasi tutti giovanissimi, vengono catturati e poi giustiziati per impiccagione nel piccolo borgo di Figline. Forse ci fu una soffiata? Una spia vendette il segreto dell’ordine impartito dai capi del CLN o più semplicemente il Comando partigiano non aveva scelto il percorso migliore per la discesa della Brigata su Prato? Alcuni sfollati sono costretti dai tedeschi ad assistere al massacro per lasciare traccia della loro crudeltà. Una storia vera, ricostruita attraverso i pochi scritti lasciati dai testimoni diretti ed indiretti di una delle tante stragi naziste in Toscana.

intervengono:
Valerio Bruni (Vice presidente ANPI provinciale Roma);
Matteo Mazzoni - Direttore Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’età contemporanea;
Ciro Becchimanzi - autore;
con letture di alcuni passi del libro a cura di Roberto Becchimanzi - attore

Ciro Becchimanzi, giornalista pubblicista, nato a San Giorgio a Cremano (Na) nel 1962, vive a Prato da 30 anni, con sua moglie Luciana e le figlie Barbara ed Ilaria, e lavora a Firenze in Consiglio regionale. E’ stato consigliere provinciale a Prato dal 1995 al 2004. Ama la letteratura, il cinema ed il teatro.


26 settembre 2019

8 ottobre 2019: La deportazione dei Carabinieri romani nei lager nazisti


In ricordo di Lucia Ottobrini, scomparsa quattro anni fa

Quattro anni fa, il 26 settembre del 2015, moriva Lucia Ottobrini, Partigiana combattente, tra le figure più rappresentative della Resistenza romana. Decorata con medaglia d’argento al valore militare.


LA PARTIGIANA PIÙ ODIATA DA KAPPLER

Nata a Roma il 2 ottobre del 1924, seconda di nove figli, Lucia Ottobrini è vissuta a Mulhouse in Alsazia fino all’età di 15 anni, città dove i genitori si erano trasferiti quando lei aveva ancora cinque mesi.
I bisnonni materni si erano insediati nella industriale e ricca città alsaziana alla fine dell’Ottocento e lì avevano impiantato una solida attività commerciale. A Mulhouse Lucia è cresciuta a contatto con un ambiente socialmente povero, formato perlopiù da minatori e operai, che le ha consentito di conoscere lo sfruttamento, la miseria, le ingiustizie. Tuttavia, era un ambiente cosmopolita e multietnico, dove convivevano la cultura e la religione ebraica, protestante e cattolica. In un clima di tolleranza religiosa e di solidi legami affettivi, la cattolica Lucia si è fortemente legata all’ambiente ebraico: «La mia migliore compagna di scuola era polacca, e per qualche tempo frequentai un doposcuola ebraico. Un giorno il rabbino mi pose la mano sul capo e mi benedisse. Non ho mai dimenticato quel gesto, da allora ho sempre amato gli ebrei, la loro dolcezza e saggezza» (Partigiani a Roma). Il padre Francesco faceva il carpentiere e la madre, Domenica De Nicola, apparteneva a un’agiata e numerosa famiglia di commercianti, per cui la famiglia Ottobrini conduceva una vita più che dignitosa. Poi con l’occupazione dell’Alsazia da parte dell’esercito tedesco, nove persone della famiglia di origine ebraica vennero prelevate e deportate nei campi di sterminio dove hanno trovato la morte. Auschwitz entrò con violenza nella vita di Lucia lacerando il suo vissuto di adolescente: tutto un mondo di legami affettivi familiari, di amicizie, di studi, crollava improvvisamente e irreparabilmente e nella sua mente rimarrà scolpito il ricordo dei simboli delle SS naziste. La scelta antifascista di Lucia poteva ormai dirsi compiuta e definitiva. La guerra a caccia dell'ebreo oltre ad aver smembrato la famiglia la ridussero in povertà, e i coniugi Ottobrini, con al seguito ben nove figli, decisero nel ’40 di rientrare a Roma dove venne loro assegnata una casa popolare nella borgata di Primavalle, da poco costruita dal regime fascista per dare un alloggio a molti degli sfrattati in seguito agli sventramenti del centro storico. Nella remota borgata romana Lucia conosce la fame e la miseria vere e per aiutare la famiglia si impiega all’Ufficio Valori del Tesoro. Per la famiglia Ottobrini sono anni terribili: ora Lucia, che aveva già sperimentato la ferocia nazista, poteva toccare con mano i risultati delle leggi razziali e della guerra volute dal fascismo.

Improvvisamente uno spiraglio: nel gennaio del ’43 conosce Mario Fiorentini, «una fiammata che non si è mai spenta né attenuata», e finalmente Lucia può entrare in contatto con l’ambiente intellettuale e antifascista romano. Per lei, così giovane e sensibile alle ingiustizie, è l’inizio di un importante impegno politico e culturale. Insieme a Laura Lombardo Radice ottiene il suo primo incarico politico nella raccolta di materiale per i detenuti e, contemporaneamente, insieme a Mario, si dedica al teatro civile con i migliori attori e registi della nuova generazione. Lucia ricorda questi primi mesi del ’43 come un periodo felice: «Quello fu un periodo splendido, Mario e Plinio De Martiis avevano formato una compagnia teatrale che doveva far conoscere gli “autori classici del teatro di prosa al popolo, evitando le rappresentazioni degli autori cosiddetti borghesi”. Ciò doveva avvenire nei cinema di periferia, in modo da raggiungere un pubblico popolare fino ad allora escluso dal teatro. Iniziammo dal cinema Mazzini ma avemmo subito delle difficoltà finanziarie; né il proletariato né il ceto medio corse ai nostri spettacoli. Attori e registi si ridussero la paga e qualcuno rinunciò. Facemmo una sola rappresentazione al Teatro delle Arti. Avevamo progettato che Gassmann saltasse sopra un tavolo e cantasse l’Internazionale in francese. I registi della nostra compagnia erano Luigi Squarzina, Adolfo Celi, Gerardo Guerrieri, Vito Pandolfi, Mario Landi, gli attori erano Gassman, (stupendo per la sua classe, il suo ardore, la sua cultura), Lea Padovani... e tanti altri. Ho dimenticato molti nomi, ma erano tutti giovani, entusiasti ed antifascisti» (Partigiani a Roma)



Braccati dalle SS e dalla banda fascista del tenente Pietro Koch, sono rimasti sempre insieme, mano nella mano. Giovani generosi e pieni di prospettive, innamorati ma costantemente in bilico tra la vita e la morte, hanno accettato la terribile idea di poter morire in uno scontro armato. Roma, dominata da un sentimento di paura che effondeva un cupo grigiore, custodiva come un bene prezioso per l’avvenire e il loro amore e il loro sguardo sorridente e fiducioso. Lucia Ottobrini nel maggio del ’44 operava come partigiana, insieme a Mario Fiorentini, sulla via Tiburtina, nella zona di Tivoli.
La guerriglia dei GAP Centrali, dopo la battaglia di via Rasella, la successiva delazione di Guglielmo Blasi, che fece arrestare quasi al completo la rete dei gappisti di Carlo Salinari e Franco Calamandrei, e la pressione anglo-americana sul fronte di Anzio, era ormai terminata. Così alcuni gappisti vennero inviati dal comando regionale sulle principali vie consolari con l’ordine di attaccare l’esercito tedesco in ritirata verso Nord. Lo scopo di questa diversa dislocazione dei gappisti sul campo di battaglia era quello di formare e guidare nuove formazioni partigiane per cooperare all’avanzata dell’esercito Alleato in direzione di Roma. Abituati a combattere la guerriglia urbana in una città a loro familiare con azioni fulminee e immediata ritirata nei nascondigli situati nei palazzi del centro storico, ora i gappisti combattevano in un territorio a loro sconosciuto in una guerra di montagna a cui non erano stati addestrati.
Costretti a ripararsi in rifugi improvvisati come grotte o casolari abbandonati dai contadini dopo i bombardamenti, con scarsi rifornimenti alimentari, dotati di un armamento leggero non adeguato per attaccare intere colonne di militari tedeschi che si aprivano la strada con i carri armati, i gappisti continuavano comunque la guerra contro i nazifascisti.
Da Castel Madama a Tivoli, spesso Lucia costeggiando la Via Empolitana si recava a piedi a Roma per mantenere i contatti con il comando regionale, o per trasportare delle armi. Chilometri e chilometri attraverso la campagna romana percorsi da sola con pesanti carichi, spesso mitragliata dagli aerei alleati e costretta a ripararsi tra i solchi naturali del terreno o a dover sfuggire terrorizzata ai bombardamenti. Erano per lei momenti di disperante abbandono che superava aggrappandosi all’idea che presto tutto sarebbe finito.
Paure e e fatiche che con il passare degli anni si trasformeranno in incubi: «Ancora oggi durante le sere di maggio, quando il cielo è sereno mi sembra di risentire il rombo dei bombardieri» (Cesare De Simone). Quando partiva in missione, il momento del distacco da Mario era sempre penoso, aggiungeva apprensione alla stanchezza fisica accumulata nei mesi di guerra. Poi l’ansiosa attesa del ritorno, la speranza di riabbracciarsi ancora una volta per continuare una storia d’amore che caparbiamente si opponeva ai simboli di morte delle divise dei nazifascisti, alle distruzioni della guerra, al dolore per il sangue versato da tanti giovani compagni di lotta, a cui si aggiungeva il dolore non meno intenso per la morte procurata ad altri giovani anche se nemici. In una di quelle missioni un giorno Lucia incrociò a distanza una colonna di tedeschi che cantavano «Una volta scoppiai in lacrime quando sentii dei giovanissimi soldati che cantavano un nostalgico “Andiamo a casa, dove staremo bene” nella loro lingua, che io parlavo e capivo. Era un inno che avevo sentito cantare in Alsazia» (Partigiani a Roma). Quel canto in tedesco le risvegliò improvvisamente un’antica nostalgia per la Francia solo momentaneamente assopita dalla tensione e dalla stanchezza.
In Alsazia aveva lasciato i suoi gioiosi ricordi di bambina e adolescente, gli amici, gli ebrei che l’avevano educata alla tolleranza, i minatori piegati dalla stanchezza che morivano per un salario di fame quando non si suicidavano per la disperazione. Quel canto le risvegliò la pietas che aveva dovuto allontanare da sé con violenza durante i mesi di guerra. Una parentesi, ma pur sempre lunga per una ragazza animata da un forte cristianesimo, in cui le era stato impossibile portare con sé il Vangelo mentre impugnava la pistola. Una sorta di sdoppiamento della personalità doloroso quanto necessario, vissuto al tempo stesso come una violenta costrizione e come una liberazione, che turberà non poco i pensieri di Lucia negli anni a venire. Di quei drammatici momenti in cui doveva dimenticare il suo Gesù rimane la lapidaria riflessione di Lucia stessa: «Durante la resistenza pensavo: è come se trasgredissi, mi vergognavo di rivolgermi a Lui. È stato un periodo diverso. Se ci ripenso dico, ma che stranezza, ma ero proprio io questa?» (Alessandro Portelli). E ancora ricorda lo sdoppiamento vissuto in una intervista rilasciata a Cesare De Simone: «Una volta, insieme a Mario, Sasà e Carla andiamo a fare un’azione in via Veneto. Era inverno. Verso le sette di sera. Pioveva. Il nostro obiettivo era un ufficiale nazista. Camminava per la strada da solo scendendo verso piazza Barberini. Era bello, elegante nella sua divisa di pelle nera. Avanzava felice e baldanzoso con una borsa in mano. Forse era appena arrivato a Roma ed era contento. Ci avviciniamo armati di pistola. Tutti e quattro. Per primi premiamo il grilletto io e Mario. Le nostre armi, succedeva spesso, non funzionano. Intervengono Sasà e Carla. Sparano. Il nazista, ferito a morte, si mette a urlare. Tutte le finestre si aprono. Poi i battenti si richiudono in fretta mentre noi ci mischiavamo tra la gente. Se ci ripenso risento ancora le parole di quell’uomo che chiedeva aiuto, disperato. Una cosa tremenda. Signore benedetto! Con gli anni me lo sono chiesta tante volte. Ma ero io quella che sparava a sangue freddo? Che lasciava che un uomo, anche se un nemico, un tedesco, morisse per la strada sotto la pioggia? Spesso mi sento come se la Lucia di quegli anni fosse stata un’altra. E invece no, quella ero io. E il coraggio per fare certe cose si doveva avere per forza». In uno di quei viaggi, Lucia arrivò a Roma più provata del solito e con i piedi sanguinanti. Antonello Trombadori, fondatore e comandante dei GAP, prese un catino d’acqua, si inginocchiò, le lavò i piedi e le medicò le ferite.
Come in un dipinto del Caravaggio, quei corpi segnati dalla sofferenza trovarono un momento di sollievo in un silenzio spirituale che ricomponeva lo strazio dei nove tragici mesi dell’occupazione nazista. Il dolore per le morti subite e provocate veniva lavato e curato mentre su Roma sorgeva nuovamente il sole.
Il 5 giugno ’44 l’esercito tedesco lasciava Roma e al suo seguito se ne andavano verso Nord anche le bande di fascisti che avevano insanguinato la città.
Di nuovo Mario poteva aprire su Roma il suo sorriso e Lucia con i suoi dolci occhi neri riabbracciare la vita.

http://anpi.it/media/uploads/patria/2013/profilo_ottobrini_Sestili_feb_2013.pdf
altri articoli e interviste:

23 settembre 2019

L'ANPI nazionale sulla discutibilissima risoluzione del Parlamento Europeo che equipara nazismo e comunismo

"Esprimiamo preoccupazione per la risoluzione del Parlamento Europeo che equipara nazifascismo e comunismo"

22 Settembre 2019

https://www.anpi.it/articoli/2244/esprimiamo-preoccupazione-per-la-risoluzione-del-parlamento-europeo-che-equipara-nazifascismo-e-comunismo

28 settembre 2019: Diamo un calcio al razzismo - Torneo di calcio terza edizione - Sezione ANPI Trullo Magliana




DIAMO UN CALCIO AL RAZZISMO
DIRITTI, SOLIDARIETA’, INTEGRAZIONE
Torneo di calcio - terza edizione


La sezione ANPI Trullo-Magliana “Franco Bartolini” con il patrocinio della Regione Lazio scende in campo. Fatelo anche voi

Sabato 28 settembre dalle ore 16.00 si terrà la terza edizione di un torneo amatoriale di calcio a 5 in cui mettere al centro i valori della solidarietà, dell’accoglienza, dell’integrazione e per chiedere, come sancito dalla nostra costituzione, il riconoscimento dei diritti inviolabili per tutti gli esseri umani.

Consapevoli dell’importanza e della passione per lo sport che tutti noi abbiamo fin da piccoli, siamo certi che la pratica sportiva può assumere un valore sociale e di coscienza civile facilitando l’interazione tra mondi, ceti sociali, culture, lingue e religioni differenti. Per questo motivo vi invitiamo a scendere in campo in nome dell’integrazione, della legalità, dell’antirazzismo e dei diritti per tutti, in nome di uno sport quale strumento di coesione e di coinvolgimento.

Il torneo si svolgerà presso il Circolo Sportivo Il Faro in via Arcangelo Ilvento snc (traversa di via Virginia Agnelli) a Portuense che promuove e sostiene l'attività giovanile con grande convinzione ed impegno, e vedrà la partecipazione delle seguenti squadre:

Pineto United, neonata squadra di calcio popolare di Roma Nord-Ovest. I ragazzi della squadra, richiedenti asilo e giovani del quartiere, insieme al “Comitato Valle dell’Inferno” e altre realtà del territorio hanno iniziato a sfalciare l'ex campo del borghetto dei fornaciai. E' in quel momento che nasce il nome della squadra, dalla consapevolezza che l'unione tra tutte le realtà territoriali che hanno a cuore le sorti del Pineto possa e debba essere l'unica strada percorribile per preservare questa fetta di città. Il ripristino del campo di calcio di Valle Aurelia rappresenta, oggi, il “progetto comune”: restituire, dal basso, uno spazio abbandonato al quartiere e avere a disposizione un vero e proprio campo di calcio popolare.

Lokomotiv Trullo, squadra amatoriale di calcio popolare, nata circa 15 anni fa da un gruppo di ragazzi del Trullo che frequentavano il centro sociale del quartiere. Una squadra che fa dello sport un modo per combattere disuguaglianze ed esclusioni, dove si corre e si fatica solo per il piacere di farlo, diventando testimonial di un calcio bello e fatto di tanta passione.

Demos, un'associazione di promozione sociale con l'obiettivo principale di valorizzare la pratica dello sport come welfare e combattere l'idea dello sport come business, per un accesso libero e gratuito alle strutture sportive, per  un’idea di sport dilettantistico con al centro la cultura del movimento, della partecipazione, della sana competizione, del rispetto dell’avversario e della volontà di combattere contro ogni forma di razzismo e discriminazione. Una squadra di calcio composta da cittadini del mondo! L'amore per il calcio come linguaggio in comune senza frontiere.

CCCP 1987, da oltre trentanni sui campi da gioco e da sempre i principi fondanti sono cultura sportiva, passione, rispetto delle regole, socializzazione, divertimento e radicamento sul territorio.  In un clima amichevole senza tralasciare l'aspetto educativo e formativo. Società che vanta squadre in tutti i settori giovanili e nelle massime categorie maschili e femminili.

Torpedo Roma, nata di recente dall’idea di una squadra di calcio che sia popolare
in una duplice accezione. Antagonista alle dinamiche del calcio moderno trasformato in puro business dove il profitto trascende ed inquina l’aspetto sportivo
dove la passione dei tifosi e di chi gioca diventa spettacolo ad uso e consumo delle pay tv
e dal desiderio di reagire alle dinamiche economiche imposte: perché giocare a pallone anche nel dilettantismo ha costi elevati come iscrivere un bambino ad una scuola calcio o una squadra ad un campionato o anche solo avere uno spazio in cui giocare.

Dinamo Ostia, nasce nel 2015 come squadra popolare di calcio ad 11 che intende portare con se tutto il messaggio che lo sport sano può offrire come la volontà di sentirsi parte di qualcosa che vada oltre il mero individualismo, l'abnegazione per il benessere di gruppo, il rispetto per gli avversari e per ogni individuo, a prescindere dal credo politico, razza o ceto sociale.
Questo è lo sport, un messaggio chiaro e semplice in grado di arrivare immediatamente al cuore delle persone. Un modo per stare insieme, condividere, giocare ed accrescersi.
E' una squadra che non punta al risultato in campo bensì a quello sociale.
Sportivi non lo si è solo durante una partita.


Durante l’iniziativa verrà sottolineato il valore fondamentale dello sport come strumento per sviluppare e diffondere il concetto di solidarietà e per combattere il razzismo.

L’ingresso è libero e gratuito e a seguire (ore 19 circa) Terzo Tempo mangereccio

Il 23 settembre 1943 veniva fucilato dai tedeschi Salvo D'Acquisto

Salvo D'Acquisto



Nato a Napoli nel 1920, fucilato a Palidoro (Roma) il 23 settembre 1943, carabiniere, Medaglia d'Oro al valor militare alla memoria.
http://www.anpi.it/donne-e-uomini/2322/salvo-dacquisto
http://anpi.it/media/uploads/patria/2010/10/35_FILATELIA.pdf

23 settembre 2019: le sezioni ANPI di Ladispoli-Cerveteri e di Fiumicino alle commemorazioni ufficiali di Salvo D'Acquisto

Le sezioni ANPI di Ladispoli-Cerveteri e di Fiumicino parteciperanno insieme alla commemorazione dell’eroico vice brigadiere Salvo D’Acquisto trucidato dai nazisti a Palidoro il 23 settembre 1943.

La cerimonia si svolgerà in due tempi: 
la mattina di lunedi 23 settembre alle ore 12 il Comune di Fiumicino deporrà una corona al monumento a Salvo D’Acquisto nella piazza del Borgo a Palidoro;
alle ore 19, nel luogo dell’eccidio, alla Stele di Torre Perla (via della Torre di Palidoro 193) il
Comune di Fiumicino, in collaborazione con l’IIS Leonardo da Vinci di Maccarese, organizza sul
luogo della fucilazione uno spettacolo teatrale intitolato “La foto del carabiniere, per commemorare
questa figura straordinaria che appartiene alla storia del nostro territorio e del nostro Paese”.

Ufficio Stampa Sezione ANPI Ladispoli.Cerveteri





18 settembre 2019

Ci ha lasciati il giovanissimo partigiano combattente Giuliano Aureli

Il comitato provinciale dell'ANPI di Roma piange la scomparsa del partigiano Giuliano Aureli. Giovanissimo partigiano combattente nell'VIII zona di Roma, a Torpignattara con Nino Franchellucci, si è sempre adoperato instancabilmente e fino all'ultimo respiro per portare la memoria dell'antifascismo e della conquista della libertà ai ragazzi delle scuole: 
"C’è molto da lavorare, soprattutto per rivolgersi ai giovani, e io continuerò a ricordare quale è stato il prezzo da pagare per avere la libertà”

Da poco era stato intervistato nell'ambito del progetto di realizzazione di un primo archivio nazionale delle video-testimonianze delle partigiane e dei partigiani viventi.
Il comitato provinciale dell'ANPI di Roma si stringe alla famiglia e ai compagni della sezione di Velletri della quale era presidente.



Giuliano era nato a Roma il 26 gennaio del 1932 ed era stato un giovanissimo protagonista della Resistenza e della Guerra di Liberazione di Roma; proprio per questo nel 2016 aveva ricevuto, in Campidoglio, insieme ad altre partigiane e partigiani, la Medaglia della Liberazione dal Ministero della Difesa. La sua battaglia per la libertà non finì con il 1945, ma è continuata tutta la vita, non ha mai smesso di lottare per la democrazia, i diritti e contro le disuguaglianze sociali, attraverso il suo impegno politico e sindacale. Negli ultimi anni grande è stato il suo impegno con l’ANPI che lo ha portato ad incontrare migliaia di studentesse e studenti. Giuliano portava nelle scuole la memoria della Resistenza con la grande capacità di attualizzare e di invitare e invogliare all'impegno. Giuliano era un nostro amico, una guida sicura. Per noi è una perdita gravissima. Ci mancherà il suo impegno, le sue parole e il suo affetto. Vogliamo abbracciare tutti i suoi familiari e le compagne e i compagni dell’ANPI di Velletri. Ma un pensiero particolare va alla moglie Adriana, compagna di vita e di lotta a cui resteremo vicini.
Vivrai nei nostri cuori e nelle nostre battaglie Giuliano, che la terra di sia lieve compagno...

(Amalia Perfetti sezione ANPI di Colleferro "La Staffetta Partigiana")

Cerimonia laica domani 18 settembre alle ore 16,00 presso la sala Tersicore del comune di Velletri




Giuliano Aureli alla Liberazione di Roma


articolo sulla medaglia della Liberazione consegnatali nel 2016

articolo della notizia della scomparsa di Giuliano su "Velletri Life"




Intervento di Giuliano Aureli all'attivo degli iscritti dell'ANPI provinciale di Roma dell'8/12/2018




Intervento di Giuliano Aureli all'attivo degli iscritti dell'ANPI provinciale di Roma dell'17/12/2016


18 settembre 2019: l'ultimo saluto a Giuliano: R.i.P. - La terra ti sia lieve - Bella Ciao










09 settembre 2019

8 settembre 2019: le foto del concerto in Campidoglio

Le foto dell'evento "Concerto per l'8 settembre - in ricordo dell'inizio della Resistenza Italiana. Alla memoria di Massimo Rendina".
Campidoglio, sala della Protomoteca.
Interventi di
Fabrizio De Sanctis, presidente dell'ANPI provinciale di Roma;
Davide Conti, storico;
Massimo Pradella, direttore d'orchestra e combattente volontario nell'esercito italiano di Liberazione;
Aldo Pavia, presidente dell'ANED;
Iole Mancini, partigiana dei GAP;
Gianfranco Pagliarulo, vicepresidente dell'ANPI nazionale;

Il concerto:
Soprano: Laura Pugliese;
chitarra: Angelo Colone;
Violini: Leonardo Alessandrini e Leonardo Spinedi;
Viola: Lorenzo Rundo;
Violoncello: Marco Simonacci.


https://photos.app.goo.gl/JAtsRqyncCLBwXZh6





























06 settembre 2019

8 settembre 2019 - Campidoglio, Sala della Protomoteca: Concerto per l'8 Settembre




Interverranno:
Virginia Raggi, Sindaca di Roma;
Davide Conti, storico;
Fabrizio De Sanctis, presidente dell'ANPI provinciale di Roma;
Gianfranco Pagliarulo, vicepresidente ANPI Nazionale;
Aldo Pavia, presidente ANED di Roma;
Iole Mancini e Massimo Pradella, Partigiani.


Questo concerto si inscrive nelle celebrazioni per il 75° anniversario della liberazione di Roma dal nazifascismo e dall'occupazione tedesca.
L’8 settembre 1943 qui a Roma cominciò la riscossa popolare e nazionale della Resistenza; soldati, cittadini, vecchi militanti antifascisti e giovani patrioti si batterono insieme per difendere Roma dall'invasore tedesco.
Ricordiamo in questo 8 settembre 2019 quell'alleanza di popolo da cui sono poi nate la nostra democrazia e la nostra Costituzione, l’alleanza che sta alla base della nostra vicenda nazionale; ricordiamo e onoriamo la scelta di quanti, combattendo, soccorrendo le vittime, nascondendo i ricercati, supportando in mille modi i resistenti, permisero che quella esperienza spontanea e patriottica diventasse poi la più vigorosa e duratura Resistenza dell’Europa occidentale contro l’oppressione del fascismo e del nazismo.
Questo concerto è dedicato a Massimo Rendina, un grande comandante partigiano, un onestissimo giornalista, un testimone e un maestro di democrazia
Massimo Rendina era nato a Venezia nel 1920: ancora studente, cattolico, lontano dalla retorica fascista comincia a collaborare con giornali di Bologna, dove studiava. Dopo una tragica esperienza come tenente nella Campagna di Russia, tornato in Italia assiste alla breve stagione di “quasi-libertà” tra la caduta del fascismo (25/07/1943) e armistizio 88/09/1943) e, al Resto del Carlino conobbe Enzo Biagi e collaborò con lui. Quando i tedeschi invasero l’Italia e misero in piedi un governo fascista di collaborazionisti, fece la sua coraggiosa scelta: nella prima riunione della redazione del Resto del Carlino si alzò, dichiarò la propria intenzione di non collaborare con fascisti e tedeschi e prese la strada della montagna, raggiungendo i partigiani.
Cattolico, entrò nelle Brigate Garibaldi, diventando Capo di Stato Maggiore della 1 Divisione Garibaldi, quella che, insieme agli operai e ai cittadini torinesi, liberò Torino il 27 aprile 1945.
Dopo la guerra fu un importante giornalista prima a l’Unità e poi alla RAI: diresse il primo Telegiornale (1957). Fu anche maestro e insegnante di giornalismo all'Università di Tor Vergata.
Ma lo ricordiamo soprattutto per la sua infaticabile opera di testimone e di coscienza democratica a Roma, sua città di adozione. È alla sua tenacia e alla sua intelligenza che si deve l’istituzione della Casa della Memoria e della Storia (2006), centro di studio, analisi e impegno sui temi dell’antifascismo, della libertà, dello studio appassionato e sincero del nostro recente passato.
Rendina, che abbiamo conosciuto e amato come Il comandante Max, è stato poi il Presidente del Comitato romano dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, nella fase in cui i vecchi partigiani come lui si sono preparati a lasciare a più giovani forze il compito di proseguire, nella democrazia conquistata anche grazie a loro,  la lotta per l’uguaglianza, la libertà, la solidarietà che li aveva animati in quegli anni difficilissimi tra il 1943 e il 1944.
Massimo Rendina è l’autore del testo della Ballata partigiana che chiude questo concerto, nella musica del Maestro Alessandro Annunziata.

Programma e note di sala:


Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685-Lipsia 1750)

Preludio dalla Suite BWV997

Arvo Part (Paide-Estonia 1935)

Fratres

Mario Castelnuovo Tedesco (Firenze 1895-Beverly Hills 1968)

Ballata dall’esilio

Alessandro Annunziata (Roma 1968)

Ballata Partigiana per soprano archi e chitarra


Il concerto si apre con un Preludio di J.S.Bach tratto dalla Suite  BWV997 per clavicembalo in do minore che ascoltiamo nella versione in la minore per chitarra. L'opera di Bach trova in questa versione chitarristica, un'atmosfera solenne e malinconica che si svolge nella penombra di un'assorta meditazione.
L'atteggiamento meditativo si ritrova a pieno nel successivo brano del compositore Arvo Part che richiama ad un anelito di semplicità e purezza. Il compositore estone, dopo iniziali esperienze dodecafoniche, giunge ad elaborare un personale linguaggio musicale che lui stesso definisce tintinnabulum (imitazione del suono delle campane). È una composizione in tre parti in cui si alternano una serie ipnotizzante di variazioni di un tema di sei battute.
Segue una breve composizione di Mario Castelnuovo Tedesco sul testo della celebre “Ballata dall'esilio” del poeta Guido Cavalcanti. Il compositore fiorentino ha lasciato l'Italia nel 1939 all'indomani dell’emanazione delle leggi razziali riparando negli Stati Uniti dove ha continuato a dedicarsi alla composizione di opere in cui è centrale il tema dell'esilio. Questo brano per  voce e chitarra è costruito in una semplice forma liederistica nella quale il compositore riprende il tema dell’allontanamento dall'amata e la propria angoscia di morte presente nella originale lirica del Petrarca utilizzandola come metafora della propria condizione  di lontananza dalla Patria.
Chiude il programma la Ballata Partigiana per soprano, chitarra e archi del compositore romano Alessandro Annunziata. È un brano nel quale il compositore ha voluto rappresentare la spontaneità e la passione di cui è intriso il testo attraverso un linguaggio musicale diretto e semplice. Vi si alternano momenti drammatici e lunghe pause liriche, sognanti, dove il senso del ricordo e della nostalgia prevale su quello drammatico e battagliero. Non c'è una vera melodia nella parte vocale, ma è come se le parole fossero via via scolpite o lasciate librare nell'aria una ad una, colme del loro significato. Il brano prende vita da un testo di Massimo Rendina; partigiano e  comandante nelle brigate Garibaldi,  giornalista di testate giornalistiche quali il Resto del Carlino e l'Unità  e presidente dell'ANPI provinciale di Roma negli ultimi della sua vita.

Ensemble Keplero
Violini, Leonardo Alessandrini e Giuliano Cavaliere
Viola, Lorenzo Rundo
Violoncello, Gabriele Simonacci
Contrabbasso, Paolo Benelli
Chitarra, Angelo Colone
Soprano, Laura Pugliese


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Ripudia intolleranza, razzismo e antisemitismo.
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