17 marzo 2020

15 marzo 1900 - 15 marzo 2020: 120° anniversario della nascita di Luigi Longo, il leggendario partigiano Gallo.

Nato a Fubine Monferrato (AL) nel 1900, morto a Roma nel 1980, dirigente e parlamentare comunista.




https://futuraumanita.com/2020/03/15/luigi-longo-una-vita-per-il-socialismo-e-la-democrazia/


Luigi Longo, una vita per il socialismo e la democrazia


di Alexander Hobel
In occasione del 120° anniversario della nascita di Luigi Longo, il leggendario “Gallo”, Segretario generale del Pci dal 1964 al 1972, pubblichiamo l’articolo “Luigi Longo, una vita per il socialismo e la democrazia”(da: “Quaderno di storia contemporanea”, 2010, n. 47).
1. Desta stupore e amarezza il fatto che il ricordo di Luigi Longo sia – anche a sinistra – così debole. Lo stupore è forte poiché Longo, per più di mezzo secolo, è stato tra i personaggi più importanti e significativi della storia del PCI – e dunque di una componente essenziale della democrazia italiana –; braccio destro di Togliatti per vent’anni e poi suo successore alla guida del Partito; e in generale protagonista di tutti i principali momenti di svolta, di tutti gli sviluppi e i salti di qualità che l’azione dei comunisti nel nostro Paese ha avuto. È possibile che proprio questo sia il motivo che ha provocato una sorta di rimozione della sua figura: Longo non può essere presentato né come un “socialdemocratico ante litteram” né come una figura connotata da un generico radicalismo; è stato un comunista “al cento per cento”, dall’inizio alla fine, e pertanto non è utilizzabile per nella costruzione di identità tutte basate sull’“ex” e sul “post”.
Va detto, però, che una considerazione non adeguata dell’opera e della figura di Longo non comincia adesso. Per Alessandro Natta, “la parte di Longo nella storia del PCI, del nostro paese, del movimento operaio internazionale è stata incomparabilmente più rilevante di quanto oggi non appaia”. Emanuele Macaluso lo ha definito “un segretario sottovalutato”, sottolineando il suo essere profondamente democratico e aperto all’ascolto: “Nel PCI – ha scritto – non ho visto un’altra persona che, come Longo, considerasse le opinioni degli altri così degne da fargli cambiare le proprie”. Per Giuseppe Boffa, è stato “il più democratico fra i segretari del PCI”, ma anche “il migliore segretario generale”(1) . Molti testimoni, tra cui Aldo Tortorella, ne parlano come del segretario “più a sinistra” (2) .
2. La vita stessa di Longo procede parallelamente a quella del Partito, e la segue in tutti i suoi principali passaggi, in tutti i più significativi punti di svolta. Piemontese, figlio di contadini, studente al Politecnico, l’esperienza della prima guerra mondiale lo avvicina alle idee socialiste. Entrato nella Federazione giovanile, si avvicina alla frazione bordighiana, e partecipa al Congresso di Livorno del 1921: è dunque tra i fondatori del PCd’I, ed entra subito nel Comitato Centrale della FGC. In Piemonte promuove la formazione di squadre armate contro la violenza fascista, e nel 1923 è arrestato nell’ambito della “battuta anticomunista” che porta in carcere molti quadri del Partito. Tornato libero, Longo matura il distacco dalle posizioni della sinistra bordighiana, cui imputa l’incapacità di concepire una politica di alleanze di stampo leninista, che consenta di opporsi al fascismo e riprendere il processo rivoluzionario. Dal 1926, Longo è responsabile del Centro estero della FGCI (con Secchia alla guida del Centro interno), e in questa veste trascorre vari mesi a Mosca come membro dell’Esecutivo dell’Internazionale giovanile comunista (3).
Sul piano internazionale, si schiera a favore della linea del “socialismo in un solo paese”, mentre sul piano interno – sostenuto da Secchia – chiede di abbandonare la parola d’ordine dell’Assemblea repubblicana, cara a Gramsci, per sostituirla con quella del “Governo operaio e contadino”. La battaglia condotta dai giovani, dirà Longo, è originata dal fatto che “essi avevano la sensazione, sia pur vaga, che qualcosa stava radicalmente mutando nella situazione del paese e che, perciò, piuttosto che appellarsi alla continuità di una linea politica” – e a parole d’ordine poco comprensibili e mobilitanti – occorreva “mettere in primo piano la presenza organizzata del partito” (4) .
Sebbene rimasto in minoranza, Longo diviene membro candidato dell’Ufficio politico del PCd’I, tra i responsabili del nuovo Centro interno, e infine membro della Segreteria. In queste vesti, Longo (ormai “Gallo”) è il principale fautore della politica della svolta, ossia di quel mutamento di orientamento che matura alla fine del 1929 e porta a concentrare tutte le forze nell’azione all’interno del Paese, preparando il ritorno dello stesso gruppo dirigente. In Italia, infatti, i primi effetti della crisi economica stanno stimolando una nuova “combattività delle masse”, una disponibilità, soprattutto “della gioventù operaia, studentesca, a una più attiva partecipazione alla lotta e all’antifascismo”. Di qui la necessità che il Partito raccolga questa spinta e ne sia l’interprete più conseguente (5) .



Bisogna – dice Longo nel suo progetto di risoluzione – che tutto l’apparato del partito […] sia decisamente orientato verso il ritorno in Italia non solo come lavoro (il che è sempre stato) ma anche come sede” (6) .
Su questo si consuma la rottura con Tresso, Leonetti e Ravazzoli. Ma sarà proprio questa politica – pur con i suoi errori di valutazione sulla radicalizzazione delle masse, e pur con gli alti costi umani che implicherà – a consentire quella capillare presenza dei comunisti nel Paese, e quell’emergere di una nuova leva di quadri, che saranno alla base della loro egemonia nella lotta antifascista e poi nella Resistenza. Scriverà infatti Secchia:
Il contributo del PCI alla lotta di liberazione fu così alto perché il partito, impegnandosi senza risparmio […] alla lotta clandestina contro il fascismo, […] avendo saputo effettuare nel 1929-31 una ‘svolta’ di intensa presenza nel paese a tutti i costi, popolando i penitenziari del regime mussoliniano con i suoi migliori uomini, aveva fatto una scelta giusta, sparso una semina, accumulando un patrimonio umano, politico e rivoluzionario che poté raccogliere e spendere nella Resistenza (7).
E Amendola aggiungerà:
È con la svolta che il PCI sfugge al destino di diventare un partito emigrato come gli altri, riafferma la sua presenza organizzata nel Paese, svolge un reclutamento che in alcuni momenti e in alcune località diventa di massa, capovolge i vecchi rapporti di forza in seno al movimento operaio, […] conquista insomma, una egemonia nello sviluppo della lotta antifascista, che manterrà fortemente nelle battaglie della Resistenza (8).
Nel 1929-30, dunque, Longo, è forse il principale fautore della svolta. In particolare, esorta a riprendere il proselitismo fra gli operai, rafforzare la CGL clandestina, costituire comitati di lotta, “squadre di difesa” e gruppi di “giovani arditi antifascisti”. Nei mesi seguenti, i risultati non mancheranno, anche se la repressione poliziesca colpirà duramente il quadro militante.
3. Allo stesso modo, e sulla base di una correzione di rotta, Gallo è protagonista della fase dei Fronti popolari. Nel 1934 firma assieme a Nenni un primo manifesto unitario coi socialisti, contro il fascismo e la guerra, base del patto di unità d’azione tra i due partiti. Alla vigilia dell’aggressione fascista all’Etiopia, Longo pone al gruppo dirigente del PCd’I la prospettiva della creazione di un fronte popolare in Italia, ma anche l’obiettivo del “partito unico operaio”, assieme ai socialisti. “Noi vogliamo il Partito unico – dice Longo – lo vogliamo non come lontana aspirazione ma come realtà immediata”. Questa unità – continua – può e deve
assicurare al proletariato […] la direzione della lotta politica. Il proletariato unito […] è condizione per il raggruppamento attorno ad esso di tutti gli strati malcontenti della popolazione, di tutti quelli che vogliono farla finita con il […] fascismo […].
[…] strati notevoli di lavoratori sono ancora lontani dalle posizioni del nostro programma, pur essendo decisamente antifascisti e contro la guerra, e noi abbiamo il dovere di non disinteressarci di queste masse, ma di andare loro incontro, di collegarci con gli aggruppamenti politici in cui esse hanno ancora fiducia, di stabilire con questi aggruppamenti delle intese […]. È il problema, cioè, del fronte popolare che si pone anche per l’Italia (9) .
Per Gallo, dunque, la rivoluzione italiana deve essere una “rivoluzione popolare antifascista”, in cui il proletariato sia alla testa di un fronte di alleanze più vasto.
Al tempo stesso, Longo è tra i primi a cogliere il processo di internazionalizzazione del fenomeno fascista, e tra i più tenaci a tentare di contrastarlo. All’indomani dell’aggressione all’Etiopia da parte dell’Italia, è tra gli organizzatori del Congresso di Bruxelles contro la guerra e il fascismo. Nel settembre 1936, poco dopo il golpe di Franco e lo scoppio della guerra civile, è già in Spagna, dove organizza la componente italiana di quelle Brigate internazionali che – dopo l’appello di Stalin a favore del governo repubblicano – diventano un fenomeno di massa. In Spagna, dove partecipa alla difesa di Madrid e dove sarà anche ferito, il “comandante Gallo” diventa leggendario e – come ha scritto Spriano – si rivela, “per il suo spirito pratico e per le sue doti umane”, l’uomo adatto a risolvere le situazioni più delicate. Non a caso, Longo – coadiuvato da Giuseppe Di Vittorio e André Marty – diviene ispettore generale (e dunque innanzitutto dirigente politico) delle Brigate, che raccoglieranno circa 50.000 volontari di 52 paesi. Nelle stesse settimane, è anche nella delegazione del Comintern all’incontro di Annemasse coi dirigenti della II Internazionale, per verificare le possibilità di un’azione comune in favore della Spagna e contro il fascismo (10) .
Dopo la Spagna, il prestigio internazionale di Longo è ormai grande. Assieme a Buozzi, è eletto presidente dell’Unione Popolare, che in Francia raccoglie cinquantamila emigrati italiani e appare il nucleo di una più vasta Alleanza antifascista. Per Longo, occorre “l’unità del popolo italiano nella lotta contro il fascismo. In essa gli interessi della classe operaia italiana si identificano con quelli di tutto il popolo”. Tuttavia, quell’esperienza unitaria subisce presto una battuta d’arresto, e, all’indomani del patto Molotov-Ribbentrop, Longo è arrestato a Parigi, e inviato al campo del Vernet con altri dirigenti comunisti. All’inizio del ’42, la polizia francese lo consegna a quella italiana, cosicché finisce prima a Regina Coeli e poi in confino a Ventotene, in quella che fu una vera e propria “accademia dell’antifascismo” (11) .
4. Dopo il 25 luglio 1943, Longo viene liberato, e partecipa alle prime riunioni della Direzione del PCI, che si divide nei gruppi di Roma e Milano, nel quale entrerà. Siamo ormai alla fine di agosto, il disorientamento è generale, il governo Badoglio reprime le manifestazioni popolari e intanto i tedeschi occupano una parte del Paese. È a questo punto – ricorderà Amendola – che Longo assume la direzione della lotta di liberazione:
Lo vedo ancora camminare in silenzio per la stanza e poi mettersi a scrivere quello che sarà il Promemoria sulla necessità urgente di organizzare la difesa nazionale contro l’occupazione e la minaccia di colpi di mano da parte dei tedeschi (12).
Siamo al 30 agosto, e sulla scorta del documento di Longo le forze della sinistra – PCI, PSI e Giustizia e Libertà – decidono di promuovere e coordinare un movimento partigiano di resistenza armata, rivendicano un nuovo governo diretto dalle forze antifasciste, e costituiscono una giunta militare in cui Longo rappresenta i comunisti, assieme a Pertini per il PSI e Riccardo Bauer per GL. Prima di tornare al nord, Gallo fa in tempo a partecipare ai combattimenti per la difesa di Roma. Sul piano politico, contrapponendosi a Scoccimarro, si schiera per un’unità operativa ampia, fino ai badogliani, ma ribadisce anche la necessità di un governo popolare, emanazione dei CLN, che sostituisca il governo Badoglio. Coadiuvato da Secchia, Longo dirige le Brigate Garibaldi e – attraverso il foglio “La nostra lotta” – porta avanti la riorganizzazione dei quadri comunisti. In particolare, mira a un’azione di massa della classe operaia settentrionale, che dia alla lotta “il colpo decisivo”. Questo verrà innanzitutto coi grandi scioperi del marzo 1944, che Longo legge come la conferma della direzione della lotta antifascista da parte della classe operaia, e quindi della possibilità di realizzare “un taglio netto” col passato e costituire un governo “veramente popolare”, basato sul protagonismo dei CLN. È questa la lettura di Longo della “democrazia progressiva”, che egli vede in primo luogo come strumento per allargare le basi popolari del potere, anche attraverso l’estensione capillare dei CLN (13) .
In quei mesi, sottolinea ancora Natta, Longo “si colloca sempre un po’ più ‘a sinistra’ rispetto a Togliatti, “non solo quando accetta l’ingresso dei comunisti nel governo Badoglio a fatica, come necessità tattica”, ma anche perché – nel quadro della politica di unità antifascista, “resta in Longo più presente l’esigenza dell’unità della sinistra”, di un rapporto privilegiato con socialisti e azionisti (14) .
Allorché il movimento partigiano si dà una direzione unica nel Corpo Volontari della Libertà, è Gallo a dirigerlo, assieme a Parri e Cadorna. Longo, come Secchia, vede la guerra di liberazione – e la necessità di portarla a termine autonomamente dagli Alleati – come l’occasione per assicurare alle classi popolari un ruolo decisivo anche nel dopoguerra. Proprio per questo, allorché il gen. Alexander invita i partigiani a interrompere la lotta in vista dell’inverno, Gallo dà una “interpretazione” del suo messaggio che di fatto ne capovolge il senso. Anche qui c’è la testimonianza di Amendola. È quest’ultimo infatti a dare a Longo la notizia del proclama, suggerendogli di chiedere una presa di posizione del CVL che ribadisca la propria autonomia e rifiuti il messaggio di Alexander. Gallo non è d’accordo:
“No, così non va, si arriverebbe a una rottura. E del resto gli ordini superiori non possono essere respinti. Ma – aggiunge – occorre interpretarli. Gli ordini vanno applicati tenendo conto delle condizioni concrete in cui si trovano ad operare le formazioni. Spetta a noi, dunque interpretare quelle direttive” (15) .
E così Longo scrive la bozza di risoluzione del CVL, la quale afferma che “ogni richiamo alle direttive di Alexander per giustificare proposte di smobilitazione […] è assolutamente ingiustificato”, poiché nel proclama “non si afferma […] che si deve cessare la battaglia” ma solo le ‘operazioni organizzate su vasta scala’, e dunque che si avrà, a causa dell’inverno, “un rallentamento del ritmo della battaglia”. Dunque comincia una ‘campagna invernale’, con le sue caratteristiche particolari, e non una ‘stasi invernale’. Del resto – concluderà la risoluzione –
Nessuno dei patrioti può tornare alla sua casa, né al suo lavoro: lo ghermirebbe la reazione nazifascista. Una smobilitazione, anche solo parziale, dei combattenti della libertà costituirebbe, di fatto un invito a capitolare […] a lavorare per i nazifascisti […]; oppure sarebbe una spinta a darsi all’azione incontrollata e disorganizzata, ciò che è proprio compito del comando di evitare con la sua attività di inquadramento, di direzione e di educazione politica (16).
E infatti la lotta proseguirà fino al 25 aprile 1945, e Longo sarà protagonista anche di quella giornata, nel triumvirato insurrezionale di Milano con Pertini e Valiani.
5. Dopo la Liberazione, Longo è tra i massimi dirigenti del partito nuovo. È tra i pochi – assieme al socialista Rodolfo Morandi – a insistere sul tema della pianificazione democratica di settori strategici dell’economia, esaltando forme di controllo dal basso e chiedendo la nazionalizzazione delle industrie chiave. Al V Congresso tiene una relazione sulla prospettiva del “partito unico della classe operaia”, che non sia la mera sommatoria di PCI e PSI, ma sia la base di una più ampia unificazione di tutte le forze “sinceramente democratiche e progressive”. Subito dopo, è eletto vicesegretario di Togliatti, con Secchia responsabile dell’organizzazione (17) .
Negli anni seguenti, sarà deputato (alla Costituente e poi alla Camera) e rappresentante del PCI nel Cominform, alla cui riunione costitutiva Longo deve tener testa alle critiche di Zdanov, che accusa il PCI di arrendevolezza dopo la cacciata dal governo De Gasperi (18) . Dopo le elezioni del ’48 e l’attentato a Togliatti, Longo rilancia l’idea di un’ampia alleanza delle forze progressiste di fronte a una situazione in cui – dice – “lo Stato italiano torna ad essere in modo pieno e aperto lo strumento dei gruppi industriali e agrari più reazionari”; occorre invece – ribadisce ancora – “un governo veramente democratico, veramente popolare” (19).
Ma ormai siamo agli anni della guerra fredda e del duro confronto coi governi centristi e con la Celere di Scelba. In quegli anni Longo è tra l’altro il principale creatore del giornale “Vie Nuove” che rappresenta un primo, avanzato tentativo di usare i mezzi di comunicazione di massa – in questo caso la stampa – in termini popolari, divulgativi ma al tempo stesso con quell’intento di pedagogia politica e civile che caratterizzava il partito allora (20) . Dopo la strage di Modena, Longo chiede il divieto dell’uso di armi da fuoco da parte della polizia. Al VII Congresso del PCI denuncia la gravità della reazione antipopolare in atto:
Per aver sostenuto i propri diritti, sanciti tra l’altro dalla Costituzione, […] i lavoratori, i loro alleati e le loro organizzazioni sono stati fatti oggetto di ogni sorta di provocazioni, di arbitrii, di violenze. Come ‘sobillatori’, ‘quinta colonna’, ‘agenti del Cominform’ furono tacciati […] gli organizzatori e i dirigenti della resistenza operaia e delle lotte popolari […]. Oltre i quattro quinti di tutti i caduti, i feriti, gli arrestati, i condannati sono comunisti […].
In questo quadro – insiste Longo – va costituito ‘un largo fronte del lavoro’, che alle lotte per la pace e la difesa della Costituzione affianchi la lotta per l’attuazione del Piano del lavoro proposto dalla CGIL. L’attenzione di Longo, dunque, è sempre rivolta alla tenuta democratica del Paese e ai suoi possibili progressi. In questo senso, allorché alla metà degli anni ’50 inizia un dialogo tra DC e PSI, egli lo giudica positivamente, come occasione per ‘spostare un po’ più a sinistra i confini della discriminazione scelbiana’ e aprire la strada ad una “nuova maggioranza”. Nel 1956 Longo si impegna nella polemica contro Antonio Giolitti e il “revisionismo nuovo e antico” (21) . Tuttavia in Longo l’idea dell’unità del movimento operaio rimane una costante, assieme al tema della democrazia e del suo sviluppo. Alla vigilia dell’VIII Congresso, è lui a definire la Costituzione come “il programma stesso del partito”, un asse fondamentale della “via italiana al socialismo” (22) .
6. In tutto questo periodo, Longo è il braccio destro di Togliatti, e al momento della morte del segretario, nel 1964, la successione è naturale e scontata. Ricorderà Amendola:
Egli ci pose immediatamente, e con grande franchezza, il problema di accelerare la formazione di un nuovo gruppo dirigente, capace di assumere, al più presto, la piena direzione di un partito comunista chiamato […] ad avere un peso crescente nella vita nazionale e nel movimento operaio internazionale (23) .
Longo in effetti dà subito un’impronta nuova al ruolo di segretario, avviando una direzione collegiale in cui egli è una sorta di primus inter pares, e sforzandosi di svolgere una funzione di sintesi fra le diverse letture della “via italiana al socialismo” che subito emergono, polarizzandosi attorno alle figure di Amendola e Ingrao. Più che mediare, Longo cerca di valorizzare gli elementi più vitali delle proposte dei due dirigenti (l’unità delle forze socialiste chiesta da Amendola, l’elaborazione ingraiana sulla programmazione e un nuovo “modello di sviluppo”), temperandone eccessi e unilateralità, e “legittimandone” la circolazione – e dunque la discussione, anche aspra – all’interno del Partito.
Al tempo stesso, Longo caratterizza la sua segreteria anche per gesti innovativi dal forte valore politico, tanto che sull’“Unità” Adriano Guerra ha scritto di lui come “l’‘uomo delle svolte’” (24) : si consideri la decisione di pubblicare il Memoriale di Yalta (di fatto un documento interno del movimento comunista internazionale), “non solo – osserverà Berlinguer – perché con esso Togliatti metteva nuovamente in luce […] la peculiarità delle posizioni del nostro partito […], ma soprattutto perché quel documento esprimeva idee, critiche e giudizi chiarificatori che interessavano l’intero movimento operaio mondiale” (25) ; o la sua relazione alla conferenza dei partiti comunisti europei a Karlovy Vary, con la rivendicazione netta del superamento dei blocchi contrapposti e di una politica di sicurezza collettiva europea, che desse un nuovo ruolo al Vecchio Continente; e in questo quadro – e con l’obiettivo di una maggiore unità d’azione fra i vari settori del movimento operaio – le prime aperture alla SPD di Brandt; il dialogo col movimento studentesco, che egli vede come un alleato naturale e rispetto al quale – dice – occorre “superare una certa posizione di diffidenza”; la ripresa del rapporto unitario con l’area che fa capo a Parri e l’“invenzione” degli indipendenti di sinistra; e ancora, il sostegno espresso all’esperimento di Dubcek – in cui vede anche un incoraggiamento per la stessa “via italiana” e per il tentativo di coniugare democrazia e socialismo; e infine la condanna dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia, non perché Longo non veda i pericoli che pure si addensano in quella situazione, ma perché intende differenziarsi nel modo di affrontarli (26) .
In particolare, la sua riflessione sul nuovo internazionalismo si riallaccia a quella dell’ultimo Togliatti, che aveva insistito sulla necessità di un più forte ruolo propulsivo e di una maggiore assunzione di responsabilità e iniziativa da parte delle forze comuniste – e di sinistra in genere – dell’Europa capitalistica, in stretto legame coi paesi socialisti ma anche con i movimenti di liberazione nazionale, al fine di indirizzare il quadro dei rapporti internazionali verso una situazione meno irrigidita dalla contrapposizione fra i blocchi, e di ridare protagonismo alla classe operaia europea in unione con gli altri settori del proletariato internazionale.
Il “nuovo internazionalismo”, infatti, non significò mai volontà di rottura con l’URSS e i paesi socialisti. Nello stesso Comitato Centrale in cui condanna l’intervento sovietico in Cecoslovacchia e ribadisce il “principio irrinunciabile della autonomia, indipendenza e sovranità nazionale di ogni Stato, e dell’autonomia e sovranità di ogni partito comunista”, Longo precisa che va rilanciata la lotta contro “la politica dei blocchi”, poiché “a questa logica devono essere in larga misura ricondotte le difficoltà dello stesso processo di sviluppo e di rinnovamento delle società socialiste, e la stessa crisi cecoslovacca”. In ogni caso – aggiunge – “la discriminante tra socialismo e capitalismo resta per noi ben ferma”:
Il problema reale non può essere quello di essere o di non essere parte di un movimento internazionale, come quello operaio e comunista. Il problema vero […] è quello del modo e del senso della nostra presenza e della nostra azione in uno schieramento che non si limita certo nei confini del sistema degli stati socialisti […] ma che abbraccia […] un complesso poderoso di forze antimperialistiche, rivoluzionarie, comuniste e socialiste. Si tratta non di estraniarsi da queste forze, ma di esserne parte attiva.
In questo senso, ribadendo “una concezione nuova dell’internazionalismo”, Longo evita sia il rischio di una chiusura nazionale del PCI, sia quello di un suo essere “schiacciato” sul blocco socialista. “Autonomia e diversità nell’unità” sono i due principi fondamentali affermati, sulla scia dell’elaborazione togliattiana, che viene ripresa anche sul tema della “responsabilità che incombe sul movimento operaio dei paesi capitalisti avanzati”.
Per svolgere un’azione proficua […] – conclude Longo – è indispensabile […] che siano ben precise e ferme la collocazione e le posizioni internazionali del nostro Partito. Qualsiasi forma di chiusura o di isolamento nazionale, qualsiasi gesto di allentamento dei nostri rapporti internazionali […] sarebbero un errore profondo, un colpo per la stessa linea politica che vogliamo difendere (27).
Come scriverà Armando Cossutta, che fu tra i più stretti collaboratori del segretario,
il punto era quello di come riuscire ad avere e perseguire le nostre posizioni, anche quando esse comportavano una polemica molto marcata, senza rompere i rapporti con il Partito comunista sovietico. Dissenso sì, diceva Longo, rottura mai (28).
Infine, l’altro cardine dell’impostazione di Longo – da segretario, ma anche nei decenni precedenti – è il tema della democrazia, sia come lotta contro tutti i tentativi di involuzione autoritaria dello Stato, sia come affermazione del legame inscindibile fra lotta per la democrazia e lotta per il socialismo, fra democrazia rappresentativa e potere popolare. Specie dopo il ’68, rilancia con forza questa tematica, sottolineando ancora una volta la centralità della partecipazione e iniziativa di massa. Dirà infatti al XII Congresso:
[…] nella nostra repubblica le assemblee rappresentative debbono poggiare – se si vuole che siano davvero vive, funzionanti e democratiche – sulla organizzazione e permanente mobilitazione delle masse, sui partiti e sui sindacati, sulle autonomie locali, su organi democratici di base.
[…]
Noi dobbiamo lottare, al tempo stesso, per un rinnovamento profondo degli istituti democratici rappresentativi e per conquistare, con nuove forme di democrazia diretta, nuove posizioni e possibilità di direzione per i lavoratori e per tutti i cittadini. Senza la lotta delle masse organizzate, senza la pressione democratica del paese, la vita delle assemblee elettive inevitabilmente degrada nel parlamentarismo e nel trasformismo.
Ma è del tutto errato non vedere come la lotta delle masse, l’azione democratica del paese possono provocare spostamenti e crisi all’interno dei partiti […] e all’interno delle assemblee elettive (29).
Mobilitazione “dal basso” e azione politico-istituzionale non sono dunque per Longo momenti contrapposti, ma assolutamente complementari.
7. Colpito da ictus alla fine del 1968, Longo sarà affiancato da Berlinguer come vicesegretario già nel febbraio ’69. Comincia allora una nuova fase della vita del Partito e della sua stessa funzione dirigente. Negli anni successivi, non mancherà di far sentire la sua voce, sia nel dibattito sulla Resistenza, i suoi limiti e il ruolo dei comunisti al suo interno; sia nella fase difficile della solidarietà nazionale, rispetto a cui prenderà una posizione critica, cogliendo il rischio che quella complessa operazione politica finisse per assicurare la continuità degli assetti di potere consolidati anziché utilizzare la grande forza del PCI per superarli e batterli.
Il 16 ottobre 1980, Longo si spegne, dopo una vita che non è retorico definire eroica. Come dirà Berlinguer, la sua è stata la vicenda “di un leggendario combattente e insieme di un politico acuto, di un organizzatore infaticabile ma anche di un creatore pieno di fantasia, di un realizzatore amante della concretezza”. Un dirigente – ha scritto ancora Guerra – dotato “di una intelligenza politica continuamente presente” (30) . Di figure del suo calibro, oggi, non si può non sentire la mancanza.
Intervistato da Salinari, a proposito del costume di partito, Longo diceva:
Ogni ascesa a posti di responsabilità, lo stesso riconoscimento di Togliatti come capo indiscusso […] furono sempre la conseguenza della stima e del consenso sincero degli organismi di direzione e dell’insieme del partito. L’esibizionismo, la ricerca di popolarità non ebbero mai tra di noi diritto di cittadinanza.
È a questa scuola di probità e di sincero e onesto spirito di solidarietà collettiva […] che si vennero formando, nella lotta, nei pericoli, nel sacrificio, i quadri dirigenti comunisti e un costume di lavoro che fecero del nostro un partito diverso non solo dagli altri aggruppamenti antifascisti, ma anche da molti altri partiti comunisti […].
E ancora:
Se nello spirito di disciplina e di sacrificio, se nel centralismo, se nel voler fare politica in qualsiasi situazione per incidere sul suo sviluppo e guidarlo verso le necessarie soluzioni, consiste il segreto della nostra sopravvivenza e del nostro continuo progredire, dobbiamo concludere che questo spirito e questa volontà sono sempre stati […] nel nostro partito, sono stati e sono tuttora causa determinante e necessaria dei progressi che ci hanno sempre accompagnati (31) .
note
  1. A. Natta, Per un profilo di Luigi Longo, in Luigi Longo. La politica e l’azione, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 23; E. Macaluso, 50 anni nel PCI, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 165; G. Boffa, Memorie dal comunismo. Storia confidenziale di quarant’anni che hanno cambiato volto all’Europa, Firenze, Ponte alle Grazie, 1998, pp. 131-132.
  2. TAA di Aldo Tortorella.
  3. Cfr. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Torino-Roma, Einaudi-l’Unità, 1990, vol. I, Da Bordiga a Gramsci; vol. III, Gli anni della clandestinità.
  4. L. Longo, C. Salinari, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna. Ricordi e riflessioni di un militante comunista, Milano, Teti, 1976, pp. 150, 155.
  5. Longo-Salinari, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna. Ricordi e riflessioni di un militante comunista, cit., p. 354.
  6. Cfr. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, cit., vol. IV, Gli anni della clandestinità, p. 239.
  7. Cit. in Longo-Salinari, op. cit., p. 332. Cfr. P. Secchia, L’azione svolta dal Partito comunista in Italia durante il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1969.
  8. Cit. in Spriano, op. cit., vol. IV, p. 287.
  9. Longo-Salinari, op. cit., pp. 264-265.
  10. Spriano, op. cit., vol. V, I fronti popolari, Stalin, la guerra, pp. 93-94, 130-135; Longo-Salinari, op. cit., pp. 184-222.
  11. Spriano, op. cit., vol. V, cit., pp. 305-318.
  12. G. Amendola, Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1943-1945, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 155.
  13. Spriano, op. cit., voll. VII-VIII, La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, pp. 20, 113-119, 188-189, 260-281.
  14. Natta, Per un profilo di Luigi Longo, cit., p. 31.
  15. Amendola, Lettere a Milano…, cit., p. 475.
  16. r. L. Longo, Continuità della Resistenza, Torino, Einaudi, pp. 57-58.
  17. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Il “Partito nuovo” dalla Liberazione al 18 aprile, Torino, Einaudi, 1995, pp. 27, 33-4, 47-48, 61-62.
  18. ivi p. 242-244.
  19. G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Dall’attentato a Togliatti all’VIII Congresso, Torino, Einaudi, 1998, p. 67.
  20. Gundle, I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa (1943-1991), Giunti, 1995, p. 149.
  21. Barbagallo, Socialismo e democrazia: la polemica tra Giolitti e Longo nel 1956, in Luigi Longo. La politica e l’azione, cit., pp. 253-259.
  22. Gozzini-Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Dall’attentato a Togliatti all’VIII Congresso, cit., pp. 231-232, 377, 575.
  23. G. Amendola, Il compagno Luigi Longo, in Una vita nella storia, “I Comunisti”, marzo 1970, pp. 6-7.
  24. A. Guerra, La via di Longo a un comunismo diverso, “l’Unità”, 16 ottobre 2005.
  25. E. Berlinguer, Nell’ottantesimo compleanno del comandante Longo, “Il Calendario del popolo”, agosto-settembre 1980, p. 7493.
  26. A. Höbel, Luigi Longo segretario del PCI, “Il Calendario del popolo”, 2004, nn. 685-686; Id., Il PCI di Longo e il ’68 studentesco, “Studi storici”, 2004, n. 2; Id., Il PCI, il ’68 cecoslovacco e il rapporto col PCUS, ivi, 2001, n. 4.
  27. Cfr. Höbel, Il PCI, il ’68 cecoslovacco e il rapporto col PCUS, cit.
  28. A. Cossutta, Un pranzo per bavardare, “Il Calendario del popolo”, agosto-settembre 1980, p. 7530.
  29. L. Longo, Il Partito comunista italiano di fronte ai problemi nuovi della lotta democratica e socialista in Italia e dell’internazionalismo proletario, relazione introduttiva, in XII Congresso del Partito comunista italiano. Atti e risoluzioni, Roma, Editori Riuniti, 1969, pp. 36-39, 45.
  30. Guerra, La via di Longo a un comunismo diverso, cit.
  31. Longo-Salinari, op. cit., pp. 324, 328.

http://anpimontignoso.it/index.php/i-partigiani/13-il-%E2%80%9Ccomandante-gallo%E2%80%9D-nella-resistenza-italiana.html

LUIGI LONGO (1900−1980), nasce in provin­cia d’Alessandria, a Fubine di Mon­fer­rato, il 15 marzo 1900, da famiglia di con­ta­dini pic­coli pro­pri­etari. Pochi anni dopo si trasferisce a Torino, dove il padre Giuseppe apre una mescita di vino nei pressi dello sta­bil­i­mento Grandi Motori Fiat aperto da poco.

Anche la famiglia Longo, come tan­tis­sime in quell’epoca, con­duce una vita dig­ni­tosa ma tra grandi ristret­tezze eco­nomiche; con sac­ri­fici riesce a fare stu­di­are Luigi, unico figlio mas­chio men­tre le due sorelle avviano pic­cole attiv­ità com­mer­ciali nei pressi di piazza del Duomo.

Stu­dente al Politec­nico di Torino, Longo fre­quenta a Parma anche la Scuola Mil­itare per uffi­ciali dell’esercito. Supera bril­lante­mente il primo anno di esami di ingeg­ne­ria ma decide di get­tarsi nell’impegno politico sac­ri­f­i­can­dovi i suoi studi ed una pos­si­bile car­ri­era nell’amministrazione pubblica.

Nel 1920 s’iscrive al Gruppo stu­den­tesco social­ista di Torino del quale diventa Seg­re­tario; qui, fre­quenta la redazione della nuova riv­ista social­ista “L’Ordine Nuovo” e incon­tra Anto­nio Gram­sci e Palmiro Togliatti.

Con la scis­sione del PSI al Con­gresso di Livorno (gen­naio 1921), aderisce al Par­tito comu­nista d’Italia – sezione dell’Internazionale Comu­nista (IC) e ne diventa ben presto uno dei mas­simi diri­genti. Quello stesso anno conosce Teresa Noce (1900−1980), gio­vane operaia tor­ni­trice alla Fiat Brevetti, seg­re­taria del Cir­colo gio­vanile comu­nista del popoloso rione tori­nese di Porta Palazzo, che sarà poi conosci­uta dal 1930 con lo pseudon­imo “Estella” e che sposerà nel 1925, appena rag­giunta la mag­giore età che all’epoca è sta­bilita a 25 anni. Con Estella avrà tre figli (Luigi Libero, “Gigi”, nel 1923; Pier Giuseppe nel 1925, morto in tener­is­sima età e Giuseppe-​Piero-​Luciano, “Putisc”, nel 1929). Nel 1922, a Torino, le squadracce fas­ciste – che già nel 1918 ave­vano dev­as­tato la Cam­era del Lavoro – inten­si­f­i­cano le intim­i­dazioni, le aggres­sioni e le vio­lenze con­tro operai e sin­da­cal­isti. I comu­nisti tori­nesi ten­tano di rea­gire al ter­ror­ismo fascista; Longo è molto attivo nell’organizzare pic­cole squadre di com­bat­ti­mento ed una serie di spet­ta­co­lari manifestazioni-​lampo.

Prima della mar­cia su Roma del 28 otto­bre e del con­seguente colpo di Stato avval­lato dal re Vit­to­rio Emanuele III, si reca a Mosca con la del­egazione della Fgci per parte­ci­pare al IV con­gresso dell’I.C.

LA CLAN­DES­TINITA’ – IL PATTO DI UNITA’ D’AZIONE

Il 18 dicem­bre e nei giorni suc­ces­sivi si com­pie, per mano dei fascisti, quella che sarà definita la “strage di Torino”, con la nuova dis­truzione della Cam­era del Lavoro di Corso Galileo Fer­raris, l’assalto alla redazione de “L’Ordine Nuovo” e l’assassinio orga­niz­zato di decine di comu­nisti, o anche solo pre­sunti tali, com­plice il silen­zio delle autorità del Regno. Rien­trato da Mosca riceve il com­pito di dirigere il peri­od­ico della Fgci “Avanguardia”.

Si trasferisce, per­ciò, a Roma, insieme a Estella ma in seguito all’arresto, nel feb­braio 1923, del Seg­re­tario del PCd’I, Amadeo Bor­diga e di gran parte della Direzione, è costretto a spostarsi a Milano.

Anche Longo viene arrestato nel 1923 insieme a Giuseppe Berti e Anto­nio Cas­sitta e resta detenuto per un anno a San Vit­tore. Uscito dal carcere entra nella vera e pro­pria clan­des­tinità. Il 30 mag­gio 1924 il dep­u­tato social­ista Gia­como Mat­teotti pro­nun­cia alla Cam­era dei Dep­u­tati un dis­corso di forte accusa con­tro il regime fascista e Mussolini.

Qualche giorno dopo l’Unità ne denun­cia dram­mati­ca­mente la scom­parsa. Il corpo di Mat­teotti viene trovato il 14 giugno: nes­sun dub­bio che si tratti di un assas­sinio politico. Lo sban­da­mento di Mus­solini, messo sotto pres­sione dallo sdegno gen­erale anche all’estero, fa ipo­tiz­zare un inter­vento del re per sos­ti­tuire il gov­erno. Il PCd’I non cede alle illu­sioni e chiede lo sciopero gen­erale. La CGL frena ogni ten­ta­tivo di protesta men­tre le altre oppo­sizioni (PPI e PSI) si lim­i­tano a proteste ver­bali e ad uscire dal Parlamento.

L’occasione di chia­mare le masse ad una soll­e­vazione viene per­duta; il regime si raf­forza. Dopo un nuovo arresto nel 1925, Longo è costretto a las­ciare l’Italia.

Nel feb­braio 1926, dopo il Con­gresso di Lione (29 gen­naio), si reca a Mosca per la sec­onda volta, insieme alla moglie Teresa Noce ed al figlio Gigi. E’ il peri­odo nel quale si svol­gono nel par­tito russo aspri con­trasti tra i diri­genti bolsce­vichi con la ria­c­u­tiz­zazione della lotta con­tro il trotskismo.

Quello stesso anno Josif Vis­sar­i­onovic (Stalin) diventa Seg­re­tario del Pcus e capo dell’Urss. Longo, in rap­p­re­sen­tanza del Kim (Inter­nazionale della Gioventù Comu­nista), parte­cipa alle riu­nioni più impor­tanti del Kom­intern (Inter­nazionale Comunista).

Il 5 novem­bre 1927 Ben­ito Mus­solini prende spunto dall’attentato com­pi­uto con­tro di lui (attribuito dai fascisti al quindi­cenne Anteo Zam­boni, assas­si­nato sul posto) e intro­duce le leggi eccezion­ali che sop­p­ri­mono i partiti.

L’ondata di feroce repres­sione che ne segue porta qualche giorno dopo all’arresto di Anto­nio Gram­sci e poi di Mauro Scoc­ci­marro, di Umberto Ter­racini ed altri diri­genti del PCd’I. Tale situ­azione rischia la com­pleta dis­ar­ti­co­lazione del par­tito; si impone, per­ciò, il raf­forza­mento dell’organizzazione del cen­tro estero di direzione, inizial­mente a Parigi e poi a Lugano, sotto la guida di Palmiro Togli­atti, cui si aggiunger­anno Rug­gero Grieco, Teresa Noce e lo stesso Longo, che rien­tr­erà spesso in Italia per il lavoro clan­des­tino con lo pseudon­imo di “Gallo”, poi di “Lisbona”.

Il PCd’I, a dif­ferenza degli altri par­titi aven­tini­ani, decide di man­tenere in Italia il cen­tro direzionale della lotta antifascista e raf­forza le mis­ure cospi­ra­tive, per sfug­gire all’OVRA (Opera Vig­i­lanza Repres­sione Antifascista) peri­colosa orga­niz­zazione seg­reta isti­tuita da Mus­solini a par­tire dal 1926. E’ una scelta cor­ag­giosa, con­trastata da alcuni diri­genti ma forte­mente sostenuta da Longo: essa darà frutti pos­i­tivi qualche anno dopo ma nell’immediato costerà caro in ter­mini di comu­nisti con­fi­nati, arrestati, seviziati e anche uccisi.

La firma (11 feb­braio 1929) dei Patti Lat­er­a­nensi tra l’Italia ed il Vat­i­cano, seguita dal Con­cordato tra lo Stato e la Chiesa, raf­forza notevol­mente il regime fascista che ottiene il con­senso esplic­ito delle ger­ar­chie eccle­si­as­tiche e dell’Azione Cattolica.

Tre giorni dopo, il 14 feb­braio, Pio XI arriva a definire Mus­solini “l’uomo invi­ato dalla Provvi­denza”. Il 24 otto­bre, negli Stati Uniti si ver­i­fica il crac della borsa di New York: inizia la “grande depres­sione” che colpirà tutti i paesi cap­i­tal­is­tici, in primo luogo e pesan­te­mente la Ger­ma­nia, già in dif­fi­coltà per l’enorme deb­ito di guerra.

Nel clima di sof­ferenza eco­nom­ica e di revan­scismo nazion­al­ista, il 30 gen­naio 1933 Adolf Hitler sale al potere in Ger­ma­nia, strac­cia la Cos­ti­tuzione della debole Repub­blica di Weimar e instaura la più feroce dit­tatura che l’Europa abbia conosci­uto. In quello stesso anno Longo diventa mem­bro della com­mis­sione polit­ica del Kom­intern e viene invi­ato a Mosca per seguire il lavoro nell’emigrazione.

Nel dibat­tito politico, facendo tesoro dell’esperienza mat­u­rata nel lavoro clan­des­tino e nell’emigrazione, Longo si mostra tra i più con­vinti asser­tori della polit­ica di unità d’azione con i social­isti e si adopera per dare vita ad un fronte popo­lare anche in Italia.

Alcuni mesi dopo, nell’estate del 1934, sarà pro­prio Luigi Longo, con Giuseppe Di Vit­to­rio ed Egidio Gen­nari) a fir­mare il patto di unità d’azione con il Psi (Pietro Nenni, Giuseppe Sara­gat, Bruno Buozzi). E’ il primo atto uffi­ciale di unità dopo anni di divi­sioni e sus­cita grande entu­si­asmo tra i lavo­ra­tori influen­zando la ripresa del movi­mento antifascista in Italia. Dirà anni dopo lo stesso Longo: “Fu sulla base di quel patto, più volte rin­no­vato, e del lavoro uni­tario nell’emigrazione che si poté, al momento della riv­olta del tra­di­tore Franco con­tro la Repub­blica spag­nola, portare centi­naia e migli­aia di lavo­ra­tori, comu­nisti e social­isti, emi­grati in Fran­cia, a com­bat­tere in Spagna, prima nel Battaglione Garibaldi e poi nella XI Brigata Inter­nazionale, in difesa della Repub­blica spag­nola”.

Il cam­bi­a­mento di linea dei par­titi comu­nisti e di quelli social­isti in diversi Paesi europei non tarda a dare i suoi frutti: nel feb­braio 1936 il Fronte Popo­lare vince le elezioni in Spagna ed analoga alleanza vince in Fran­cia nel mag­gio suc­ces­sivo. L’esperienza dei fronti popo­lari francese e spag­nolo hanno un’influenza gran­dis­sima su tutto l’antifascismo ital­iano e par­ti­co­lar­mente sul PCd’I.

Nascerà un “nuovo antifas­cismo” che si svilup­perà nelle fab­briche e nelle uni­ver­sità cre­ando una nuova gen­er­azione di avan­guardie operaie ed intel­let­tuali. La scelta uni­taria con­sente al movi­mento sin­da­cale francese di ottenere, sotto il gov­erno di Léon Blum, impor­tanti risul­tati come la con­quista delle 40 ore (pagate 48), il diritto alle ferie ret­ribuite (15 giorni), i con­tratti col­let­tivi nazion­ali, il riconosci­mento dei del­e­gati sin­da­cali di fab­brica, un aumento salar­i­ale del 12%, il pro­l­unga­mento dell’età scolastica.

LA GUERRA DI SPAGNA – LE BRIGATE INTERNAZIONALI

In Spagna, invece, pas­sata l’euforia della vit­to­ria si pro­duce (18 luglio 1936) la “riv­olta dei quat­tro gen­er­ali” (Franco, Mola, Queipo de Llano, Goded) capeg­giata dal gen­erale Fran­cisco Franco che comanda le truppe di stanza in Marocco.

Con lui si schier­ano il 95% degli uffi­ciali e l’80% dei sol­dati. Solo la flotta resta fedele alla repub­blica. Il putsch, che porterà di lì a poco alla guerra civile, riv­ela tutta la debolezza del gov­erno in car­ica; solo la forte reazione delle masse rac­colte orga­niz­zate dalla sin­is­tra salva la repub­blica. Il rapido cam­bio del gov­erno porta al ruolo di primo min­istro José Giral che ordina la dis­tribuzione delle armi al popolo.

Prima di trasfor­marsi in scon­tro tra for­mazioni mil­i­tari più o meno rego­lari, la guerra inizia come guer­riglia di popolo in tutte le città più impor­tanti. Il 21 luglio Vit­to­rio Vidali, che sarà conosci­uto come il leggen­dario “Coman­dante Car­los (Con­tr­eras)” aiu­tato da Ettore Quaglierini (Pablo Bono), orga­nizza per il Par­tito comu­nista spag­nolo il V° Reg­g­i­mento (il Reg­g­i­mento d’acciaio), unità di élite dell’esercito spagnolo.

Dopo lo scop­pio dell’insurrezione il 13 agosto sorge a Parigi – per inizia­tiva di gruppi antifascisti – un Comi­tato Inter­nazionale di Aiuto al Popolo Spag­nolo (diretto da Giulio Cer­reti) men­tre i gov­erni francese, inglese e statu­nitense, adot­tano la scelta del “non inter­vento”, che non tarderà a riv­e­larsi come un errore di enorme por­tata: la sot­to­va­l­u­tazione del peri­colo naz­i­fascista spi­anerà, infatti, la strada alle mire espan­sion­is­tiche di Hitler ed alla trage­dia immane della sec­onda guerra mon­di­ale. E’ opin­ione unanime che se la Fran­cia avesse soc­corso la Spagna repub­bli­cana, la ribel­lione sarebbe stata stron­cata nelle prime set­ti­mane. Inutil­mente l’antifascismo ital­iano e par­ti­co­lar­mente gli esuli comu­nisti e social­isti che in Fran­cia si rac­col­gono intorno all’Unione Popo­lare pre­sieduta da Luigi Longo, denun­cia ten­ten­na­menti, ambi­gu­ità, ced­i­menti della socialdemocrazia inter­nazionale che sta sac­ri­f­i­cando la causa della repub­blica spag­nola ad altri cal­coli. I gov­erni di Ger­ma­nia, Italia e Por­to­gallo, invece, fin dall’inizio sosten­gono aper­ta­mente i fran­chisti; il Vat­i­cano è il più pronto a schier­arsi pub­bli­ca­mente e uffi­cial­mente con essi anche se dovrà reg­is­trare la dif­fusa dis­obbe­dienza del basso clero. La guerra di Spagna si con­figura subito come un evento des­ti­nato a cam­biare il corso della sto­ria in senso tragico.

Tale con­sapev­olezza induce migli­aia di antifascisti di tutte le nazion­al­ità ad accor­rere in difesa della repub­blica. Longo è tra i primi a por­tarsi in Spagna. Il 17 agosto, ad opera di Mario Angeloni, Carlo Rosselli, Umberto Calosso, Camillo Berneri, viene cos­ti­tuita in Cat­a­logna la “Colonna italiana”.

Il 18 agosto a Granada viene assas­si­nato il poeta Fed­erico Gar­cia Lorca.

Alla fine di set­tem­bre Longo, ripreso il nome di battaglia di Gallo, assume il grado di Coman­dante di Stato Mag­giore ed avvia l’organizzazione delle B.I.: nel corso del con­flitto, saranno quasi 50 mila i volon­tari di 53 paesi che si rac­coglier­anno in 14 brigate. Aiu­tato da Giuseppe Di Vit­to­rio e da André Marty riesce a far nascere quasi dal nulla una orga­niz­zazione mil­itare effi­ciente. I prob­lemi di ordine mil­itare, orga­niz­za­tivo, logis­tico, psi­co­logico, politico sono immensi ma Longo si riv­ela l’uomo adatto per risol­vere queste dif­fi­coltà, per il suo spir­ito pratico e per le sue doti umane.

Uno dei prin­cipi su cui insiste, superando le non poche resistenze, è quello di inserire un’aliquota di com­bat­tenti spag­noli nelle B.I. allo scopo di cemen­tarne l’unione. In pochi giorni ven­gono cos­ti­tu­ite due brigate: la XI, coman­data dal gen­erale Lazar Stern (Emil Kléber) e cos­ti­tuita dai battaglioni Edgar André (tedesco), La Com­mune de Paris (franco-​belga), Dom­browsky (polacco), il com­mis­sario politico è Giuseppe Di Vit­to­rio; la XII, coman­data dal gen­erale Mata Zalke (Luckas) e cos­ti­tuita dai battaglioni Thael­mann (tedesco-​slavo), Garibaldi (ital­iano, nel quale com­bat­terà Longo), André Marty ( franco-​belga), il com­mis­sario politico è lo stesso Luigi Longo.

Nelle set­ti­mane suc­ces­sive si for­mano le altre Brigate tra le quali la “Lin­coln” for­mata da comu­nisti e antifascisti amer­i­cani che subirà gravi perdite; molti dei suoi super­stiti, nel 1944 – 45, saranno uti­liz­zati in Italia dall’esercito amer­i­cano per costru­ire rap­porti e col­lega­menti con la Resistenza Italiana.

Il 28 otto­bre la Ger­ma­nia invia la “Legione Con­dor” (circa 16 mila uomini a rotazione) a sostegno dei fran­chisti. Il 5 novem­bre, dopo un som­mario adde­stra­mento ad Albacete, l’XI e la XII B.I. sono invi­ate a difesa di Madrid asse­di­ata dai nazion­al­isti che sfer­rano l’attacco il 7 novem­bre, ma saranno respinti. Il 23 novem­bre Franco è costretto a sospendere gli attac­chi ed a togliere l’assedio alla cap­i­tale. Per la prima volta le truppe venute dal Marocco ven­gono bloccate.

Alla fine del 1936, Longo resta fer­ito dall’esplosione di una bomba a Pozuelo d’Alarcón, presso Madrid. Nel dicem­bre è nom­i­nato Com­mis­sario di Divi­sione e Ispet­tore Gen­erale di tutte le Brigate Inter­nazion­ali e dei servizi san­i­tari inter­nazion­ali, che rap­p­re­senta il grado più ele­vato isti­tu­ito per le B.I. La sua calma ed il sangue freddo, la capac­ità di assumersi grandi respon­s­abil­ità, la grande conoscenza degli uomini, unita alla scrupolosa cura dei det­tagli – carat­ter­is­tica mat­u­rata nei lunghi anni della clan­des­tinità – risul­tano fra i prin­ci­pali ele­menti della coe­sione e dei suc­cessi delle Brigate Inter­nazion­ali nonos­tante l’enorme squilib­rio tra le forze in campo.

Il 3 gen­naio del 1937 sbarca in Spagna (Cadice e Siviglia) il primo con­tin­gente del Corpo Truppe Volon­tarie (CTV) invi­ate da Mus­solini; gli effet­tivi saranno com­p­lessi­va­mente 78.846 inqua­drati in 4 Divi­sioni: “Dio lo vuole” (gen. Edmondo Rossi), “Fiamme nere” (gen. Amerigo Coppi), “Penne nere” (gen. Nuvolari), “Lit­to­rio” (gen. Anni­bale Bergonzoli).

Nella vit­to­riosa battaglia di Guadala­jara (8−25 marzo 1937) si con­trap­pon­gono 50 mila fascisti (30 mila ital­iani del CTV al comando del gen­erale Mario Roatta più 20 mila spag­noli) e 6⁄7 mila miliziani repub­bli­cani (la mili­cia pop­u­lar), cui si aggiun­gono due giorni dopo l’XI e la XII B.I. Il Battaglione Garibaldi (al suo interno opera la bat­te­ria di artiglieri “Anto­nio Gram­sci”), agli ordini di Ilio Baron­tini (Dario), è scelto per l’attacco frontale di sfon­da­mento delle linee nemiche, affi­an­cato dai Battaglioni “André Marty”, “Dom­browsky”. In seguito al suc­cesso di tale oper­azione mil­itare il Garibaldi darà il nome a tutta la XII Brigata Internazionale.

La battaglia di Guadala­jara verrà ricor­data come la “prima scon­fitta del fas­cismo” ed avrà un’eco enorme soprat­tutto in Italia. In quegli stessi giorni, il 19 marzo 1937, Pio XI, nella Enci­clica “Divini Redemp­toris” si scaglierà con­tro il fla­gello comu­nista in Spagna.

Il 26 aprile la città di Guer­nica, sim­bolo dell’autonomia basca, è bom­bar­data e rasa al suolo dalla legione tedesca “Con­dor”. Il bom­bar­da­mento causa 1.654 morti e 889 fer­iti. Pablo Picasso lo rap­p­re­sen­terà in un suo famoso dipinto.

In Italia, all’alba del 27 aprile, muore Anto­nio Gram­sci. “Hanno finito di assas­si­narlo” scriverà dalla Fran­cia Emanuele Modigliani. I gior­nali ital­iani danno scarso rilievo alla notizia men­tre all’estero l’eco sarà gran­dis­sima. Gius­tizia e Lib­ertà (GL) scriverà: “Il pen­siero di Gram­sci è fis­sato non solo sulla carta ma nei cervelli e nelle coscienze dell’élite riv­o­luzionaria … Un regime che assas­sina un Gram­sci ha la vita seg­nata”. Il regime fascista teme reazioni e man­i­festa il pro­prio ter­rore negando la sepoltura in un cimitero pub­blico di Roma: le ceneri di Gram­sci saranno ospi­tate nel “cimitero a-​cattolico” del quartiere Testaccio.

Il 9 giugno a Bag­noles de l’Orne, in Nor­man­dia, ven­gono assas­si­nati dai fascisti i fratelli Carlo e Nello Rosselli. Il 4 luglio, nel corso del 2° Con­gresso Inter­nazionale per la difesa della Cul­tura, intel­let­tuali di tutto il mondo dichiarano il loro sostegno alla repub­blica spag­nola. Tra questi aderiscono al doc­u­mento: Mar­i­tain, Mau­riac, André Gide, Curie, Hux­ley, Brom­field, Auden, Stein­beck, Upton Sin­clair, Camus, Albert Ein­stein, Fal­lkner, Cald­well, Bertold Brecht, Anto­nio Machado, Alberti, Bergamin, Ernest Hem­ing­way, Stephen Spender, André Mal­raux, Pablo Neruda, Tzara, Aragon, Hein­rich Mann, Char­lie Chaplin.

VERSO IL CON­FLITTO MON­DI­ALE – IL CARCERE – IL CONFINO

Il 29 set­tem­bre Arthur Neville Cham­ber­lain e Edouard Dal­adier, con l’accordo di Monaco, sac­ri­f­i­cano l’indipendenza del popolo cecoslo­vacco e con essa quella del popolo spagnolo.

Nell’ottobre del 1938, su pres­sione delle democra­zie occi­den­tali che per­se­ver­ano nella miopia e nell’errore, il gov­erno spag­nolo decide il ritiro dal fronte delle Brigate Inter­nazion­ali, che sfil­er­anno in parata applau­dite nelle strade di Madrid. L’esperienza mat­u­rata dai volon­tari ital­iani nel quadro delle B.I. ed all’insegna dell’unità antifascista, sarà preziosa per la Resistenza ital­iana alcuni anni dopo.

Per molti garibal­dini il ritorno in Fran­cia, dove si trova­vano ille­gal­mente, sig­nifica l’arresto. Per evi­tarlo, Edoardo D’Onofrio d’accordo con il Pcf riesce a provvedere di nuovi doc­u­menti i volon­tari in mag­gior peri­colo, des­ti­nan­done molti in Amer­ica, in Africa, in diversi paesi europei.

Il 1° aprile 1939 la guerra di Spagna è ter­mi­nata: Fran­cia, Inghilterra e Stati Uniti riconoscono il gov­erno fran­chista. Il giorno prece­dente le armate di Hitler ave­vano invaso la Cecoslo­vac­chia. Tor­nato in Fran­cia, Longo, insieme a Domenico Ciu­foli e Ste­fano Schi­ap­par­elli, orga­nizza una “scuola di par­tito” per molti comu­nisti garibal­dini rien­trati dalla Spagna che si trovano in situ­azione semi­le­gale e che, tut­tavia, man­i­fes­tano la volontà di con­tin­uare la lotta a fianco del popolo francese. Molti di essi entr­eranno a far parte della resistenza francese (maquis).

Il con­trib­uto degli ital­iani nel maquis sarà di 18 mila com­bat­tenti, con oltre 2 mila caduti. Nel clima di dif­fi­denza che si crea in seguito alla firma del patto di non aggres­sione russo-​tedesco tra Joachim von Ribben­tropp e Vjaceslav Micha­jlovic Molo­tov (Mosca, 23 agosto 1939), il gov­erno del radical-​socialista Dal­adier avvia la sta­gione degli arresti degli stranieri comu­nisti. Fra le prime vit­time Longo e Togli­atti ma, men­tre quest’ultimo non è riconosci­uto e verrà con­dan­nato a sei mesi per “uso di falso doc­u­mento per pas­sare la fron­tiera”, per Longo la con­danna è più dura in quanto è conosci­uto come pres­i­dente comu­nista dell’Unione Popolare.

Viene incar­cer­ato, inter­rogato e per­cosso nella pri­gione della Santé dove resta per quasi un mese per essere poi trasfer­ito al campo di con­cen­tra­mento Roland Gar­ros insieme ad altri comu­nisti ital­iani tra i quali Giu­liano Pajetta, Euge­nio Reale, Leo (Weiczen) Valiani, Mario Mon­tag­nana, Francesco Leone. Da qui, suc­ces­si­va­mente, al campo del Vernet-​sur-​Ariège nei Pirenei, dove ven­gono con­cen­trati ben 4 mila comu­nisti stranieri: tra gli ital­iani vi sono Giuseppe Alber­ganti, Vit­to­rio Bar­dini, Dino Sac­centi, Carlo Farini, Aladino Bibolotti, Felice Pla­tone, Cesare Colombo, Alessan­dro Seni­gaglia, Euge­nio Reale, Aris­todemo Maniera, Piero Dal Pozzo, Mario Ricci e molti altri. Dal Ver­net al campo di Les Milles poi a Mar­siglia e di nuovo al Ver­net. Qui si cos­ti­tu­isce un diret­tivo del PCd’I (Longo, Mario Mon­tag­nana, Gio­vanni Par­odi ed altri). In quei frangenti Leo Valiani esce dal PCd’I ed aderisce a GL.

Il 1° set­tem­bre 1939 i tedeschi invadono la Polo­nia; in risposta il 3 set­tem­bre Fran­cia ed Inghilterra dichiarano guerra alla Ger­ma­nia. Il 26 dello stesso mese il Pcf è messo fuori legge. Il 10 mag­gio 1940 la Fran­cia è invasa dai tedeschi che in pochi giorni arrivano a Parigi (14 giugno) e vi inse­di­ano il pro­prio comando; al sud (con sede a Vichy) viene cos­ti­tu­ito un gov­erno col­lab­o­razion­ista guidato dal mares­ciallo Henri Pétain.

Il 10 giugno 1940 Ben­ito Mus­solini dichiara guerra alla Fran­cia. Scrive Pietro Nenni: “E’ una guerra senza ragione, senza scusa, senza onore per­ché Mus­solini attacca la Fran­cia già invasa e ago­niz­zante facendo assumere all’Italia la parte dello sci­a­callo”.

Il 26 giugno 1941 Hitler rompe i patti con l’Urss e dà inizio alla sua inva­sione che si arresterà a Stal­in­grado con la resa (2 feb­braio 1943) delle truppe ger­maniche al comando del feld­mares­ciallo von Paulus. Nell’estate del 1941 Longo è trasfer­ito al carcere di Cas­tres e poi a Nizza.

Nel feb­braio 1942 è con­seg­nato alla polizia ital­iana, incar­cer­ato a Regina Coeli e dopo tre mesi invi­ato al con­fino a Ven­totene dove sono altri antifascisti e diri­genti comu­nisti (Umberto Ter­racini, Camilla Rav­era, Mauro Scoc­ci­marro, Pietro Sec­chia, Altiero Spinelli, ed altri). L’8 dicem­bre 1942, il giorno dopo Pearl Har­bur, gli Stati Uniti entrano in guerra con­tro l’Asse (Ger­ma­nia, Italia, Giappone).

Nel corso del 1942, in Italia, si cos­ti­tu­isce nella clan­des­tinità il Par­tito Comu­nista Cris­tiano (i comu­nisti cat­tolici) cui aderiscono, tra gli altri, Franco Rodano, Anto­nio Tatò, Adri­ano Ossicini, Luciano Barca, Fedele D’Amico, Giglia Tedesco, Paolo Moruzzi, Vit­to­rio Tran­quilli, Cor­rado Santarelli. Lib­er­ato dopo la caduta del fas­cismo (25 luglio 1943), Longo las­cia l’isola il 22 agosto ed entra subito nel vivo dell’azione. Incar­i­cato a ricev­erlo a Roma è Renato Gut­tuso che, insieme a Mario Socrate, lo accom­pa­gna nella casa di Luchino Vis­conti che lo ospiterà per qualche tempo.

Alcuni anni dopo (1951) Gut­tuso, a sig­nifi­care la con­ti­nu­ità tra Resistenza e Primo Risorg­i­mento, rap­p­re­sen­terà Luigi Longo (“il Garibaldi del ‘900″) al fianco di Giuseppe Garibaldi nel suo dip­into “La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio” nella quale i volon­tari garibal­dini ave­vano scon­fitto l’esercito bor­bon­ico apren­dosi la strada verso Palermo.

LA RESISTENZA – IL CLN – LE BRIGATE GARIBALDI

Il 29 agosto si ricos­ti­tu­isce la direzione del Par­tito Comu­nista Ital­iano (nome assunto il 15 mag­gio in sos­ti­tuzione di Par­tito Comu­nista d’Italia): Longo ne entra a far parte. La sera stessa scrive il “Promemo­ria sulla neces­sità urgente di orga­niz­zare la difesa nazionale”. Si tratta del doc­u­mento che verrà approvato il giorno dopo anche dal Par­tito social­ista e dal Par­tito d’Azione (Pd’A) e che segna il pas­sag­gio alla fase della lotta armata. I tre par­titi della sin­is­tra (PCI, PSI e Pd’A) cos­ti­tu­is­cono la Giunta Mil­itare tri­par­tita (Luigi Longo, San­dro Per­tini, Ric­cardo Bauer) che si reca imme­di­ata­mente dal Mares­ciallo Pietro Badoglio per pro­porre la neces­sità di sta­bilire ovunque con­tatti e accordi tra esercito e Fronte nazionale. E’ la prima “piattaforma” per la guerra di popolo, ma il gov­erno Badoglio resp­inge la proposta.

Il 1° set­tem­bre il tri­umvi­rato (Longo, Per­tini, Bauer) incon­tra il gen­erale Gia­como Car­boni, coman­dante mil­itare della piazza di Roma, per pro­por­gli la for­mazione di una Guardia Nazionale. Lo stesso ten­ta­tivo è fatto a Milano da Giro­lamo Li Causi con il gen­erale Vit­to­rio Rug­gero. La risposta è un rifi­uto dell’esercito che non vuole le milizie popo­lari. Tut­tavia il gen­erale Car­boni con­segne molte armi ai comu­nisti per orga­niz­zare le prime squadre armate a difesa di Roma. Il gov­erno Badoglio, però, le fa seques­trare imme­di­ata­mente dalla polizia.

Il 2 set­tem­bre il Pci lan­cia la parola d’ordine della polit­ica di unità nazionale con­tro il fas­cismo e l’occupante straniero. Il giorno dopo, in seg­retezza, si con­suma l’atto di resa dell’Italia con la firma dell’armistizio provvi­so­rio che verrà però resa pub­blica solo l’8 set­tem­bre su pres­sione del gen­erale Tay­lor. Questo ritardo con­sente alla Ger­ma­nia di pre­dis­porre ovunque la quasi totale neu­tral­iz­zazione dell’esercito ital­iano e di raf­forzare la pro­pria pre­senza in Italia con l’invio tem­pes­tivo di numerose divisioni.

Il 9 set­tem­bre a Roma nasce il CLN (Comi­tato di Lib­er­azione Nazionale), men­tre all’alba, con una tem­pes­tiv­ità più che sospetta e senza incon­trare osta­coli da parte tedesca, il re, la sua corte, il suo gov­erno fug­gono pre­cip­i­tosa­mente a Brin­disi las­ciando l’esercito senza diret­tive. Longo è mandato a Milano per orga­niz­zare, insieme ad altri diri­genti, l’azione del par­tito nell’Italia occu­pata. Non è facile con­vin­cere le diverse cor­renti antifas­ciste della neces­sità di orga­niz­zare la Resistenza come con­dizione per il riscatto e la rinascita del Paese, por­tato dal fas­cismo alla dis­fatta ed alla servitù.

Di fronte all’attesismo di quanti prop­ug­nano l’ipotesi min­i­male di una attiv­ità di pic­coli gruppi di infor­ma­tori alle dipen­denze dei comandi alleati (come gli stessi alleati sug­geriscono), il Pci rompe gli indugi e, all’inizio di novem­bre, cos­ti­tu­isce le prime Brigate d’assalto Garibaldi delle quali Longo assume il comando gen­erale. Così lo descriverà in seguito Leo Valiani: “Ritrovo Gallo … che con il nome di Italo è il coman­dante gen­erale delle Garibaldi e, insieme, il capo politico dei comu­nisti del Nord. Tutti dicono che Longo ha il volto della sfinge e cer­ta­mente nes­suno è capace di leg­ger­gli nei pen­sieri; non tradisce mai un’emozione e tan­tomeno un dub­bio. Che sia un uomo di raf­fi­nata cul­tura e di pro­fonda uman­ità, questo lo sanno solo gli intimi. Agli altri appare come scol­pito nella pietra; orga­niz­za­tore eccezionale, però, e freddo ragion­a­tore”. Nelle città sono già in azione i GAP (Gruppi di Azione Patri­ot­tica) e le SAP (Squadre di Azione Patri­ot­tica) preva­len­te­mente comunisti.

Di fronte alle titubanze di chi lamenta la carenza di arma­menti, Longo affronta la ques­tione in modo lap­i­dario: “le armi sono quelle che ha il nemico, a cui bisogna strap­parle”. All’inizio dell’Insurrezione Nazionale le for­mazioni garibal­dine saranno 575 su un totale di 1090 brigate par­ti­giane. Le classi che danno il più alto numero di par­ti­giani com­bat­tenti sono il ’24 e il ’25 e, addirit­tura il ’26: cioè ragazzi che hanno fre­quen­tato le scuole fas­ciste, che sono nati dopo la mar­cia su Roma e molto spesso non hanno sen­tito nes­suno par­lare di politica.

Anche in questo sta la stra­or­di­naria grandezza di quanti, nella clan­des­tinità e nella lotta al fas­cismo, hanno man­tenuto aperta una prospet­tiva di sper­anza e sono stati in grado di dare imme­di­ata sponda ed orga­niz­zazione alla voglia di riscatto di molti gio­vani dopo il ven­ten­nio buio e lo shock dell’8 set­tem­bre. Carat­ter­is­tica fon­da­men­tale della guerra par­ti­giana, annota in quei frangenti Longo, “è il movi­mento, non il pre­sidio, è l’attacco, non la difesa. La Resistenza non deve essere vista solo come lotta armata di for­mazioni mil­i­tari ma anche come lotta, resistenza delle grandi masse lavo­ra­trici sul luogo stesso del lavoro”. E’ l’appello del Pci alla mobil­i­tazione ed agli scioperi.

IL GOV­ERNO DI UNITA’ NAZIONALE – L’INSURREZIONE NAZIONALE

Il real­ismo politico di Longo lo porta a com­pren­dere che i rap­porti di forza e la situ­azione non con­sentono di scartare l’ipotesi di un com­pro­messo politico e mil­itare con le forze badogliane, fermo restando che la direzione resta al CLN. All’interno della Direzione nascer­anno pro­fondi con­trasti su questa linea che ver­ranno defin­i­ti­va­mente superati con il rien­tro di Togli­atti e con la svolta di Salerno (aprile 1944) allorché si sta­bilisce la cos­ti­tuzione del gov­erno di unione nazionale per dare al Paese una guida non più dis­cussa bensì riconosci­uta da tutto il movi­mento di lib­er­azione nazionale. Il Pci ritiene che in quel momento storico il com­pito più riv­o­luzionario sia quello di bat­tere Hitler e Mus­solini per ridare la lib­ertà al Paese.

Il 21 aprile il Pci, insieme agli altri par­titi dello schiera­mento antifascista, entra nel gov­erno Badoglio con due min­istri (Palmiro Togli­atti e Fausto Gullo) e due sot­toseg­re­tari (Mario Palermo e Anto­nio Pesenti).

Nel marzo 1944 la Resistenza ital­iana ha già una con­sis­tenza ed una esten­sione nazion­ali. Si pone, quindi, il prob­lema di col­le­gare fra di loro le varie for­mazioni, nate da diverse inizia­tive di diversi gruppi politici. Il 2 giugno le prime truppe del gen­erale amer­i­cano Mark Waine Clark entrano in Roma.

Da Milano, sem­pre nel giugno 1944, Longo con­tribuisce in modo deter­mi­nante alla costruzione del CVL (Corpo Volon­tari della Lib­ertà), che avrà il com­pito di unifi­care l’azione mil­itare delle diverse for­mazioni par­ti­giane e ne assume il comando insieme a Fer­ruc­cio Parri. In seguito, per volontà degli alleati, il comando passa nelle mani del gen­erale Raf­fele Cadorna, para­cadu­tato nell’Italia occu­pata, che ammet­terà con franchezza in un suo diario di “esercitare un potere poco più che for­male”, essendo i due vice (Longo e Parri) col­oro che reg­gono con forti e abili mani la ribellione.

Fer­ruc­cio Parri, che nell’autunno 1943 era stato des­ig­nato dal CLN a capo dell’organizzazione della Resistenza armata, con­fiderà con una attes­tazione di grande stima: “nel caso in cui morissi designo mio suc­ces­sore Gallo”.

Nell’estate 1944 gli eserciti alleati ven­gono inde­boliti sul fronte ital­iano e, non avendo più forza suf­fi­ciente per ottenere risul­tati deci­sivi con­tro l’enorme potenza della linea difen­siva dell’esercito tedesco, si fer­mano sulla Linea Got­ica. Da un rap­porto dell’OSS (Office of State­gic Ser­vices dell’esercito amer­i­cano) si apprende che “nel solo mese tra luglio e agosto del 1944 i par­ti­giani inter­cettano circa la metà dei riforn­i­menti tedeschi alla Linea Got­ica, procu­rando perdite val­u­tate in 1.700 uomini, dis­trug­gono 10 ponti fer­roviari, molti vagoni”.

Il 13 novem­bre il gen­erale inglese Harold Alexan­der (coman­dante delle forze alleate in Italia) emana un proclama con il quale invita le for­mazioni par­ti­giane a smo­bil­itare e a ritornare alle pro­prie case: “era evi­dente, e non solo a noi – scriverà lo stesso Longo alcuni anni dopo – l’obbiettivo di elim­inare il movi­mento di lib­er­azione ital­iano che stava avendo una esten­sione ed un carat­tere troppo com­pro­met­tente per le mire dei gruppi impe­ri­al­is­tici anglo-​americani”.

Sullo stesso argo­mento scriverà Fer­ruc­cio Parri: “L’unico e vera­mente costante nemico della lib­er­azione ital­iana è stato Churchill e in modi e gradi diversi una posizione sem­pre con­traria al movi­mento insur­rezionale l’ha sem­pre avuta il gov­erno inglese”.

E, ancora, Aldo Ani­asi: “era noto ai par­ti­giani che Win­ston Churchill non nascon­deva le sue sim­patie per la monar­chia e in par­ti­co­lare per i Savoia”.

Sfrut­tando il pro­prio ruolo al ver­tice del CNLAI e del CVL, Longo com­pie, però, un’abile e spregiu­di­cata oper­azione di “inter­pre­tazione” con la quale for­mal­mente approva il proclama punto per punto ma nella sostanza ne capo­volge il senso. La sua auda­cia ed il tono riso­luto porta tutto il gruppo diri­gente del CVL ad accettarne l’interpretazione che diventa quindi la posizione uffi­ciale trasmessa come diret­tiva (2 dicem­bre) a tutti i comandi regionali.

Di fatto il Comando del CVL rifi­uta di obbe­dire all’ordine del “tutti a casa”.

Le indi­cazioni di Longo ver­ranno appli­cate e questo salva l’insieme dell’esercito par­ti­giano anche nella durezza della repres­sione naz­i­fascista che si fa più intensa ora che gli alleati hanno fatto sapere che non inten­dono sfer­rare l’attacco di sfon­da­mento della Linea Gotica.

Nonos­tante la con­tra­ri­età degli alleati (ordine trasmesso il 31 marzo 1945 dal gen­erale Clark, che aveva sos­ti­tu­ito Alexan­der) l’Insurrezione Nazionale sol­lecitata e sostenuta dalla Resistenza al nord – che si riv­el­erà il più forte movi­mento par­ti­giano dell’Europa occi­den­tale – con­duce alla lib­er­azione di tutto il Paese che si con­clude il 25 aprile 1945 con l’ingresso delle for­mazioni par­ti­giane a Milano.

Il Comi­tato Esec­u­tivo Insur­rezionale è com­posto da Longo, Per­tini e Valiani. All’inizio dell’Insurrezione la mag­gior parte delle for­mazioni tedesche dis­lo­cate nel nord della Toscana, in Lig­uria ed in Piemonte si arren­dono ai vari CLN ter­ri­to­ri­ali. Quelle che rip­ie­gano verso il Bren­nero si trovano la strada bloc­cata dalle for­mazioni par­ti­giane e si arren­der­anno nelle due set­ti­mane suc­ces­sive. Kesser­ling è esplic­ito in un suo dis­pac­cio a Berlino con il quale chiede rin­forzi (26 feb­braio 1945): “L’attività delle bande di par­ti­giani sugli Appen­nini Occi­den­tali e lungo la Via Emilia si è dif­fusa come un lampo negli ultimi dieci giorni. La con­cen­trazione di gruppi par­ti­giani di varie ten­denze politiche in un’unica Orga­niz­zazione sta iniziando a pro­durre risul­tati evi­denti”.

Si tratta del più effi­cace riconosci­mento della statura politico-​militare di quanti, Longo in testa, ave­vano voluto l’unificazione delle for­mazioni par­ti­giane nel CVL.

Qualche giorno dopo la fucilazione di Mus­solini (Dongo, 28 aprile) e dei mag­giori ger­ar­chi fascisti (ese­guita sulla base della sen­tenza di morte pro­mul­gata dal CNL Alta Italia), farà gius­tizia dei respon­s­abili di tutto il pas­sato fascista. Il 30 aprile Hitler si sui­cida nel suo bunker di Berlino. La resa incon­dizion­ata della Ger­ma­nia avviene l’8 maggio.

Il 5 mag­gio 1945 a Milano, Longo sfila alla testa delle armate di lib­er­azione insieme a Fer­ruc­cio Parri, Raf­faele Cadorna, Enrico Mat­tei e ad altri diri­genti del CNL e del CVL. Al ter­mine del con­flitto è dec­o­rato dallo stesso gen­erale amer­i­cano Clark con la “Bronze Star”, una dec­o­razione che resta intan­gi­bile tes­ti­mo­ni­anza di quanto grande sia stato il con­trib­uto di Luigi Longo e delle Brigate Garibaldi alla causa della lib­ertà dei popoli. Scriverà Max Corvo, cap­i­tano dell’esercito Usa in forza al Secret Intel­li­gence mil­itare: “L’Italia, nel teatro delle oper­azioni bel­liche, cos­ti­tuì un caso unico in quanto, da paese nemico che aveva sostenuto una dit­tatura asso­luta, in pieno con­flitto bel­lico, sviluppò un movi­mento di lib­er­azione di così grande por­tata come quello che il CLNAI si trovò a dirigere, guadag­nan­dosi il rispetto dei capi alleati per la sua integrità morale, la sua capac­ità di sac­ri­fi­cio e l’autorevolezza dei suoi capi”.

IL DOPOGUERRA – ALLA GUIDA DEL PARTITO

Nel clima di unità nazionale e di ricostruzione polit­ica, eco­nom­ica e morale del Paese, nei giorni 16 e 17 giugno 1945, a Torino, si incon­trano sei impren­di­tori del nord: Pier­luigi Roc­catagli­ata, Vit­to­rio Val­letta, Piero Pirelli, l’ing. Falk, Rocco Piag­gio, Andrea Costa, già col­lusi con il regime fascista, che indi­cano all’ambasciatore Usa, Kirk quella che sarà la linea padronale: “Il comu­nismo sarà com­bat­tuto: a) con un’intensa cam­pagna di stampa e di pro­pa­ganda che includa la cor­ruzione dei lead­ers comu­nisti e di scrit­tori comu­nisti; b) con le armi”.

Dopo la Lib­er­azione gli ele­menti lib­er­ali, democris­tiani, autonomi che durante la lotta par­ti­giana furono atti­va­mente al fianco dei comu­nisti, dei social­isti e degli azion­isti saranno messi in ombra, esautorati e prati­ca­mente igno­rati nei loro stessi partiti.

Nel 1946 Longo entra a far parte della Con­sulta Nazionale e poi dell’Assemblea Cos­tituente. Sarà sem­pre rieletto alla Cam­era dei Dep­u­tati nelle liste del Par­tito Comu­nista Italiano.

Il 2 giugno 1946, con la vit­to­ria nel Ref­er­en­dum Isti­tuzionale, in Italia è procla­mata la Repub­blica. Quello stesso mese di giugno Togli­atti (Guardasig­illi), come seg­nale di paci­fi­cazione e di aper­tura di una fase nuova per il Paese, vara l’amnistia per i reati com­piuti dai repub­bli­chini di Salò ad esclu­sione dei tor­tu­ra­tori, degli assas­sini, dei dela­tori, dei servi dei tedeschi che ave­vano mandato nei campi di ster­minio nazisti i pro­pri con­nazion­ali e s’erano spar­titi i poveri beni.

Dopo lo “storico” viag­gio di Alcide De Gasperi negli Stati Uniti (gen­naio 1947), gli Usa indi­cano la loro idea di rap­porto con l’Italia, che dovrà restare sud­dito fedele: “una parola gen­tile e una fetta di pane, un omag­gio pub­blico alla cul­tura ital­iana e un’allusione disc­reta alle virtù della democrazia stile amer­i­cano” (21 novem­bre 1947, Wal­ter Dowl­ing, respon­s­abile per gli affari ital­iani del Dipar­ti­mento di Stato amer­i­cano). Il clima politico nel Paese va rap­i­da­mente cam­biando. La polit­ica di unità nazionale si rompe. Pci e Psi ven­gono esclusi dal gov­erno, la polit­ica gov­er­na­tiva si sposta a destra. Il 1°maggio del 1947 si con­suma l’eccidio di Portella delle ginestre.

Il 1° gen­naio 1948 entra in vig­ore la Cos­ti­tuzione che reca come prima firma quella del comu­nista Umberto Ter­racini. L’11 mag­gio dello stesso anno Luigi Ein­audi è eletto primo Pres­i­dente della Repub­blica e sos­ti­tu­isce il Pres­i­dente provvi­so­rio Enrico De Nicola.

Alla fine del 1953 Longo si sep­ara da Teresa Noce, cui seguirà anni dopo il divorzio in seguito all’approvazione (1970) della legge Baslini-​Fortuna, con­sen­tendo di rego­lar­iz­zare il suo rap­porto con Bruna Conti, dalla quale ha avuto un figlio (Egidio).

Nel 1954, dopo che la “grande paura” provo­cata dalle per­se­cuzioni con­tro i lavo­ra­tori comu­nisti (ucci­sioni, arresti, con­danne, licen­zi­a­menti, reparti-​confino) porta un crollo nel numero di iscritti alla Cgil, il Pci prende di petto la ques­tione. Longo (vice­seg­re­tario), insieme alla denun­cia dei gov­erni e del padronato, pone la ques­tione dell’insufficiente pre­senza del sin­da­cato in fab­brica e nei luoghi di lavoro. “Il sin­da­cato – afferma – invece di orga­niz­zare la pro­pria attiv­ità anche nella fab­brica sup­plisce a queste defi­cienze orga­niz­za­tive annet­ten­dosi e snat­u­rando altri organ­ismi di fab­brica come le Com­mis­sioni interne”.

La Cgil avvierà, poco tempo dopo, una nuova e più pro­fonda pen­e­trazione nelle fab­briche con la creazione dei Con­sigli di Fabbrica.

Dopo l’improvvisa morte di Palmiro Togli­atti, avvenuta il 14 agosto 1964 a Yalta (Crimea), è eletto Seg­re­tario del Pci. Accetta affer­mando di vol­ere essere “un seg­re­tario e non un capo”. In questo ruolo, d’intesa con la Direzione, tra i primi atti assume la deci­sione di ren­dere noto (Rinascita del 5 set­tem­bre 1964) il “Memo­ri­ale di Yalta”, il pro-​memoria redatto da Palmiro Togli­atti in Crimea con cui viene rib­a­dita la posizione dei comu­nisti ital­iani in mer­ito alla situ­azione del Movi­mento comu­nista inter­nazionale com­pen­di­ata nei ter­mini “unità nella diver­sità” e che for­nisce la prova più evi­dente della autono­mia inter­nazionale del PCI. Il Memo­ri­ale evi­den­zia anche le forti pre­oc­cu­pazioni sulla situ­azione interna: acuta reces­sione, risposte repres­sive alle lotte operaie, atteggia­menti reazionari nel gov­erno, minacce di colpo di stato (caso del gen­erale De Lorenzo).

Longo pros­egue senza titubanze la linea della “via ital­iana al social­ismo” che richiama la neces­sità dell’unità di tutte le forze social­iste in campo inter­nazionale (non esclusa la Cina) in un’azione comune che deve essere ricer­cata al di sopra delle diver­genze ide­o­logiche “poiché l’obiettivo comune è quello di con­trastare e bat­tere i gruppi più reazionari dell’imperialismo”. Questa linea pone il prob­lema della ricerca di una via paci­fica di accesso al social­ismo, della pre­cisazione del con­cetto di democrazia in uno Stato borgh­ese, delle forme più effi­caci di parte­ci­pazione delle masse operaie e lavo­ra­trici alla vita eco­nom­ica e polit­ica, della irri­n­un­cia­bil­ità alla pace sul piano inter­nazionale. Longo si rende conto che è anche nec­es­sario pro­cedere alla preparazione e alla for­mazione di un nuovo gruppo dirigente.

La linea polit­ica del Pci con Longo pone le basi per il grande balzo degli anni ’75 e ’76 con la seg­rete­ria di Enrico Berlinguer. Dalla tri­buna dell’ XI Con­gresso (Roma, gen­naio 1966), Longo pone il prob­lema del rap­porto tra coscienza reli­giosa e social­ismo for­nendo, tra l’altro, un per­son­ale con­trib­uto allo sviluppo della teo­ria dello Stato: “Siamo con­vinti che, in questa fase stor­ica, una pro­fonda coscienza cris­tiana è por­tata ad entrare in con­trad­dizione ed in con­flitto con le con­dizioni di sfrut­ta­mento e di lim­i­tazione della lib­ertà e della dig­nità della per­sona, pro­prie della soci­età cap­i­tal­is­tica e ad aprirsi, per­ciò, alle idee social­iste. Noi riaf­fer­mi­amo che siamo per l’assoluto rispetto della lib­ertà reli­giosa, della lib­ertà di coscienza, per cre­denti e non cre­denti, per cris­tiani e non cristiani……siamo per uno Stato effet­ti­va­mente e asso­lu­ta­mente laico. Come siamo con­tro lo stato con­fes­sion­ale, così siamo con­tro l’ateismo di stato”.

Dalla stessa tri­buna lan­cia la pro­posta di costru­ire assieme alle forze demo­c­ra­tiche, senza pre­ven­zioni né dog­ma­tismi, “una nuova soci­età, lib­er­ata dalla guerra, dallo sfrut­ta­mento e dall’indigenza” poiché “la nuova soci­età social­ista sarà non solo quale la vogliamo noi comu­nisti, ma anche quale la vor­ranno quanti con­tribuiranno alla sua edi­fi­cazione … La più salda unità delle forze operaie social­iste, antifas­ciste, non è in alter­na­tiva con l’unità delle forze demo­c­ra­tiche cat­toliche, né in alcun modo la con­trad­dice o l’esclude. Anzi, la sol­lecita, la favorisce, e la com­prende”.

IL SES­SAN­TOTTO – L’AUTUNNO CALDO – LA STRATE­GIA DELLA TENSIONE

Longo, più tardi, esprimerà ris­erve e dubbi sulla oppor­tu­nità e valid­ità della for­mu­lazione “com­pro­messo storico” data in un sag­gio su Rinascita da Enrico Berlinguer (dopo il san­guinoso colpo di stato cileno del 1973) per esprimere la tradizionale polit­ica di intese e di col­lab­o­razione con tutte le forze demo­c­ra­tiche per la direzione polit­ica e sociale del Paese. Berlinguer, prima del colpo di stato, aveva già affer­mato (XII Con­gresso, 1972) che “in un paese come l’Italia, una prospet­tiva nuova può essere real­iz­zata solo con la col­lab­o­razione tra le grandi cor­renti popo­lari: comu­nista, social­ista, cat­tolica. Di questa col­lab­o­razione l’unità della sin­is­tra è con­dizione nec­es­saria, ma non suf­fi­ciente”.

Dopo il sof­fo­ca­mento della democrazia cilena ad opera di Augusto Pinochet amplia la rif­les­sione: “in un paese cap­i­tal­ista d’Occidente non è per nulla suf­fi­ciente aver ottenuto una risi­cata mag­gio­ranza par­la­mentare … per aprire una facile strada all’instaurazione di una via nazionale al socialismo”.

Per Berlinguer ci vuole altro, “alleanze più larghe con tutti gli strati e con tutti i ceti che con­tano in un paese”.

L’errore di Sal­vador Allende era stato quello di “non aver cre­ato, o di non essere rius­cito ad ottenere, l’adesione della democrazia cris­tiana locale”.

Agli inizi del 1965 la situ­azione inter­nazionale si aggrava dopo che nel Viet­nam del Nord sono iniziati i bom­bar­da­menti indis­crim­i­nati senza nep­pure l’atto for­male della dichiarazione di guerra da parte degli Stati Uniti.

Tra il 1967 e 1968 esplode in Italia il Movi­mento Stu­den­tesco che immette sulla scena polit­ica nuovi soggetti e che si afferma a liv­elli di massa rius­cendo a col­le­garsi con la spinta paci­fista dei cam­pus uni­ver­si­tari amer­i­cani con­tro la bar­barie della guerra nel Viet­nam, con i sus­sulti del mondo sudamer­i­cano per sot­trarsi al dominio di oli­garchie cap­i­tal­is­tiche sostenute dagli USA che avranno nella morte di Ernesto Ché Gue­vara il loro punto di mag­giore parte­ci­pazione emo­tiva, con la cosid­detta riv­o­luzione cul­tur­ale cinese (“sparare sul quartier gen­erale”), con la grande espe­rienza del “mag­gio francese”, cui la borgh­e­sia francese farà muro attorno al gen­erale Charles De Gaulle.

Il som­movi­mento del ’68 segna un’era che porta con sé il capo­vol­gi­mento di tutta la con­cezione della vita, mod­i­fica punti di vista e con­sue­tu­dini con­sol­i­date e si pone come grande moto di lib­er­azione che porta alla rib­alta l’esigenza di mil­ioni di gio­vani di fare polit­ica e di par­lare di polit­ica. Un cro­gi­olo di emozioni, di sper­anze, di utopie, di aspet­ta­tive, di voglia di cam­biare che non è imme­di­ata­mente com­preso dalle forze politiche ital­iane e nep­pure dal Pci che inizial­mente ne resta dis­ori­en­tato e sostanzial­mente ostile. Longo si riv­ela invece attento, disponi­bile e aperto al con­fronto par­i­tario con gli stu­denti ed i con­tes­ta­tori. Spinge per­ciò il Par­tito a com­pren­dere orig­ini, sig­ni­fi­cato e por­tata di quanto sta acca­dendo uti­liz­zando con rig­ore il metodo marx­ista dell’analisi dif­feren­zi­ata (com­pren­dere prima di agire, attra­verso l’analisi conc­reta delle situ­azioni con­crete) ed una con­cezione volter­ri­ana nei rap­porti sociali e politici (toller­anza e rispetto delle idee altrui). E’ attento e pronto ricet­tore delle istanze di novità pre­senti nel tes­suto della soci­età ital­iana e chiama il Pci a sostenere e favorire il processo di ricom­po­sizione tra le istanze della riv­olta stu­den­tesca e le lotte operaie. Questa azione, che porterà Enrico Berlinguer a definirlo “Uomo dell’unità”, avrà suc­cesso già nelle elezioni del mag­gio 1968 (aumento di 1 mil­ione di voti) e pro­durrà, dopo l’autunno caldo del 1969, una serie pro­gres­siva di con­quiste sin­da­cali e sociali ed un avan­za­mento della democrazia nel Paese.

Le lotte operaie del 1969 rimet­tono in gioco la natura stessa dello sviluppo eco­nom­ico nel Paese. La risposta alle lotte dei lavo­ra­tori ed all’estensione della democrazia sarà la “strate­gia della ten­sione” con il suo tragico avvio il 12 dicem­bre 1969, a Milano, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura (strage di Piazza Fontana).

In questa strate­gia con­ver­gono provo­cazioni fas­ciste, inter­vento autori­tario di set­tori dello stato, manovre ever­sive, involuzione reazionaria dei socialde­mo­c­ra­tici, inet­ti­tu­dine dei gov­erni, ambi­gu­ità di impor­tanti set­tori della democrazia cris­tiana. Si svilup­pano così due ten­sioni di segno diverso, il “nero” che tende a soluzioni golpiste, il “rosso” che vagheg­gia soluzioni riv­o­luzionarie; entrambi pun­tano “a liq­uidare le forme della democrazia polit­ica e a provo­care una guerra civile” (Adal­berto Minucci).

In seguito all’intervento delle truppe del Patto di Varsavia in Cecoslo­vac­chia (21 agosto 1968), Longo esprime con durezza il dis­senso e la riprovazione dei comu­nisti ital­iani per un inter­vento che “calpesta i prin­cipi lenin­isti di uguaglianza fra i popoli e i par­titi, di rispetto della integrità ter­ri­to­ri­ale, della indipen­denza, sovran­ità e non ingerenza”. Il “nuovo corso” di Dubcek è, infatti, pien­amente con­di­viso e sostenuto da Longo e dal suo par­tito. In quel peri­odo denun­cia le dis­tor­sioni nello sviluppo eco­nom­ico e indus­tri­ale del Paese con un ruolo non coer­ente delle Parte­ci­pazioni Statali che sac­ri­f­i­cano le diret­tive social­iz­za­trici dell’economia per trasfor­marsi in gestori d’imprese e di cap­i­tali acquisendone la log­ica di campo. E’ una sev­era crit­ica ai gov­erni ma anche al Psi che dal 1962 è entrato nel gov­erno di cen­trosin­is­tra in posizioni sostanzial­mente sub­al­terne. I temi del rap­porto con i cat­tolici e con i movi­menti, il ruolo dei par­titi politici in gen­erale e del Pci in par­ti­co­lare, sono ripresi e svilup­pati con forza nel Con­gresso di Bologna (feb­braio 1969) nel quale con­tinua (come già avvenuto nel prece­dente Con­gresso) una rif­les­sione sugli effetti pos­i­ti­va­mente prodotti nel campo cat­tolico dall’eredità las­ci­ata da Gio­vanni XXIII (1958−1963) con l’enciclica “Pacem in ter­ris” e con l’avvio del Con­cilio Ecu­menico Vat­i­cano II. Papa Ron­calli (che aveva tolto la sco­mu­nica sui comu­nisti emessa da Pio XII) aveva riv­o­luzion­ato il giudizio e l’atteggiamento dei suoi pre­de­ces­sori nei con­fronti dei par­titi di ispi­razione marx­ista, con affer­mazioni che erano al tempo stesso una chiara indi­cazione per i cat­tolici: “…incon­tri e col­lab­o­razioni un tempo vietati sono e pos­sono diventare utili o addirit­tura doverosi per il bene della comu­nità nazionale”. Ed ancora: “La Chiesa, pur resp­in­gendo in maniera asso­luta l’ateismo, tut­tavia riconosce sin­ce­ra­mente che tutti gli uomini, cre­denti e non cre­denti, deb­bano con­tribuire alla retta edi­fi­cazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire cer­ta­mente senza un sin­cero e pru­dente dial­ogo”.

Da parte sua Longo entra su questi argo­menti “Comu­nisti e cat­tolici manchereb­bero alle pro­prie respon­s­abil­ità se non sapessero bru­ciare dif­fi­denze e pre­ven­zioni non solo del pas­sato ma anche del pre­sente, per con­tribuire a costru­ire una soci­età nuova”.

A propos­ito del ’68: “Oggi l’Italia è un paese vivo, con una grande ten­sione polit­ica, ide­ale e morale. Com­pren­di­amo, fac­ciamo nos­tre le insof­ferenze e le impazienze delle gio­vani gen­er­azioni … non pen­si­amo affatto che tutto possa o debba ricon­dursi al movi­mento ed alla spinta dal basso… Né siamo per qual­si­asi movi­mento pur che sia e comunque si man­i­festi, in una con­cezione spon­taneis­tica della lotta delle classi”.

Sul ruolo, fun­zione e carat­ter­is­tica del par­tito comu­nista Longo pre­cisa: “Né eri­giamo il nos­tro par­tito ad esclu­sivo rap­p­re­sen­tante, ad unico garante, delle masse in movi­mento … il par­tito è parte, forza di com­bat­ti­mento: non può pre­fig­u­rare l’intera soci­età, non può porsi –nep­pure poten­zial­mente– come stato social­ista”. Longo invita a non cadere in una visione inte­gral­is­tica e a riven­di­care, invece, una laic­ità dello stato, una laic­ità del par­tito, una soci­età social­ista su basi demo­c­ra­tiche: ” … non c’è social­ismo se non c’è democrazia ma non c’è com­pi­uta democrazia se non c’è social­ismo”.

Nel 1972, a seguito di ripetuti prob­lemi fisici, las­cia la seg­rete­ria, indica in Enrico Berlinguer il pro­prio suc­ces­sore ed assume la pres­i­denza del Pci. Fonda­tore e Diret­tore del set­ti­manale “Vie Nuove”, autore di numerosi saggi e studi fon­da­men­tali sul movi­mento di lib­er­azione ital­iano, muore a Roma il 16 otto­bre 1980.

Ricerca curata da Pier­carlo Alber­tosi – 2004

Fonti: sito inter­net dell’Anpi; “Riv­o­luzionaria pro­fes­sion­ale”, di Teresa Noce, editrice Aurora; “Da Gram­sci a Berlinguer: la via ital­iana al social­ismo attra­verso i con­gressi del PCI”, Edi­zioni del Cal­en­dario; “Sulla via dell’Insurrezione Nazionale” di Luigi Longo, Edi­tori Riu­niti; “Luigi Longo:dal social­fas­cismo alla guerra di Spagna”, di Carlo Sali­nari, Teti edi­tore; “Sto­ria dell’Italia par­ti­giana” di Gior­gio Bocca, A.Mondadori; “Sto­ria dei sin­da­cati in Italia”, di Gian­franco A.Bianchi, Edi­tori Riu­niti; “Sto­ria del Par­tito Comu­nista Ital­iano”, di Paolo Spri­ano, Edi­tori Riu­niti; “La resistenza ital­iana”, di Leo Valiani; “I cen­tri diri­genti del Pci”, di Luigi Longo, Edi­tori Riu­niti; “Il Pci e la guerra di lib­er­azione”, di Pietro Sec­chia; “Social­ismo e movi­menti popo­lari in Europa”, di Alfredo Luciani, Mar­silio Editori.

https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/01/-Luigi-Longo-b5a4d243-75d6-4f0b-8a44-fc800e7141d0.html

https://www.raiplayradio.it/audio/2015/03/La-direttiva-N16-di-Luigi-Longo---Wikiradio-del-10042015-51ad3229-9c66-4388-8f21-4d5263fb6295.html

http://www.marx21.it/documenti/hobel_longoelaresistenza.pdf

https://luigilongoestoriapci.files.wordpress.com/2020/03/longo-calendario.pdf

https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2017/03/14/luigi-longochi-ha-tradito-la-resistenza/

https://enricoberlinguer.org/home/saggi-e-studi/luigi-longo

http://www.1944-repubblichepartigiane.info/luigi-longo

https://www.sitocomunista.it/pci/documenti/longo.html

http://journals.openedition.org/diacronie/4026

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