01 agosto 2025

1° agosto 1922: le barricate dell'Oltretorrente a Parma

Il primo agosto 1922 gli Arditi del Popolo con a capo Guido Picelli, insieme a lavoratori, sindacalisti e cittadini dei quartieri Oltretorrente e Naviglio, con le armi in pugno sbarrano la strada e inflissero una sonora sconfitta alle squadracce fasciste di Italo Balbo, intenzionate a stroncare lo sciopero indetto il 31 luglio dall'Alleanza del Lavoro. 
Nel ricordo delle barricate di Parma, del coraggio e dell'ardimento dei combattenti antifascisti, ribadiamo oggi il nostro impegno a difesa della democrazia, della libertà e della giustizia sociale. 
"Balbo t'è pasè l'Atlantic mo miga la Pèrma" recitava una scritta sui muri della città. 
E ancora come allora, sull'esempio degli eroi di Parma, fermeremo ogni forma di fascismo. 

31 luglio 2025

L'ANPI provinciale di Roma: due parole su un'entità fascista del VI Municipio

 


Spendiamo due parole sugli atti provocatori da parte di un'entità di fascistucci del VI municipio che si autodefiniscono "azione frontale" e che si richiamano apertamente al fascismo, non solo quello repubblichino, ma proprio quello della prim'ora, e che vedono nel criminale, vile, Benito Mussolini ancora la loro guida per un "rinnovamento" (sic!) della società italiana. E hanno come simbolo proprio un bel fascio, proprio per evitare ogni malinteso. E fra le varie attività che svolgono, fanno "passeggiate" serali nel quartiere per spaventare e minacciare presunti spacciatori, violentatori, criminali assortiti e "parassiti" di vario genere, i quali sapendo che per le strade si aggirano tali indomiti cavalieri, dormono ormai sonni agitati.

Altre attività che compiono sono quelle di attaccare e infangare la memoria dei partigiani e delle partigiane accusandoli dei peggiori crimini mai commessi dall'umanità (a parte quelli perpetrati dai fascisti, dal primo dopoguerra fino ai giorni nostri, in Italia, in Africa, Albania, Jugoslavia, Grecia, Unione Sovietica, ecc. e i vari attentati, stragi, tentativi di golpe, omicidi, pestaggi ecc. ecc. ecc. compiuti nel dopoguerra per vari decenni). Proiettano cioè sui partigiani le malefatte storiche dei fascisti. Attaccano poi striscioni inneggiando al duce e pubblicano tranquillamente le foto di queste gesta sui canali e pagine social, blog e quant'altro che fanno direttamente loro riferimento, con tanto di indirizzo fisico del proprio covo.

Ora sarebbe gioco facile deridere cotanta crassa ignoranza storica: idolatrare un personaggio come Mussolini che NON FECE MAI alcuna marcia su Roma perché rimasto a Milano con un biglietto per la Svizzera, pronto alla fuga se le cose si fossero messe male. E che non si fece problema alcuno nell'abbandonare al proprio destino i pochi fedelissimi rimastigli, per tentare, un ventennio dopo, nuovamente la fuga travestito da occupante tedesco. Ecc. ecc. ecc. Se frequentassero librerie e biblioteche troverebbero migliaia di volumi storici da studiare.

Sta di fatto però, che la ricostituzione del partito fascista sotto ogni forma, l'esaltazione e la propaganda delle "idee" fasciste e razziste, l'aggirarsi in gruppo a mo' di ronde costituendo un pericolo per l'ordine pubblico e l'incolumità delle persone (loro stessi in primis), sono reati perseguibili d'ufficio. Siamo certi che le forze dell'ordine conoscono vita morte e miracoli di questi supereroi, e le prove dei vari reati commessi sono comunque visibili a tutti sui loro stessi canali web. Pretendiamo che le Autorità giudiziarie competenti si attivino come previsto dall'ordinamento e che, svolti i debiti accertamenti sulle singole reali responsabilità, agiscano penalmente nei loro confronti.






28 luglio 2025

28 luglio 1943: l'eccidio delle Reggiane

Sono passati appena tre giorni dalla destituzione di Benito Mussolini e dal passaggio del governo al maresciallo Pietro Badoglio quando gli operai di un reparto delle Officine Meccaniche Reggiane di Reggio Emilia decidono di incrociare le braccia e di scendere in piazza per chiedere la fine definitiva della guerra, che Badoglio aveva deciso di proseguire al fianco dei tedeschi già massicciamente presenti sul suolo italiano. In poche ore, la fiamma della protesta divampa tra i vari reparti del vasto stabilimento industriale e prende corpo in un vasto corteo di cinquemila persone, composto in larghissima maggioranza da operai, tecnici ed impiegati, cui su unirono anche numerose donne del popolo.

La gestione dell'ordine pubblico nelle convulse giornate del governo Badoglio è regolata da una circolare emessa dal generale Mario Roatta, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito e fautore di efferati eccidi ai danni della popolazione jugoslava durante e dopo l'occupazione della primavera del 1941. Gli ordini sono inequivocabili: «I reparti [...] procedano in formazione da combattimento e si apra il fuoco a distanza anche con mortai ed artiglierie senza preavvisi di sorta, come procedessero contro truppe nemiche; non è ammesso il tiro in aria, si tiri sempre a colpire come in combattimento […] chiunque compia atti di violenza e di ribellione [...] venga immediatamente passato per le armi». 

Il corteo marcia compatto fuori dai cancelli della fabbrica, ma proprio in quel momento si verificano dei tafferugli con le guardie giurate della proprietà, che intendono riportare gli operai dentro lo stabilimento sotto la minaccia delle armi. Interviene un plotone di bersaglieri in servizio di ordine pubblico presso lo stabilimento, il cui comandante dà l'ordine di sparare. I soldati sparano in aria una raffica di avvertimento e il tenente, furioso, scatena sui manifestanti il fuoco di una mitragliatrice, provocando una strage. 

Rimangono sul selciato nove operai, cui si aggiungono decine e decine di feriti dai proiettili e dalla calca. Nelle stesse ore, a Bari, un analogo intervento di un reparto della milizia contro un corteo di pacifici manifestanti avrebbe ucciso venti persone; in totale, nei giorni del governo Badoglio, 65 manifestanti caddero sotto i colpi dei reparti deputati alla tutela  dell'ordine pubblico.

28 luglio 1943: eccidio di Bari (eccidio di via Nicolò dell'Arca)






A pochi giorni dalla caduta del fascismo, si diffonde nella città di Bari la notizia dell'imminente liberazione dei prigionieri politici. Il 28 luglio, un corteo di circa 200 persone, in maggioranza studenti, raggiunge la sede della federazione fascista in Via Niccolò dell'Arca, presidiata da un folto nugolo di soldati del Regio Esercito, Carabinieri e membri della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, non ancora disarmata e inquadrata nel Regio Esercito al comando del generale Armellini.

Dopo aver intavolato una trattativa per la rimozione dei simboli fascisti, improvvisamente dalle finestre dell'edificio il presidio apre il fuoco contro i manifestanti. In 20 cadranno sotto i colpi dei militari, moltissimi rimarranno feriti e non potranno ricevere i primi soccorsi se non dopo molte ore.

Per approfondire:

https://www.patriaindipendente.it/servizi/la-strage-di-bari-del-28-luglio-1943-il-primo-anniversario-e-la-nascita-della-memoria-unitaria-e-democratica-come-sfida-al-potere/


25 luglio 2025

25 luglio 1943: la caduta del fascismo

Nel pomeriggio del 24 luglio 1943, in una Roma ancora scossa dalla scia di distruzione del devastante bombardamento del 19 luglio e a poche settimane dallo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, è convocato a Palazzo Venezia, dopo un intervallo di ben quattro anni, il Gran consiglio del fascismo, l'organo supremo del regime. Durante la riunione, Dino Grandi, Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, propone all'ordine del giorno la sfiducia verso l'operato di Mussolini e l'attribuzione al Gran Consiglio, al Re e al Parlamento delle funzioni che il duce aveva avocato a sé: approvato dalla maggioranza dei presenti a tarda notte dopo lunghe discussioni, il provvedimento diviene immediatamente operativo e costringe il duce alle dimissioni, atto successivamente formalizzato al cospetto del re il giorno successivo, a Villa Savoia. Mussolini è posto in stato d'arresto ed è trasferito come prigioniero nel rifugio di Campo Imperatore, in Abruzzo, mentre il maresciallo Badoglio è nominato capo del governo. Il regime fascista termina così di esistere, ventuno anni dopo la marcia su Roma. 

All'annuncio della notizia, diffusa dalla radio quella sera stessa alle 22:45, in tutta Italia la popolazione si abbandona ai festeggiamenti, credendo che con la caduta del fascismo sia giunta anche la tanto agognata fine della guerra: l'euforia iniziale verrà presto spenta dall'annuncio del maresciallo Badoglio, il quale dichiara che la guerra prosegue al fianco degli alleati tedeschi. Lo stesso Badoglio, peraltro, darà ordine all'esercito di reprimere nel sangue le manifestazioni popolari che vengono in quei giorni organizzate, specialmente ad opera degli antifascisti usciti dalle carceri del regime e già impegnati nella riorganizzazione dei rispettivi partiti di appartenenza: è quanto accade a Bari e a Reggio Emilia, alle Officine Meccaniche Reggiane.

24 luglio 2025

Luglio 2025: le pastasciutte antifasciste delle sezioni ANPI di Roma e provincia

 Ecco l'elenco delle locandine, in continuo aggiornamento:

19 luglio sezione San Lorenzo





20 luglio sezioni "Gerratana Apicella" e "Martiri de La Storta" e Isola Farnese




22 luglio sezione ANPI Riano:






23 luglio sezione ANPI Esquilino-Monti-Celio "Don Pappagallo"





23 luglio sezione ANPI Allumiere:




24 luglio sezione ANPI di Civitavecchia





24 luglio sezione ANPI VI Municipio "Nascimben"






25 luglio Sezione ANPI Istituto Superiore di Sanità "U. Forno e F. De Leoni"





25 luglio sezione ANPI III Municipio 






25 luglio sezione ANPI XII "Martiri di Forte Bravetta"






25 luglio Sezione ANPI Trullo - Magliana "F. Bartolini"





25 luglio Sezione ANPI Pigneto-Certosa-Torpignattara "G. Marincola"




25 luglio Sezioni ANPI Centocelle "G. Sangalli" e Villa Gordiani "R. Bentivegna"




25 luglio Sezione ANPI X Municipio "E. Farina"




25 luglio Sezione ANPI Fiano Romano "T. Noce"




25 luglio sezione ANPI Rocca di Papa "G. Amendola"



30 luglio Sezione ANPI Marturano - Medelina





2 agosto Sezione ANPI Pomezia - Aprilia "T. Mattei e le altre"



21 luglio 2025

Distrutta una delle lapidi dedicate a Giacomo Matteotti sul lungotevere Arnaldo da Brescia: comunicato dell'ANPI provinciale di Roma


Appresa da fonti di stampa la notizia, il comitato provinciale dell'ANPI di Roma condanna con forza l'accaduto in attesa che le indagini delle forze dell'ordine chiariscano la dinamica e individuino gli autori del gesto che, come al solito, agiscono nel buio. Non è la prima volta che viene profanata la memoria di Giacomo Matteotti. Evidentemente il suo fiero coraggio, la sua granitica fede democratica e antifascista, la sua immensa statura politica e la specchiata integrità morale gettano nel panico e nel discredito ancor oggi il fascistume abietto. E non è un caso che abbiano preso di mira la lapide che riporta la sua frase: ”Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai”, che Matteotti pronunciò nel discorso del 30 maggio 1924 - pochi giorni prima di essere rapito - alla Camera dei Deputati, per denunciare brogli e violenze fasciste.

Siamo per il resto fiduciosi nel rapido ripristino della lapide.






20 luglio 2025

20 luglio 1926 - 20 luglio 2025: buon compleanno, "Biondino"!

Ci stringiamo affettuosamente al nostro partigiano Gastone Malaguti, bolognese di nascita ma romano di adozione, che oggi compie 99 anni!

Nato a Bologna nel 1926, matura sin da giovanissimo un forte sentimento antifascista a seguito del violento pestaggio subito dal padre a causa della delazione di un collega, affiliato all'OVRA. A 17 anni inizia a lavorare come fornaciaio e, ai primi di novembre del 1943, entra nella fila della 7ᵃ GAP "Gianni Garibaldi", dove ritrova molti amici d'infanzia e compagni di scuola. Prende parte a numerose azioni contro i fascisti e i tedeschi, vivendo in clandestinità nei sotterranei dell'Ospedale Maggiore; il 7 novembre 1944 è tra i gappisti che ingaggiano un furioso combattimento a Porta Lame contro i fascisti e i tedeschi, cui infliggeranno numerose perdite. Il 21 aprile 1945 contribuisce con la propria formazione alla liberazione di Bologna.

Dopo la Resistenza, è tra i fondatori della Filcams CGIL, di cui sarà segretario generale e successivamente responsabile esteri, incarico che gli permetterà di incontrare numerosissimi esponenti dei movimenti di liberazione di ogni angolo del mondo, tra cui Che Guevara. Da molti anni è attivo nella trasmissione della memoria della Resistenza all'interno dell'ANPI.

Tanti cari auguri Gastone, ti vogliamo bene!

20 luglio 2001: Carlo Giuliani è assassinato da un colpo di pistola durante le manifestazioni del G8 di Genova

Alle 17:27 del 20 luglio 2001, mentre le strade e le piazze di Genova sono teatro di una vera e propria battaglia ingaggiata dalle forze dell'ordine contro i pacifici manifestanti che sfilavano lungo Via Tolemaide, in Piazza Alimonda la pistola di un carabiniere spezza la vita del giovane ventitreenne Carlo Giuliani.

Carlo Giuliani è stato il simbolo non solo della volontà di una vastissima realtà fatta di associazioni laiche e confessionali, sindacati, social forum e ONG di ribadire in faccia ai potenti della terra riuniti a Genova che "un altro mondo è possibile", ma anche della più grave e ampia sospensione dello Stato di diritto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, delle cariche contro i manifestanti inermi, della mattanza della Diaz, delle torture di Bolzaneto: tutti crimini ad oggi in larga parte rimasti impuniti.

Di fronte al ritorno dell'estrema destra in Italia e in Europa, ai venti di guerra che tornano a soffiare, alla crisi climatica e sociale seguita alla pandemia globale, le questioni poste all'attenzione dei grandi della terra da Carlo Giuliani e da chi in quei giorni di luglio scese in strada suonano più attuali che mai.

A Carlo Giuliani, ragazzo.

19 luglio 2025

19 luglio 1992: la strage di via D'Amelio

19 luglio 1992: la strage di via D'Amelio. Un attentato mafioso - terroristico in cui morirono il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, che al momento dell'esplosione stava parcheggiando una delle auto della scorta.



Già componente del pool Antimafia e procuratore di Marsala, da aggiunto a Palermo raccoglie il testimone dell'amico Giovanni Falcone. Due giorni prima della strage di Capaci rilascia un'intervista a due giornalisti francesi in cui vengono fatti i nomi di Vittorio Mangano, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Dopo la morte di Falcone, la vita di Borsellino cambia: “Devo fare presto, non ho più tempo”, dice più volte, durante gli ultimi 57 giorni di vita. Anche se non ne ha formalmente il potere, Borsellino si dedica completamente alle indagini su Capaci. Interroga collaboratori di giustizia come Gaspare Mutolo che accuserà Bruno Contrada, all'epoca numero 3 del Sisde, di essere colluso con Cosa Nostra; incontra investigatori come Mario Mori e Giuseppe De Donno all'interno della caserma Carini di Palermo: secondo i carabinieri il magistrato voleva parlare del dossier investigativo su Mafia e appalti. Nello stesso periodo Borsellino partecipa a riunioni di coordinamento con magistrati di Caltanissetta per discutere delle indagini su Capaci e valutare le dichiarazioni di confidenti come Alberto Lo Cicero, che anni dopo riferirà della presenza del neofascista Stefano Delle Chiaie in Sicilia nei giorni della strage. Sempre Lo Cicero spiega di aver incontrato Guido Lo Porto, a casa del suo capo, Mariano Tullio Troia, boss e simpatizzante dell'estrema destra. Parlamentare del Msi e futuro sottosegretario del primo governo Berlusconi, Lo Porto è un vecchio amico e compagno di scuola di Borsellino.

In quei giorni il magistrato annota ogni spunto, riflessione e ipotesi investigativa su un'agenda di pelle rossa dei carabinieri: nelle ultime fasi della sua vita non se ne separerà mai. Quell’agenda scompare subito dopo la strage di via d’Amelio. Il 25 giugno, Borsellino tiene quello che sarà ricordato come il suo ultimo discorso pubblico: “In questo momento oltre che magistrato, io sono testimone. Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, avendo raccolto tante sue confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, devo per prima cosa riassemblarli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili”, dice alla biblioteca comunale del capoluogo siciliano. È in quei giorni che, parlando con due giovani colleghi, si sfoga arrivando alle lacrime: “Non posso credere che un amico mi abbia tradito”. Due settimane dopo, invece, crolla con la moglie: ”Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni è punciutu”, ha raccontato Agnese Piraino Leto. Subranni era all'epoca al vertice del Ros dei carabinieri e punciuto vuol dire affiliato a Cosa nostra: l’indagine per concorso esterno a suo carico sarà poi archiviata nel 2012. Il 30 giugno del 1992, invece, Borsellino incontra il giornalista Gianluca Di Feo, che è arrivato da Milano per chiedere informazione su un giro di riciclaggio legato a Tangentopoli. “Sono tanti gli imprenditori in grado di riciclare 10 milioni di lire, ma se devi riciclare 10 miliardi di lire gli imprenditori che possono farlo si contano sulle dita di una mano e uno di quelli che avrebbe questa capacità è Silvio Berlusconi. Bisogna guardare a figure come Berlusconi, che avrebbe le capacità economiche per fare questo tipo di operazioni”, dice il magistrato.

Domenica 19 luglio Borsellino si sveglia all'alba, deve sentire la figlia Fiammetta che è in vacanza con amici di famiglia in Thailandia. Poi alle 7 del mattino squilla il telefono. “No, la partita è aperta”, urla Borsellino, prima di sbattere la cornetta del telefono. Alla moglie spiega che era Pietro Giammanco, il suo capo: gli ha telefonato per annunciargli che vuole finalmente assegnargli la delega per indagare sui fatti di mafia della provincia di Palermo. “Ma perché tanta fretta?” dice Agnese, consapevole che il marito chiede quell'incarico da mesi. “Lo sai che mi ha detto? Così la partita è chiusa”, continua Borsellino. Poi la famiglia si sposterà nella casa di Villagrazia di Carini per una domenica in riva al mare: un bagno, un pranzo con gli amici, il Tour de France in tv, poi il riposo. Ma Borsellino non chiude occhio: la moglie troverà ben cinque sigarette nel posacenere della camera da letto. “Devo andare a prendere mia madre e portarla dal dottore”, spiega ai presenti, salutandoli con molto trasporto. Tre auto blindate si avviano verso via Mariano d'Amelio, dove abita la madre di Borsellino. Manca un minuto alle 17 quando una Fiat 126 imbottita di esplosivo uccide il magistrato e i poliziotti della scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Sopravvive solo Antonio Vullo.


Vedi anche:

https://www.micromega.net/via-damelio-33-anni-dopo-perche-non-fu-una-strage-isolata

https://www.onuitalia.it/perche-e-attuale-il-pensiero-di-paolo-borsellino/

https://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/anniversari/borsellino-25-anni-fa/


Il 25 giugno 1992 Paolo Borsellino interviene ad un dibattito organizzato dalla rivista MicroMega presso l'atrio della Biblioteca Comunale di Palermo;sarà il suo ultimo intervento pubblico. Il video è frutto del lavoro del giornalista Pippo Ardini, scomparso l'8 dicembre 2009. 



19 luglio 1943: il bombardamento di San Lorenzo


Poco dopo le ore 11 del 19 luglio 1943, 662 bombardieri e 268 caccia della United States Army Air Force fanno la loro comparsa nel cielo di Roma, difesa da appena 38 velivoli della Regia Aeronautica e del tutto sguarnita di un sistema di difesa contraerea adatto a fronteggiare un attacco di quelle proporzioni, a dispetto della martellante propaganda del regime sull'inviolabilità del cielo di Roma: obiettivo dell'incursione aerea è lo scalo ferroviario di San Lorenzo, snodo di cruciale importanza per il transito di mezzi, uomini e rifornimenti diretti verso il fronte siciliano. Migliaia di bombe cadono sullo scalo e sull'adiacente quartiere popolare di San Lorenzo, radendo al suolo interi caseggiati, l'antica basilica e il Cimitero del Verano, ma molte di più sono le zone colpite, situate lungo le principali arterie di uscita dalla capitale, nei quartieri Tuscolano, Prenestino, Casilino, Tiburtino e Nomentano: alla fine dell'incursione, alle ore 13, le vittime saranno più di 3000. Il re, recatosi a visitare il quartiere di San Lorenzo, è prontamente accolto da insulti ed improperi e costretto ad allontanarsi; ben più apprezzate sono invece la visita della Principessa di Piemonte Maria Josè del Belgio, della quale sono note le simpatie antifasciste, e di Papa Pio XII, accompagnato dall'allora Segretario di Stato Giovanni Battista Montini, il quale distribuisce anche aiuti in denaro agli sfollati. Il bombardamento del 19 luglio 1943 imprime una decisiva accelerazione alle sorti della guerra in corso: appena sei giorni dopo, a seguito della fatale seduta del Gran Consiglio del Fascismo, il regime cadrà. Il 14 agosto successivo, dopo un ulteriore, devastante bombardamento sui quartieri San Giovanni e Appio-Latino, Roma verrà dichiarata "città aperta": la disposizione sarà prontamente disattesa dai comandi tedeschi, i quali continuarono a considerare Roma un centro nevralgico di fondamentale importanza, posto nelle immediate retrovie di un fronte che si avvicinava ogni giorno di più, rendendo la capitale bersaglio di altre incursioni aeree alleate sino alla sua liberazione nel giugno 1944.

Alcuni momenti delle commemorazioni ufficiali a cui ha presenziato anche l'ANPI assieme alle Istituzioni e alle Associazioni d'arma:






14 luglio 2025

Tina Costa - Una Vita Ribelle e Partigiana - presentazione progetto per la realizzazione di un documentario e di un fumetto per i 100 anni dalla nascita - 16 luglio alle 19 agli Orti Urbani di Garbatella



16 luglio alle 19 agli Orti Urbani di Garbatella per parlare di Tina, una donna Ribelle e Partigiana e della sua vita di lotta per i diritti, per la pace, per un mondo più giusto e più umano.

Tina Costa - Una Vita Ribelle e Partigiana - presentazione progetto per la realizzazione di un documentario e di un fumetto per i 100 anni dalla nascita.
16 luglio 2025 ore 19:00 Orti Urbani di Garbatella - Via Rosa Raimondi Garibaldi, 14

Comitato provinciale ANPI Roma con le sezioni ANPI Renato Biagetti , ANPI Garbatella Ostiense San Paolo, ANPI Martiri delle Fosse Ardeatine, ANPI Trullo-Magliana Franco Bartolini

Tina Costa - Una vita ribelle e Partigiana

Tina Costa una vita ribelle e partigiana - il progetto su facebook

il sito per la raccolta fondi

14 luglio 1944: la strage di San Polo (AR) - furono trucidati dai nazisti 65 tra partigiani e civili, tra cui 8 donne, 8 anziani e un neonato


La linea rossa degli eccidi in provincia di Arezzo prima della Liberazione parte e inizia dal Casentino: 36 episodi, il primo a Bibbiena ad aprile e l’ultimo a Poppi a settembre. Un tributo di sangue che in Toscana ha fatto oltre 4.400 vittime, sempre con le stesse modalità e gli stessi obiettivi: terrorizzare la popolazione civile, annientare la Resistenza, esercitare il proprio dominio su un Paese asservito e disprezzato, la vendetta per una ritirata ingloriosa.

Una violenza che segnò in particolare la primavera e l’estate del ’44 lungo tutta l’area della Linea Gotica. In provincia aretina, il 13 aprile era toccato a Vallucciole, 109 vittime. Il 29 giugno erano morti in 244 a Civitella e San Pancrazio, il 4 luglio 192 persone a Cavriglia. E a San Polo, sulle colline alle porte della città, morirono in 65 tra partigiani e civili, tra cui 8 donne, 8 anziani e un neonato. Sedici furono uccisi in località San Severo, gli altri 48 morirono nel giardino di Villa Gigliosi: interrogati, picchiati, fucilati e fatti salare in aria con la dinamite nelle fosse che avevano fatto loro scavare. Arezzo sarebbe stata liberata due giorni dopo.
È stato il giornalista tedesco e studioso Udo Gümpel, a partire dal 1999, tra i primi ad indagare sulle stragi nazifasciste con l’intento di dimostrare al suo Paese quanto fosse ancora lontano da una vera presa di coscienza sui fatti avvenuti durante l’occupazione in Italia e a chiederne conto ai diretti responsabili in Germania. Come il sottotenente Klaus Konrad, incontrato nel 2004. Ex parlamentare, esponete dell’Spd, aveva affiancato come consigliere il cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, che nel 1970 fece scalpore perché si inginocchiò davanti al monumento in memoria della distruzione del Ghetto di Varsavia. Konrad ammise di aver assistito ai violenti interrogatori, che la dinamite servì a camuffare le tracce delle torture e le esecuzioni dei prigionieri e che non era pentito. Dopo l’intervista fu indagato dal Tribunale militare di La Spezia ma morì prima della sentenza. Si era dichiarato non colpevole.
Ewert invece era morto nel 1994, prima che partissero le indagini. Nel 1972 la Germania aveva chiuso il caso San Polo perché era impossibile attribuire le precise responsabilità esecutive tra Konrad, Ewert e un terzo ufficiale. Come ricostruisce Gümpel, il colonnello Ewert era stato raggiunto da alcuni colpi di fucile che gli presero il berretto mentre viaggiava a bordo di una decappottabile e decise di reagire. I militari tedeschi catturano un disertore per avere informazioni e in base alle sue confessioni, partì l’operazione. Furono incendiate fattorie e abitazioni e rastrellate le aree intorno al comando: Molin dei Falchi, Pietramala Vezzano, Castellaccio e Villa Mancini.
Durante la marcia dei prigionieri verso la villa dove si trovavano gli ufficiali, alcune donne, anziani e bambini vennero uccisi perché incapaci di tenere il passo. Venne uccisa anche una donna incinta e il garzone di bottega che la mattina stessa aveva portato pane e prosciutto ai soldati tedeschi. Gli altri vennero interrogati e torturati fino a che non si decise per l’uccisione di tutti perché tra loro si riteneva ci fossero alcuni partigiani. Allineati sulle fosse, chi le aveva scavate venne fucilato con un colpo alla nuca.
Poi le buche vennero fatte esplodere. Il giorno dopo le truppe tedesche lasciarono San Polo. Le testimonianze sono raccapriccianti: la popolazione si accorse dell’accaduto dopo due giorni. Alla villa c’erano sangue e parti umane sugli alberi. Molti erano morti per asfissia. Dissotterrati i resti dei cadaveri, li trasportarono sui carri fino al cimitero. Gli alleati girarono le immagini di quel drammatico ufficio.

12 luglio 2025

12 luglio 1944: la strage di Fossoli

Il 12 luglio 1944, presso il poligono di Cibeno, frazione posta a circa 3 km. di distanza da Carpi, le SS fucilarono 67 prigionieri politici del campo di transito di Fossoli, situato a poca distanza da lì.

Nonostante le autorità tedesche avessero cercato di presentare l'evento come un atto di rappresaglia per l'uccisione di sette soldati tedeschi avvenuta a Genova il 25 giungo precedente, la distanza sia geografica che temporale della strage rispetto alla data e dal luogo dell'evento rende del tutto improbabile tale lettura autoassolutoria. 

Condotti sul posto in tre gruppi, gli uomini selezionati, di età compresa tra i 16 e i 64 anni, furono fucilati sull’orlo di una fossa scavata il giorno prima da internati ebrei. Le SS si curarono di scegliere 70 condannati, per rendere più verosimile la tesi della rappresaglia, eliminando dalla lista uno dei selezionati, Bernardo Carenini; un altro prigioniero, il partigiano Teresio Olivelli, riuscì a nascondersi tra le baracche delle attrezzature, ove rimase per diverse settimane, assistito segretamente da altri prigionieri. Mario Fasoli ed Eugenio Jemina, appartenenti al secondo gruppo, riuscirono a fuggire dopo aver aggredito una delle SS, salvandosi e unendosi successivamente alle formazioni partigiane della zona.

La strage di Fossoli fu la più grave strage commessa dalle SS in un campo di concentramento su suolo italiano.

https://www.fondazionefossoli.org/centro-studi/i-nomi-di-fossoli/le-vittime-della-strage-di-cibeno/?fbclid=IwY2xjawLfVPZleHRuA2FlbQIxMQABHuaus053Jh3DV0dnsr-WVFEXTcbxaa6HOnNAjv1kYkQC1ha2DhTClRCnzahc_aem_4i71sze_afZvre7swPYsrA

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