14 luglio 2025

14 luglio 1944: la strage di San Polo (AR) - furono trucidati dai nazisti 65 tra partigiani e civili, tra cui 8 donne, 8 anziani e un neonato


La linea rossa degli eccidi in provincia di Arezzo prima della Liberazione parte e inizia dal Casentino: 36 episodi, il primo a Bibbiena ad aprile e l’ultimo a Poppi a settembre. Un tributo di sangue che in Toscana ha fatto oltre 4.400 vittime, sempre con le stesse modalità e gli stessi obiettivi: terrorizzare la popolazione civile, annientare la Resistenza, esercitare il proprio dominio su un Paese asservito e disprezzato, la vendetta per una ritirata ingloriosa.

Una violenza che segnò in particolare la primavera e l’estate del ’44 lungo tutta l’area della Linea Gotica. In provincia aretina, il 13 aprile era toccato a Vallucciole, 109 vittime. Il 29 giugno erano morti in 244 a Civitella e San Pancrazio, il 4 luglio 192 persone a Cavriglia. E a San Polo, sulle colline alle porte della città, morirono in 65 tra partigiani e civili, tra cui 8 donne, 8 anziani e un neonato. Sedici furono uccisi in località San Severo, gli altri 48 morirono nel giardino di Villa Gigliosi: interrogati, picchiati, fucilati e fatti salare in aria con la dinamite nelle fosse che avevano fatto loro scavare. Arezzo sarebbe stata liberata due giorni dopo.
È stato il giornalista tedesco e studioso Udo Gümpel, a partire dal 1999, tra i primi ad indagare sulle stragi nazifasciste con l’intento di dimostrare al suo Paese quanto fosse ancora lontano da una vera presa di coscienza sui fatti avvenuti durante l’occupazione in Italia e a chiederne conto ai diretti responsabili in Germania. Come il sottotenente Klaus Konrad, incontrato nel 2004. Ex parlamentare, esponete dell’Spd, aveva affiancato come consigliere il cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, che nel 1970 fece scalpore perché si inginocchiò davanti al monumento in memoria della distruzione del Ghetto di Varsavia. Konrad ammise di aver assistito ai violenti interrogatori, che la dinamite servì a camuffare le tracce delle torture e le esecuzioni dei prigionieri e che non era pentito. Dopo l’intervista fu indagato dal Tribunale militare di La Spezia ma morì prima della sentenza. Si era dichiarato non colpevole.
Ewert invece era morto nel 1994, prima che partissero le indagini. Nel 1972 la Germania aveva chiuso il caso San Polo perché era impossibile attribuire le precise responsabilità esecutive tra Konrad, Ewert e un terzo ufficiale. Come ricostruisce Gümpel, il colonnello Ewert era stato raggiunto da alcuni colpi di fucile che gli presero il berretto mentre viaggiava a bordo di una decappottabile e decise di reagire. I militari tedeschi catturano un disertore per avere informazioni e in base alle sue confessioni, partì l’operazione. Furono incendiate fattorie e abitazioni e rastrellate le aree intorno al comando: Molin dei Falchi, Pietramala Vezzano, Castellaccio e Villa Mancini.
Durante la marcia dei prigionieri verso la villa dove si trovavano gli ufficiali, alcune donne, anziani e bambini vennero uccisi perché incapaci di tenere il passo. Venne uccisa anche una donna incinta e il garzone di bottega che la mattina stessa aveva portato pane e prosciutto ai soldati tedeschi. Gli altri vennero interrogati e torturati fino a che non si decise per l’uccisione di tutti perché tra loro si riteneva ci fossero alcuni partigiani. Allineati sulle fosse, chi le aveva scavate venne fucilato con un colpo alla nuca.
Poi le buche vennero fatte esplodere. Il giorno dopo le truppe tedesche lasciarono San Polo. Le testimonianze sono raccapriccianti: la popolazione si accorse dell’accaduto dopo due giorni. Alla villa c’erano sangue e parti umane sugli alberi. Molti erano morti per asfissia. Dissotterrati i resti dei cadaveri, li trasportarono sui carri fino al cimitero. Gli alleati girarono le immagini di quel drammatico ufficio.

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