30 ottobre 2014

ANPInews n. 138 – 28 ottobre / 4 novembre 2014

Nel sito dell’ANPI nazionale la versione in .pdf di ANPInews n. 138 – 28 ottobre / 4 novembre 2014

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APPUNTAMENTI
Ad Alba (CN), fino al 25 aprile 2015, un ricco programma di eventi per ricordare i 70 anni della zona libera.
Il 2 novembre vedrà la partecipazione e l’intervento del Presidente nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia. Il Comune di Alba, in collaborazione con l’ANPI provinciale di Cuneo, ha predisposto un ricco programma di eventi - che durerà fino al 25 aprile 2015 - per ricordare i settant’anni della zona libera di Alba.
 
Il 2 novembre 1944 è il giorno in cui i partigiani cedono la città, per l’ultima volta, prima della Liberazione dell’aprile 1945. E proprio il 2 novembre prossimo si svolgerà una celebrazione, in piazza Savona ad Alba con inizio alle 10.30, che vedrà, dopo il saluto delle autorità cittadine, l’intervento del Presidente Nazionale ANPI Carlo Smuraglia.
 
Alle ore 11.30, quindi, si svolgerà l’inaugurazione dell’ Albero della Memoria, un monumento creato dagli studenti del Liceo Pinot Gallizio e donato alla città in ricordo dei 6 caduti della Caserma Govone. L’iniziativa si concluderà con un incontro al Teatro sociale G. Busca di Alba dal titolo “I 23 giorni di Beppe Fenoglio”.
 
ARGOMENTI
NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI CARLO SMURAGLIA:
Nel giro di un paio di giorni, tre manifestazioni di diverso rilievo ma tutte – a loro modo – significative: la manifestazione a Roma della CGIL, la “Leopolda 5”, a Firenze; e infine, con la sua “modestia”, il Consiglio nazionale dell’ANPI a Chianciano. C’è, dunque, un’Italia in movimento, a diversi livelli, che è disposta a sacrificare un week-end, per incontrarsi e discutere. E di questo va preso atto, con soddisfazione, e pur tenendo conto delle differenze.
La manifestazione della CGIL è stata grandiosa, superiore addirittura alle aspettative. I dati, si sa, sono sempre controversi e incerti; ma il dato obbiettivo è che la piazza, grandissima, era stracolma, come nei momenti migliori; e questo è ciò che conta e ci soddisfa appieno, avendo dichiarato la piena condivisione dei contenuti e degli obiettivi della manifestazione ed espresso il nostro auspicio che la manifestazione riuscisse, proprio perché era dedicata ai fondamenti della nostra vita e della stessa Costituzione: il lavoro.
 
Logico, dunque, che abbiamo atteso con ansia le notizie che ci venivano da Roma e che siamo stati molto felici quando abbiamo avuto la piena conferma che – perfino a giudizio delle Forze dell’Ordine - la manifestazione era pienamente riuscita.
 
Ed è con questo traguardo raggiunto che si può guardare, con maggiori speranze, al futuro; se ci sono tanti (un milione e più) disposti ad impegnarsi, con personale sacrificio, per valori fondamentali come quello del lavoro libero e dignitoso, vuol dire che saremo anche sprofondati nell’abisso di una crisi feroce, di una cattiva politica, della corruzione, dell’invasione delle mafie, ma c’è – tuttavia - una speranza moto forte e concreta di riscatto.
 
E questo è ciò che aiuta il nostro cuore ed i nostri pensieri a guardare oltre le nubi, verso il sole.
 
A Firenze, come ho detto, c’era un’altra Leopolda. Ma di questa è difficile parlare non tanto perché i numeri non ci fossero (c’erano quelli previsti, ovviamente), ma perché la Leopolda è un oggetto misterioso, in qualche modo inafferrabile e incomprensibile. Che cosa è mai questa “Leopolda”? Una corrente di partito che si riunisce, un happening di amici, un’appendice del Governo, uno stuolo di amici del “sovrano”? È difficile dirlo, perché, in realtà, c’è tutto e nulla; ma forse c’è la premessa di un futuro diverso, una nuova concezione dei partiti e della vita politica. Tutto questo potrebbe essere perfino positivo, se lo capissimo fino in fondo. In realtà, gli oggetti misteriosi fanno sempre un po’ paura, appunto perché non li capiamo e non sappiamo dove andranno a finire. Di certo, alla Leopolda, si è parlato tanto attorno a cento tavoli, ma di parole che ci interesserebbero (antifascismo, Costituzione, democrazia, diritti dei cittadini, corruzione, mafie), se ne è parlato ben poco, almeno a leggere la stampa. Aspettiamo, dunque, e vedremo. Peggio, c’è stata addirittura (e non da uno degli ultimi) l’idea di porre dei limiti allo sciopero. E questo, di certo, nessuno lo avrebbe nemmeno pensato né a Roma né a Chianciano.
 
Infine, ci siamo stati noi, chiari, trasparenti, comprensibili a tutti. Un Consiglio nazionale (150 presenti) dedicato a temi precisi come la Costituzione, la Resistenza, il futuro, la democrazia, i giovani. Di questo hanno ampiamente parlato gli intervenuti al dibattito (ben 49), di questo si è discusso; ma soprattutto si è parlato del futuro dell’ANPI, nel quadro del futuro del Paese.
 
Una riunione, “alta”, per i contenuti, per la passione che tutti hanno dimostrato, nella partecipazione attenta e sincera al dibattito, nella capacità di ascolto, soprattutto nella volontà di guardare al futuro (che è già fra noi) tenendo fermi i valori del passato (che a loro volta sono e debbono essere vivi nel presente).
 
E poi quel cantare insieme “Bella ciao”, alla fine, giovani e meno giovani, uomini e donne, partigiani e antifascisti, abbracciandosi, scattando foto e scambiandosi ricordi. Questa è l’ANPI di oggi, tutt’altro che “fissata” sulla memoria e sulle bandiere di battaglia; un’ANPI viva, in cui convivono più generazioni e che sta seriamente discutendo sul proprio futuro, assieme a quello del Paese. Bisognerebbe invitare, a questi nostri incontri, qualcuno di quelli che ci immaginano ancora come antiquati conservatori, fermi nella nostra storia. Ne varrebbe la pena, perché vedrebbero volti giovani e volti nuovi, accanto a quelli (sempre meno, purtroppo), che vengono dalla Resistenza, ma uniti da vincoli di fraternità e solidarietà e preoccupati solo che il Paese esca dalla crisi ed affronti il futuro, sulla base di valori reali e profondi, quelli – in definitiva – che si desumono dai princìpi costituzionali. Certo, numericamente minori rispetto alle altre manifestazioni, di cui ho detto: una “piccola” cosa, alla fine, ma ricca di tradizioni di princìpi, di valori umani. Mai statue di cera, mai mezzi busti, mai ingessati, e sempre ricchi di impegno e di speranza.
 
È questo che ci lega simbolicamente alla manifestazione della CGIL, facendoci condividere sogni, speranze e impegno; perché anche in questo tipo di incontri non solo batte il nostro cuore, ma vive anche il nostro futuro.
Ho già dedicato un primo commento alla sentenza m. 238/2014 della Corte Costituzionale sulla questione della prevalenza del diritto dei cittadini alla giustizia rispetto alla sovranità degli Stati (a proposito delle stragi nazifasciste del 1943-’45) ma voglio tornarci per sottolinearne, di più e meglio, l’importanza.
La Corte ha collocato i diritti umani ad un livello superiore a qualunque altro diritto, a qualunque potere, non dimenticando anche di collegare sempre il diritto, il principio, alla concreta effettività.
La Corte Costituzionale, in un mondo pieno di guerre, di orrori e di violenze, ha detto che fondamentale è la dignità della persona, che è e deve stare al centro di tutto, quindi essere considerata, protetta e rispettata, garantendone il pieno sviluppo.
 
Se i diritti umani vengono calpestati, ha detto la Corte, come quando si compiono stragi terribili di popolazioni civili, quando coloro che dovrebbero essere trattati come prigionieri, vengono utilizzati per lavori, come se fossero schiavi, quando la violenza oltrepassa perfino l’orrore insito di ogni guerra, per travalicare i confini che, da solo, il concetto di “umanità” impone; se tutto questo avviene, chi lo cagiona deve pagare; e chi ne è civilmente responsabile (ad esempio gli Stati cui appartengono gli eserciti ed i soggetti criminali che di essi fanno parte) non può trincerarsi dietro il velo protettivo della sovranità.
 
Questa fondamentale affermazione di principio è di grandissimo valore, anche al di là dei suoi effetti pratici e concreti. La Corte dell’Aja si era attestata su posizioni antiquate e “comode” per gli stati, non accettando i progressi che lo stesso pensiero giuridico è stato costretto a compiere, in questa società tumultuosa e violenta. La Corte Costituzionale italiana è andata molto oltre, dimostrando di essere attenta e sensibile, soprattutto, all’esigenza di proteggere ancora di più i diritti umani, quando il mondo è così tormentato e percorso da violenze inaudite.
 
L’essersi richiamata all’art. 2 della Costituzione, col suo alto riconoscimento che i diritti umani devono essere considerati inviolabili e garantiti nei confronti di chiunque, ci fa tornare al valore della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo proclamata nel 1948, con l’aggiunta dei progressi di elaborazione, di riflessione e di realizzazione delle garanzie, che in questi anni sono stati compiuti.
 
Ma la Corte ha detto anche di più, richiamandosi all’art. 24 della Costituzione, che colloca tra i diritti inviolabili, e impegnandosi a renderlo effettivo, il diritto di ciascuno ad avere un giudice ed ottenere una decisione. Altro principio fondamentale, che dovrebbe essere pacifico e invece ha bisogno, continuamente, di essere ribadito e rinverdito.
 
Quali saranno gli effetti pratici di questa fondamentale sentenza?
 
Difficile dirlo: il decorso del tempo (troppi anni sono passati dal momento di quei tragici eventi) non lavora per noi; le aperture della Germania, che pure ci sono state per quanto riguarda le ammissioni di responsabilità ed alcune misure di riparazione, si sono sempre arrestate di fronte al tema del risarcimento ed è possibile che non vadano oltre neppure adesso (e se ne avvertono i primi sintomi). Vedremo. C’è sempre la speranza, in ogni caso, di eventuali aperture e di un incremento di quelle attività di “riparazione” che sono già in essere da qualche tempo (si pensi, ad esempio, all’ ”Atlante” delle stragi). Del resto, già la decisione della corte Dell’Aja aveva lasciato aperta la strada ad intese fra gli Stati, al di là dei princìpi e delle formulazioni di diritto. La sentenza della Corte Costituzionale costituisce, in ogni caso, una robusta spinta in quella direzione. Io confido che i rappresentanti più avveduti della Germania capiscano che sta in questa “apertura” la possibilità di raggiungere una memoria, certo non condivisa, ma almeno più “storicizzata”, che aiuti a superare antiche forme di odio e manifestazioni, pur comprensibili, di rancore.
 
Ma spero anche che la sentenza parli, contemporaneamente al Governo, alle Istituzioni italiane, perché finalmente assumano anche le responsabilità che competono al nostro Paese, perché anche qui c’è molto spazio (necessario) almeno per le “riparazioni”, per l’accertamento della verità, per il raggiungimento della giustizia.
 
Bisogna che tutti sappiano che tutto questo è dovuto, da parte della Germania e da parte dell’Italia, alle vittime dell’orrore indicibile, ai superstiti (sempre più rari, anche se indomiti), ai famigliari. Non possiamo restituire famiglie, figli, fratelli, spose, case: non possiamo ridare le vite perdute, ma almeno possiamo cercare, tutti, di favorire il compimento di un cammino, indispensabile, sulla via della verità e della giustizia.
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